lunedì 17 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 8




                                           OTTO


Il mattino successivo Dino Fabbri decise deliberatamente di scendere da Solange due ore prima dell'appuntamento stabilito.
Lei dormiva ancora. Venne ad aprire stropicciandosi un occhio e borbottando qualcosa.
Indossava una t-shirt che pubblicizzava l'annuncio piuttosto stinto di un vecchio concerto dei Pink Floyd e che le cascava come un sacco quasi fino alle ginocchia, slabbrata sul collo e bucata su una manica.
I suoi capelli biondi e piuttosto fini riuscivano ad essere incredibilmente scarmigliati. Era scalza e spostava il peso del corpo da un piede all'altro, osservando Dino Fabbri con aria più intontita che interrogativa.
La sera precedente, a cena da Theroux, naturalmente aveva bevuto. Mormorò qualcosa e Dino Fabbri intuì che stava chiedendo che ora fosse. Rispose in italiano, improvvisando un sacco di sciocchezze e parlando rapidamente, approfittando del fatto che lei non capiva una parola se non di francese e tedesco.
La sera prima se l'era studiata con cura, dopo le fantasie del pomeriggio. Era convinto che appartenesse alla categoria di donne che lui cercava e riconosceva, e che riconoscevano lui. Quelle capaci di negarsi con caparbietà a pretendenti adoranti e cedere come per capriccio di fronte al più diretto degli approcci.
Solange alzò le spalle, rispondendogli probabilmente che era troppo presto. Poi si voltò e tornò in camera, gettandosi sul letto.
Dino Fabbri la seguì. Si sedette accanto a lei e sollevò la maglietta fino a scoprirle il ventre. Lei spalancò gli occhi più con spavento che con stupore e si trovò di fronte il sorriso ammiccante di lui. Sussurrò affannosamente una domanda che lui non era in grado di decifrare. Spostò il bacino come per sottrarsi alla mano di lui, che intanto con il pollice aveva individuato il clitoride e glielo accarezzava. Si fermò a fissarlo come se non si raccapezzasse e lui  sorrise ancora e si chinò a leccarla.
Lei disse di no più volte senza spostarsi, senza respingerlo.
Prese ad offrire il ventre con piccoli movimenti sinuosi, come una gatta intenta a farsi accarezzare dopo il risveglio.
All'improvviso lo aveva allontanato e si era messa in ginocchio sul letto. Si era liberata della t-shirt con uno strattone.
Gli aveva fatto segno di stendersi e con un gesto rapido della mano gli aveva ingiunto di spogliarsi.
Mentre lui armeggiava abbassandosi jeans e mutande lei si era sporta al cassetto del comodino, ne aveva estratto un preservativo, aveva strappato con un morso un lembo della confezione e, dopo averlo preso tra due dita gli aveva delicatamente incappucciato il membro.
Dino Fabbri era incantato da quella perizia.
Solange aveva il fisico di un ragazzino di undici o dodici anni: un petto scabro, nessuna traccia di rilievo dei seni se non un paio di capezzoli come due cilindretti marroni, quasi senza areola, forati da  due anellini dorati. I fianchi erano stretti, il ventre piatto, le ossa delle anche sporgevano, le clavicole creavano fossette profonde, l'inguine era ornato da un arruffo di peli biondissimi e lanuginosi. Cosce e polpacci erano un fascio di piccoli muscoli guizzanti, le mani erano minuscole, i piedi altrettanto.
 Gli si era posta cavalcioni e se lo era guidato dentro con cautela, succhiandosi le labbra. Aveva dato piccoli colpi d'assaggio tenendosi accucciata, i piedi saldi a lato dei fianchi di lui. Poi aveva deciso il momento e si era lasciata cadere, affondandoselo dentro con un grugnito, ad occhi chiusi. Li aveva riaperti con un'occhiata da piccola erinni, aveva afferrato i lembi della camicia di lui e con un unico strappo l'aveva aperta, facendogli saltare buona parte dei bottoni. Dino Fabbri non sapeva se ridere o preoccuparsi. Solange aveva allungato un poco le gambe, fissando i piedi nell'incavo interno dei gomiti di lui, immobilizzandogli le braccia. Poi, protendendosi in avanti, gli si era aggrappata con le mani ai pettorali.
Dino Fabbri li aveva tesi con orgoglio, offrendole il migliore degli appigli. Era sempre andato piuttosto fiero dei suoi muscoli. E Solange aveva cominciato a vogare. Il ritmo e il movimento erano quelli.
Scivolava in avanti con il bacino verso la pancia di lui fino a farselo quasi uscire di dentro e poi si ributtava indietro, con un vero e proprio urto.
Dino Fabbri fungeva da jole, le braccia immobilizzate dai piedi puntati di lei, i pettorali che s'indolenzivano sotto la morsa artigliata delle sue mani, il dolore sottile che affiorava con l'affondo delle sue unghie sotto le ascelle.
Solange accelerò il ritmo e lui cercò di pensare ad altro per riuscire a trattenersi; lei chiuse di nuovo gli occhi e riprese a grugnire.
Quando Dino Fabbri si rese conto che non sarebbe riuscito a resistere oltre emise segnali d'avvertimento. Lei fece cenni affermativi piuttosto convulsi. Piccole ciocche fini di capelli le si erano incollate alla fronte sudata. Gli liberò le braccia, riaccostò i piedi ai suoi fianchi e portò il movimento su di lui da orizzontale a verticale.
Dino Fabbri eiaculò. Lei pigiò ancora un po’, scuotendo la testa ad occhi chiusi e poi gli ricadde addosso, come addormentata. Era andata.
Restarono così forse per una mezz'oretta; lui s'era un poco assopito. Lei s'appoggiò sulle mani e si sollevò a guardarlo in viso. Si fronteggiarono brevemente poi Solange scoppiò a ridere e lui fece altrettanto.
Siglavano così la loro identità di complici, scaricando nella risata la responsabilità, il fantasma di Carlotta, la necessità di parlare di ciò che era accaduto, cosa tra l'altro impossibile data la loro incapacità di comunicare verbalmente.
Lei gli indicò l'orologio e a gesti gli fece capire che era ora che andassero.
Condivisero il bagno minuscolo con un cameratismo che Dino con Carlotta neppure si sognava.
Solange si accovacciò sulla tazza a pisciare e fece un gesto a Dino, che se lo stava sciacquando nel lavandino, come a dire che lui poteva farla lì, poi socchiuse gli occhi con un sorriso di beatitudine e liberò con un sibilo acuto una minuscola scoreggia. Si tappò il naso con le dita ridendo, azionò lo sciacquone e si accostò a Dino. Sgomitarono per un po’ di fronte al lavandino, scherzando. Lui le fece spazio e subito le si appoggiò dietro, abbassandosi sulle gambe e premendoglielo contro le piccole natiche.
- Banda encora ? - chiese lei.
- Cosa ?
Lei spinse contro di lui il bacino ridendo nello specchio, poi alzò l'avambraccio a pugno chiuso, in un gesto che definiva inequivocabilmente un'erezione.
- Lo cazzo banda ? - chiese ancora.
- Banda sì !
Rispose, intuendo, Dino, sentendoselo inturgidire.
Solange scoppiò in una risata e si voltò di scatto a gettargli sull'inguine acqua fredda raccolta nelle mani a coppa.
- Pas maintenant ! - ridacchiò, spingendolo fuori del bagno.

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