domenica 30 marzo 2014

VOCI LONTANE





Pit e Speedy, a Bologna, nel 1977.





Qualche tempo fa Speedy mi ha mandato delle vecchie fotografie del suo archivio dove ho ritrovato amiche ed amici di tempi lontani.
Avevo voglia di postarle ma non sapevo come. 
Volevo costruirci intorno un piccolo plot narrativo invece di una mera sequenza di immagini poi, recentemente, ho ricevuto un affettuoso commento ad un post da Claudio Sulis, che non sentivo da forse quarant'anni.
Mi ha scritto da qualche posto in America Latina, così come Laura mi ha segnalato che un certo Giorgio Lamberti (lei non l'ha conosciuto, io non sono su FB) ha condiviso un mio post. 
Il vecchio Lamberti, che però so che sta in Colombia.
E allora mi sono detto, riguardando le foto di Speedy, che qualcosa di quegli avventurieri che si sono dispersi ai quattro venti per ragioni che non è necessario rievocare, si potrebbe aggiungere alla messe dei post rievocativi.






 





Questa è misteriosa. 
Dove fossero - si direbbe un campetto di periferia - e perchè fossero lì. Non riconosco la figura al centro, probabilmente il portiere, ma soprattutto non mi capacito di Richi Caramella a sinistra e Ugo Zani a destra.
Perchè non avevo la più pallida idea che Richi, concertista internazionale da tanto tempo, e Ugo, da tanto tempo scomparso da qualche parte in Sud America, sapessero giocare a pallone.






E qui la didascalia di Speedy dice che siamo all'"Occhio", quindi verosimilmente intorno al 1973. Richi Caramella al centro, tra Mauro Macchi e lei, che non riconosco.






In questa foto di gruppo Speedy spicca baffuto al centro, e ancora, seminascosto dietro Sergio Scandiuzzi e Luciano Mittone fa capolino il Caramella.


C'è poi una sequenzina di immagini che riguardano un gruppetto di ragazze e ragazzi più giovani di noi, che ricordo molto affiatati tra loro. Chissà perchè Speedy le ha in archivio.








Anna e Eva, che non ci sono più da molti anni ormai.
Per ciò che concerne Eva c'è un post al 25 novembre 2010 che la riguarda e compare nel racconto "Guardia medica" del 15 gennaio 2011.






Billy, eccentrico capetto del gruppo, allora...






E oggi, a una delle cene di rimpatriata organizzate da Speedy. 





Facevano gare sulle loro Vespe "Primavera"... 





...e si dedicavano ad amabili e bucolici conversari...






...così che nulla faceva sospettare che per alcuni di loro il destino sarebbe stato spietato.










Ci sono poi tre foto sciistiche (l'ultima in realtà è arrivata pochi giorni fa, un messaggio in bottiglia dall'altro emisfero, in cui Lella chiede agli amici di ricordarle chi era con lei nella foto, e in cui ho riconosciuto con facilità il fratello minore di Simonetta Chitarin). 


 Lella e il fratello di Simonetta, 1973 o 74.




 Speedy e Anna Cravetto, stessa epoca.




Valeria Grattarola in un'epoca addirittura
precedente a quella in cui l'ho conosciuta,
quindi forse 1971.





La piccola rassegna di Speedy si conclude con un pot-puorri di immagini di ieri e oggi.
Ci sono foto di rimpatriate recenti...





 Robin Pistarino, uno degli avventurieri sopravvissuti...
 (in un vecchio post del 21 novembre 2010 compare in una foto
forse del '75)



 E lei è Thelma Blumenthal, che ai tempi in cui la frequentavo
              teneva la sua Honda parcheggiata in soggiorno...

  



Gianni Lingua, che, nel '69 mi pare, aveva comprato
 la mia Gilera " 6 giorni fuori strada"
(il racconto è nel post del 28 novembre 2010,
lui compare in foto del 1970 nel post del 13 novembre 2012)






Delle gemelle Colombotto Rosso - qui mi devo un po' buttare -
credo proprio lei sia Jenny. Alla fine degli anni '60 ho trascorso
bellissimi pomeriggi ad ascoltare dischi in camera loro, e poi
tutto, come spesso accade nell'adolescenza, è svanito...






Daniela Ferraro ( si parla di lei  e compare in foto 
nei post del 25 novembre 2010 e 13 novembre 2012).
Accanto a lei Dario Botta ( abbondanza di foto al
post del 13 novembre 2012)






Dario con Sergio Barnabè...





Sergio tra Speedy e Riccardo Donna, nel 1973.
(siamo insieme in una foto del '66 sul terrazzo dei "Vittoria", 
a Noli, nel post del 17 febbraio 2012.)






Roberto Oggero ad una presentazione nel 2011...





...e a Vulcano nel '76, dall'archivio di Silverio Salamon.





 Coraggio vecchio mio, non tutto è andato come ci saremmo
aspettati ma ce l'abbiamo quasi fatta...

venerdì 28 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 14





                                   QUATTORDICI


Il giorno dopo aveva faticato a sollevarsi dal letto malgrado l'animazione che all'improvviso aveva invaso l'appartamento.
Telefono e campanello d'ingresso avevano squillato quasi contemporaneamente, poi c'era stato un suono indistinto di singhiozzi in ingresso, scalpiccii per le scale, la voce di Carlotta concitata, e quella imprevista di Loretta che diceva di stare calmi.
Dino Fabbri aveva fatto capolino dalla camera, stringendosi addosso l'accappatoio, con uno stimolo non troppo remoto a vomitare.
Carlotta parlava al telefono con tono isterico. Solange, a piedi nudi, singhiozzava su una sedia stringendosi addosso un impermeabile da uomo.
I Testoni erano lì: lui impalato sull'ingresso e lei che ascoltava con partecipazione Carlotta.
- Cosa c'é ? - chiese Dino, schiarendosi la voce.
- Theroux - rispose Ferruccio, e inaspettatamente scoppiò in lacrime. Loretta gli si precipitò accanto.
- Morto - disse, abbracciando il marito come un fagotto.
- S'é tagliato la gola. Da qui a qui. L'ha trovato Jef nel bosco, stamattina presto.
Dino Fabbri si grattò furiosamente la testa.
- Ma come... - riuscì a dire, interrompendosi subito.
Carlotta abbassò il ricevitore. Fissava il vuoto con un'indifferenza inquietante.
Dino raccolse tutte le sue forze e le si avvicinò ad abbracciarla. Lei si lasciò ricondurre al letto.
Nell'ingresso il Testoni mugolava, semisoffocato dalla stretta protettiva della moglie.
- Cosa dobbiamo fare ? - chiese Dino.
- Non so... - rispose Carlotta - forse dovremmo andare là...
Loretta si era affacciata alla porta della camera, trascinando Ferruccio.
- Certo che dobbiamo andare là !
- Ma perché ? 
Dino Fabbri non capiva.
- Perché ? Come perché ! Bisogna andare e basta. Noi eravamo lì ieri sera, insomma, un po’ di decenza !
Loretta era esplosa a modo suo, incongruamente. La sua voce si alzava ad acuti che per il dopo sbronza di Dino Fabbri non erano tollerabili.  Si affrettò a tacitarla.
- Va bene, dacci il tempo di prepararci...
- Certo. Andiamo su tutti insieme.
Si rivolse a Solange che sonnecchiava sulla sua sedia e la invitò a scendere per vestirsi.
- Vi aspettiamo di sotto.
Un'ora dopo approdavano a Les Charbonnierès sulla berlina giapponese di Ferruccio, con Loretta alla guida.
Il piazzaletto di fronte all'ingresso era gremito di auto. Dino Fabbri vide di sfuggita Marcella che parlava con un tale in divisa e Noemì, ritta sull'ingresso, che ascoltava qualcuno che era all'interno.
Scesero e vennero immediatamente fermati da un gendarme.
A Dino Fabbri sfuggirono i termini della trattativa ma alla fine quello li fece passare, introducendoli in casa.
Nel soggiorno c'era una certa animazione. Un tale azzimato, con le orecchie a sventola, che risultò essere un ispettore della Polizia Cantonale arrivato da Neuch¤atel, stava parlando con Jef.
Alcuni gendarmi in divisa andavano e venivano dallo studio alla camera di Theroux.
Sprofondato in una poltrona di cuoio, immobile, sedeva un uomo corpulento. Dino Fabbri ricordò il viso sul risvolto di copertina e riconobbe il dottor Carso.
- Il corpo l'hanno già portato via - stava dicendo Loretta.
L'ispettore annunciò che avrebbe conferito con ciascuno di loro individualmente. Carlotta spiegò che il marito non conosceva il  francese. L'ispettore, dopo aver squadrato Dino con un velo di sdegno delineato sulle labbra ombreggiate da baffetti sottili, accettò a malincuore che lei fungesse da interprete.
Aveva già interrogato Jef, Marcella e Noemì; ebbe poi il suo daffare a contenere l'esuberanza di Loretta e si irritò per la laconicità imbambolata di Ferruccio. Carlotta fu l'unica a dargli soddisfazione per l'essenzialità contegnosa con cui controllava il suo cordoglio.
Insisteva con domande che riguardavano la sera prima. Voleva dettagli, sapere di cosa avessero parlato, se non avessero notato nulla di particolare. Volle sapere con precisione a che ora se ne erano andati e quando avevano raggiunto Vaulion. Dino Fabbri, che non ricordava nulla per via della sbronza, urtò ulteriormente la suscettibilità dell'ispettore.
Alla fine quello si decise a lasciarli andare. Si appartò con Carso sul piazzale fuori casa.
Dalle finestre li si vedeva parlare animatamente.
Carso gesticolava con autorevolezza cardinalizia, ma l'ispettore pareva poco convinto di quello che stava ascoltando.
Jef preparò caffé per tutti. Loretta, sorseggiandolo e tenendo d'occhio i due sul piazzale, si rivolse al marito.
- Qui c'é sotto qualcosa. Non é normale tutta sta manfrina.
Dino, Carlotta, Ferruccio, lo stesso Jef le rivolsero uno sguardo interrogativo. Lei non si scompose.
- Sarà che sono Svizzeri, tutti precisini, ma qui sembra che sia partita un'indagine. Mica é chiara sta cosa.
- Ma se si é ucciso...- azzardò Ferruccio impallidendo.
- Appunto ! Se si é ucciso cos'é sta menata ?
Jef la fissava immobile, impugnando la caffettiera a mezz'aria.
- Tu cosa credi ?
- Non so. Però quell'imitazione  di Clark Gable ci ha passati tutti in rassegna. E adesso guarda là.
I gendarmi avevano finito i loro andirivieni e stavano uscendo sul piazzale, imbracciando alcuni contenitori di cartone.
- Lì dentro ci siete tutti voi e chissà cos'altro.
Carlotta era l'unica a non ascoltarla. Fissava un angolo lontano, dove una libreria finiva contro il montante di una finestra. Fuori splendeva a sorpresa il sole.
- Visto ?
Disse soddisfatta Loretta, mentre fuori la discussione si animava. Pareva che il dottor Carso intendesse impedire che quei contenitori venissero asportati e l'ispettore opponeva ora un'irriducibilità davvero poliziesca. Alla fine Carso gli voltò le spalle e si avviò verso la sua auto, abbandonando il campo furibondo.
Dall'interno il gruppo aveva assistito alla scena in silenzio.
L'ispettore rientrò per annunciare che intendeva rivederli tutti nel pomeriggio e se ne andò, lasciando sul posto un paio di agenti.
Jef propose di preparare qualcosa da mangiare ma gli altri si rifiutarono di restare lì. Decisero di raggiungere una locanda a Le Pont e convinsero Jef e Marcella ad andare con loro.
Lungo la strada incrociarono pattuglie di uomini in assetto di guerra.
Si muovevano lungo i bordi della carreggiata con le armi in pugno e gli elmetti calcati in testa. Alcuni indossavano tute mimetiche, altri divise tattiche verde scuro.
- Che cazzo succede ?
Chiese Dino Fabbri.
- Esercitazioni - disse Jef.
- Sono i richiamati che si addestrano. Sai com'é qua no ? Che fanno il militare tutta la vita.
Dino Fabbri guardava sfilare i soldati fuori dal finestrino. Parevano operare una specie di rastrellamento simulato. In effetti tra loro si alternavano a giovanotti uomini di mezza età, tutti apparentemente animati da uno spirito di corpo piuttosto severo.
- Certo fa un po’ impressione...
Disse Carlotta, aprendo finalmente bocca. Nessuno rispose, ma si capiva come per tutti quell'improvvisa militarizzazione del territorio, sommata al suicidio di Theroux, suscitasse un impotente senso d'angoscia.
Pranzarono ponendosi domande prevedibili: perché l'avesse fatto, com'era che nessuno aveva intuito qualcosa. Ferruccio si chiese dove lo avrebbero sepolto. A Jef toccò raccontare il momento del ritrovamento.
Non risparmiò particolari.
- E diosanto ! Siamo a tavola ! - sbottò inaspettatamente il Testoni.
Jef si scusò. La conversazione deviò ancora. Solange, che non seguiva la conversazione in italiano, scambiava poche parole sottovoce con Noemì.
Dino Fabbri ne incrociò lo sguardo un paio di volte e lei si affrettò a distoglierlo.
- Ma Cesare dove cavolo é ?
La domanda di Loretta spiazzò tutti.
In effetti, dei convitati della sera prima, a parte ovviamente Theroux, era l'unico assente. Non si era visto neppure in casa, durante l'incursione della gendarmeria di Neuchatel.
- E' partito prestissimo stamattina. Prima che andassi nel bosco a cercare il dottore...
- Ma non aveva seduta ? - chiese con stupore Carlotta.
- Doveva incontrare una persona  a Losanna. Qualcuno di teatro.
Carlotta pareva sempre più sorpresa.
- E Theroux lo sapeva ?
- Credo di sì, non so...
- Te l'aveva detto lui ?
Jef era perplesso.
- No...lui non mi aveva detto nulla, ma non credo che Cesare sarebbe andato via senza averlo avvertito.
Loretta si era incuriosita.
- Glielo avrà detto ieri sera ?
Jef non ne era sicuro.
- Cesare é andato a dormire prima di me. Il dottore era ancora in piedi. Mi ha detto che avrebbe spento lui le luci. Che voleva leggere qualcosa.
- Dopo che eravamo andati via tutti ?
Chiese ancora Loretta.
- Sì, certo.
Fuori della locanda passarono di corsa alcuni militari, seguiti poco dopo dal bellicoso rumoreggiare di una colonna di autoblindo leggere.
Sulla tavolata era calato il silenzio. I commensali erano rimasti ad osservare i passaggi attraverso le finestre incorniciate di tendine a quadretti.
- Gli Svizzeri son strani...
Commentò Ferruccio e tutti, Solange e Noemì escluse, annuirono pensosi.
Quando fecero ritorno alla villa il piazzale era di nuovo gremito di auto.
- E' tornato.
Disse Jef, indicando il BMW di Saveriano.
- Ha fatto in fretta.
Commentò Loretta.
In casa l'ispettore di Neuchatel pareva nervoso. Discosto da lui il dottor Carso conversava sottovoce con un tale, della sua stessa stazza ma che ostentava una folta capigliatura brizzolata.
Risultò essere un commissario arrivato da Losanna.
Loretta riteneva che fosse lì per intervento del dottor Carso.
- Non vuole certo che tutti gli incartamenti di Theroux finiscano nelle mani di quel burino - commentò.
Cesare Saveriano sedeva in un angolo, con un'espressione stravolta. Non scambiò parola con nessuno.
L'ispettore comunicò che il commissario li avrebbe interrogati nuovamente mentre quello si faceva avanti. Li squadrò con una calma allarmante quindi prese a parlare con voce arrochita.
Dino Fabbri dovette approfittare della traduzione di Carlotta, sempre più affannata mano a mano che il commissario proseguiva.
Il dottor Carso ogni tanto annuiva.
Il commissario stava al centro del soggiorno, a gambe leggermente divaricate, e parlando scaricava sui presenti panoramiche di sguardi che non si curavano di dissimulare un sospetto generalizzato.
Venne fuori che la polizia riteneva che il suicidio era stato simulato, e che si era trattato in realtà di un omicidio.
Era stato a quel punto che la traduzione di Carlotta aveva preso una piega approssimativa, balbettante.
Con inesorabile efficienza elvetica il cadavere era stato sottoposto, oltre che all'autopsia, ad una serie di analisi dalle quali si era desunto non solo che il dottor Theroux era deceduto tra le cinque e le sei del mattino in seguito alla ferita da taglio alla gola.
Pur risultando suo il rasoio che aveva inferto la ferita e sue le impronte digitali rilevate su di esso, da un'esame che Dino Fabbri dovette più che altro immaginare perché la traduzione di Carlotta a quel punto si era frantumata in frasi smozzicate, era emerso che quella ferita il dottor Theroux non poteva essersela inferta da sé.
La deduzione si fondava su qualcosa riguardo all'inclinazione, alla profondità e, soprattutto, alla direzione. Da destra a sinistra.
Secondo gli investigatori il fendente doveva esser stato inferto da qualcuno  che, posto alle spalle del dottor Theroux, gli aveva arrovesciato il capo all'indietro, afferrandolo probabilmente per i capelli, con la mano destra. Con la sinistra, armata di rasoio, gli aveva poi aperto la gola.
Dino Fabbri ascoltò le ultime parole della traduzione di Carlotta quando già tutti gli altri avevano sentito quelle del commissario, quindi impiegò un poco di tempo in più a spiegarsi il graduale smarrimento di alcuni dei presenti.
Ringraziò il cielo di non essere mancino e immediatamente ricordò che Carlotta lo era.
Ma la cosa curiosa stava nel fatto che, in quella singolare accolita di persone, non era la sola.
L'ispettore di Neuchatel, probabilmente ammaestrato dal commissario, che ora si teneva un poco in disparte, stava già applicando un sistema di verifica piuttosto empirico.
Le deposizioni rilasciate da tutti in mattinata erano state nel frattempo debitamente dattiloscritte in qualche ufficio della gendarmeria. Adesso venivano sottoposte ai presenti per essere controfirmate.
Lo fecero con la mano sinistra Jef, Carlotta e Solange.
Il tentativo di Noemì di usare la destra fu così maldestro che immediatamente l'ispettore la invitò a copiare alcune righe della sua deposizione per una verifica. Lei scoppiò in lacrime, scagliando la penna lontano da sé.
Il commissario di Losanna boccheggiava per la sorpresa.
Invitò Saveriano a seguirlo nello studio di Theroux, dove aveva deciso di riprendere gli interrogatori, come se non intendesse tener conto di quelli del mattino.
Il gruppetto riunito in soggiorno era come pietrificato.
L'ispettore di Neuchatel, con un paio di agenti, controllava degli incartamenti con ostentata indifferenza.
Loretta si avvicinò al dottor Carso e prese a parlottargli sottovoce. A quel punto Carlotta fece la sua affermazione placidamente, come a constatare qualcosa di assolutamente evidente.
- Quell'uomo é pazzo - disse, e si riferiva al commissario - Ma come può pensare che sia stato uno di noi ?
Poi attaccò a parlare in francese e Dino non riuscì più a seguire. Si rendeva soltanto conto dell'infervorarsi apparentemente convincente di sua moglie, che raccoglieva i consensi ostentati dei presenti, fatta eccezione dei poliziotti. Lo stesso Carso la ascoltava con uno sguardo obliquo di acuta attenzione.
Carlotta parlava con voce ferma; aveva disegnata sul viso un'indignazione addolorata e muoveva le mani, nella sua enfasi equilibrata, con gesti di categorica asserzione.
Intervenne l'ispettore e Carlotta riuscì sorprendentemente a zittirlo, poi all'improvviso tornò a parlare in italiano.
- Noi non possiamo accettare che ci si sospetti di un crimine come questo. Io non lo permetterò. E' come se mi si sospettasse di aver ucciso mio padre. Quell'uomo é un idiota. Se davvero Leopòld é stato ucciso allora bisogna che siano fatte vere indagini, da persone competenti, e subito anche !
Il borbottìo crescente annunciava una velata volontà di sommossa e aveva allarmato l'ispettore, che si accingeva a sedarla con arroganza carceraria quando dallo studio di Theroux erano arrivate le prime urla.
L'ispettore aveva alzato una mano ad imporre il silenzio, protendendo il capo in direzione dello studio con un'espressione intenta.
Dallo studio di Theroux giunse di nuovo la voce urlante, che ora si riconosceva per quella di Saveriano. L'ispettore e gli agenti si precipitarono alla porta, mentre quella s'apriva, e gli furono addosso. Cesare si scalmanava. Il commissario si fece sulla porta con uno studiato atteggiamento di indifferenza.
Saveriano urlava, o meglio tentava di farlo, con parole che ormai gli si ancoravano in gola, sfiatate. Insisteva per chiamare il suo avvocato, sua moglie, abbozzava vani tentativi di divincolarsi dalla stretta degli agenti.
I presenti erano ammutoliti. Dino Fabbri non capiva cosa fosse successo e non era in grado di seguire le comunicazioni categoriche che ora correvano tra commissario, ispettore, agenti.
Carlotta si fece avanti e si rivolse a Saveriano. Iniziò a parlargli in italiano ma subito passò al francese, prima che qualcuno avanzasse rimostranze. Dino Fabbri decifrò il tono e arguì il resto dal graduale calmarsi di Cesare e dall'ammirato consenso dei presenti.
Il dottor Carso  la avvicinò dopo che Saveriano venne condotto via e si appartò a parlarle.
- Che cazzo é successo ? - chiese sottovoce Dino al Testoni, accostandoglisi.
- Lo hanno arrestato.
- Saveriano ? Perché ?
- E' indiziato. Mi pare d'aver capito che é per il fatto che stamattina all'alba é stato via, non so...
- E Carlotta ?
- Ah, lei é stata bravissima. Gli ha detto le cose giuste per tranquillizzarlo. Ha detto che avrebbe parlato subito con sua moglie a Roma e con il suo avvocato, e che se non aveva qualcun'altro in mente, da contattare immediatamente, lei era disponibile per seguirlo per l'analisi. Gli ha detto di non sentirsi abbandonato perché non é così. Brava.
Dino Fabbri guardò sua moglie, che ora ascoltava in silenzio il dottor Carso.
Sapeva quanta avversione le avesse sempre manifestato Saveriano, quanto avesse cercato di esserle ostile, sgradevole con lei ogni volta che se ne era presentata l'occasione.
Improvvisamente si sentiva fiero di lei.
Il commissario interruppe il brusio che nel frattempo si era animato, e si rivolse brevemente a tutti prima di congedarli con parole che naturalmente Dino Fabbri non comprese.
I Testoni riaccompagnarono Carlotta Dino e Solange a Vaulion. Lungo il tragitto si complimentarono a più riprese con Carlotta per il suo intervento. Lei si era come raggelata in un arrocco distratto.
- Se ti muore improvvisamente l'analista la norma vuole che ci si adoperi per sostituirlo immediatamente, senza liste d'attesa o altro - disse - Io mi sono limitata ad offrirmi, vista la sua posizione. Poi si vedrà.
- Però anche per te... - azzardò Loretta.
- In che senso ?
- Beh, era anche il tuo di analista.
- E' una cosa molto diversa - specificò freddamente Carlotta - Io ero qui in veste di collega, non di paziente. Comunque adesso bisogna preoccuparsi di Cesare. Appena a casa devo chiamare l'ambasciata, sua moglie a Roma, anche il suo avvocato, credo...
- E io ?... - chiese timidamente Ferruccio.
- Tu cosa ? - sbottò Loretta.
- Beh, anch'io sono rimasto senza...
- Non cominciare ! - Loretta scalò brutalmente di marcia - mica t'hanno messo al gabbio a te !
Carlotta guardava fuori del finestrino.
- Ferruccio ha ragione. Leopòld era anche il suo analista - disse senza distogliere lo sguardo dal paesaggio.
- E no ! Un momento ! - Loretta alzò la voce - Cosa sei ? L'erede al trono ? Chi l'ha detto che tutti i pazienti di Theroux te li devi cuccare tu ?
- Nessuno - rispose Carlotta distrattamente - Se tu riuscissi a decifrare il senso esatto delle mie parole avresti realizzato che mi sono limitata a confermare che anche Ferruccio é in una situazione di emergenza. Tutto qua. Del resto lo conosco  da troppo tempo; non lo accetterei mai come paziente.
Loretta era ammutolita. Dino Fabbri si stava chiedendo che cosa fosse emerso in sua moglie per darle modo di assumere questo nuovo atteggiamento, questa pacatezza in bilico tra lo studiato e il naturale. Con un brivido di meraviglia si rese conto che ricalcava la caratteristica più cospicua di Leopòld Theroux.
- Cesare é un ossessivo compulsivo - stava intanto dicendo lei, ostinatamente rivolta all'esterno dell'abitacolo - la situazione in cui si é venuto a trovare lo espone a rischi gravi.
- In che senso ?... - chiese il Testoni, ma Loretta lo interruppe.
- Ma scusa eh, e se fosse stato davvero lui ? Perché noi qui adesso diamo per scontato chissà perché che quelli sono tutti dei coglioni, ma lui com'é che stamattina all'alba é sparito dalla circolazione ? A chi la racconta sta storia di Losanna ? E poi la scenata isterica con il tipo là, il commissario.
- Non sarebbe tornato - disse a mezza voce Carlotta.
- Cosa ? Tornato dove ?
Carlotta si voltò verso Loretta, fissandole la nuca con fastidio.
- Se l'avesse davvero ammazzato lui perché tornare indietro ? Avrebbe avuto il tempo di passare in Francia, o addirittura in Italia, prima che il cadavere fosse scoperto.
- E cosa cambiava ? - strillò l'altra.
- Non é stato lui - concluse perentoriamente Carlotta.
- E Carso di cosa ti parlava ? - chiese spudoratamente Loretta, mentre approdavano di fronte alla casa di Solange.
- Lavoro - tagliò corto Carlotta, aprendo la portiera prima ancora che l'auto fosse completamente ferma. Mentre Dino e Solange la seguivano contagiati dalla fretta Loretta gracchiò, sporgendosi al finestrino.
- Ricordatevi che il commissario ha detto che non ci possiamo muovere, che siamo tutti riconvocati domani per un sopraluogo !
Nessuno le rispose. Ferruccio abbozzò un cenno di saluto con la mano.
Una volta in casa Carlotta si rivolse a Dino sbrigativamente.
- Io ora sarò molto occupata. Devo fare delle telefonate. Tu aspettami su, oppure vatti a fare una passeggiata.…abbi pazienza, tesoro. Ci vediamo più tardi.
Gli sfiorò le labbra con le sue e scomparve nell'appartamento di Solange.
Dino Fabbri si rifugiò nel "ripostiglio", affacciandosi sul giardino, dove nel frattempo era ricominciato a piovere.
Malgrado la proibizione categorica di sua moglie tornò a sfogliare gli album di fotografie e a scartabellare svogliatamente tra i ritagli di giornale.
Immaginò che sempre, in circostanze del genere, chi era coinvolto provasse la sensazione d'un precipitare innaturale degli eventi, come se si fossero elusi degli stadi intermedi, ma in questo caso gli pareva che mancassero elementi fondamentali per poter afferrare l'insieme. Si andava convincendo che almeno alcune delle risposte fossero celate in qualche forma nei cassetti del "ripostiglio". In quegli album e ritagli di giornale, o forse in qualcos'altro ancora di cui gli era sfuggito il significato.
Si compiacque di aver fotografato tutto con tanta scrupolosità.
Carlotta lo raggiunse per l'ora di cena.
Scesero a mangiare da Solange, raccolti in silenzio attorno al piccolo tavolo di cucina. Dino Fabbri si teneva compagnia gingillandosi con pensieri che riguardavano le due donne che gli sedevano di fronte, rincorrendo immagini di sesso con loro per tenersi alla larga da quella tetraggine.
Si ritirarono presto. Dino cercò di conversare con Carlotta. Aveva intenzione di chiederle cosa pensava che sarebbe successo. Stava montando in lui un'onda lenta di timore dai contorni imprecisi, una sensazione di costrizione della quale voleva liberarsi. Lei però rispose che era troppo stanca. Gli assicurò che all'indomani le cose si sarebbero sistemate e si rifugiò in bagno.
Lui si addormentò prima che fosse rientrata in camera.
Il mattino successivo vennero svegliati da una perentoria scampanellata. Agenti della Polizia Cantonale li invitarono a seguirli immediatamente. Invece che alla villa di Theroux vennero condotti, senza spiegazioni, a Neuch¤atel.
Qui, all'interno di quello che Dino Fabbri ritenne dovesse essere un commissariato, vennero sottoposti ad un ennesimo interrogatorio.
Questa volta gli affiancarono un interprete ufficiale, che gli traduceva le domande dell'ispettore costellandole di confusioni tra maschili e femminili, singolari e plurali.
La sensazione che Dino ne ricavò fu che le indagini fossero tutt'altro che concluse. Percepì comunque d'esser considerato un elemento relativamente estraneo, sottovalutabile, e per quanto in questo caso il fatto non potesse che tornare a suo vantaggio, se ne indispettì. Provava una definitiva e conosciuta urgenza di prendere il largo al più presto possibile, lasciandosi alla spalle tutto, comprese eventuali macerie.
La situazione comunque si era capovolta.
Risultò che Jef e Marcella erano scomparsi. Sulle prime era sembrata una semplice fuga precipitosa, poi invece apparve chiaro che si trattava della conclusione di un piano progettato con cura.
In casa di Theroux c'era una cassaforte.
Fu il dottor Carso  a rivelare agli inquirenti che il suo ex paziente e poi collega ci conservava, oltre che una somma esagerata in contanti, anche titoli al portatore, diamanti, monete d'oro, francobolli rari.
- Il tutto può stare comodamente in un paio di borse da viaggio - aveva detto, lasciando intendere che in quell'ultima affermazione c'era la spiegazione di una scelta quantomeno originale.
Theroux usufruiva della banca esclusivamente per servizi di pagamenti o di cambio. Nonostante il suo conto fosse ragguardevole secondo il dottor Carso non rappresentava che una quota irrisoria del patrimonio.
Pareva dunque che in lui albergasse questa specie di nevrosi: la necessità di sapere che avrebbe potuto mollare gli ormeggi all'improvviso, in qualsiasi momento. Per Jef doveva essere stato un buon suggerimento.
Fu Carlotta a raccontare tutto quanto a Dino. Era l'unica ad essere al corrente ed a mettercela era stato lo stesso dottor Carso.
- Prima o poi renderanno la cosa ufficiale - disse rivolta al marito, con distacco - ma é meglio che tu sappia come stanno le cose, perché qui sembra che tutto quanto sta accadendo vada oltre quello che tu sei disposto a sopportare.
Dino Fabbri cercò di protestare, negando, ma Carlotta proseguì imperterrita.
- Quello che voglio che tu sappia é che quasi sicuramente, nei prossimi giorni, potrai tornare in Italia.
- E tu ? - chiese Dino, e mentre lo chiedeva si rese conto che non gliene importava.
- Io devo restare. Me lo ha chiesto Carso. Tutto si sistemerà ma mi rendo conto che é meglio che tu mi aspetti a casa, in effetti non é giusto che tu debba fare le spese di questo casino.
Dino Fabbri cercava di mascherare il sollievo che stava provando. Carlotta tacque un istante prima di riprendere.
- Adesso rimane la questione di Jef. Credo abbiano già spiccato un mandato di cattura nei confronti suoi e di Marcella. Se non altro questo scagiona Saveriano, non credo che ci vorrà molto prima che lo rilascino.
Dino Fabbri aveva percepito un cambio di tono nella voce della moglie. Come un velo d'incertezza.
- In casa non hanno trovato fotografie di nessuno dei due.
Dino Fabbri deglutì.
- Per la Polizia avere un paio di loro ritratti significherebbe aumentare moltissimo, credo, le possibilità di catturarli. Anche se sono certa che Jef, con i suoi trascorsi, avrà escogitato qualche trucchetto.
Dino Fabbri fissava sua moglie senza dir nulla, pur sapendo che avrebbe dovuto dire qualcosa.
- Non é stato lui - sospirò Carlotta.
- No ? - si stupì Dino.
- No. Non credo, almeno. Non sono neppure sicura che non sia stato davvero un suicidio e che la Polizia non stia prendendo un granchio. Ma Jef comunque no. Si sarà spaventato, dati i suoi precedenti, oppure posso ammettere che abbia visto, più cinicamente, l'occasione di sparire, morto Theroux, con un bel gruzzolo. Ma non lo ha ucciso. Questo mi sento di escluderlo.
- Dici ?
- Sì. Però é quello che credo io, tu devi decidere secondo la tua coscienza.
- Io?! Decidere cosa ?
- Le foto che hai scattato la sera della cena.
Dino Fabbri tacque. Provava di nuovo la sgradevole sensazione d'essere sull'orlo di una trappola.
- In quelle foto ci sono tutti e due - disse Carlotta  - prima o poi la cosa verrà fuori.
- E allora ?
- Devi decidere se dargliele o no.
- Mica posso rifiutarmi...
- No, ma potresti aver scaricato il rullino dopo averlo finito e averlo dimenticato. In fondo avevi bevuto, eri stanco...
- Dici che dovrei ?
- No. Ti ho detto cosa potresti fare nell'eventualità che decidessi di non favorire la cattura di Jef e Marcella.
Dino Fabbri annuì.
- E se l'ha fatto fuori lui ?
Carlotta abbozzò un sorriso stanco, paziente, e scosse la testa.
- Devi decidere tu - disse poi - Io ti ho soltanto anticipato qualcosa perché tu non venissi colto alla sprovvista.
Dino Fabbri sentì che lei stava prendendo gradualmente le distanze dalla Carlotta sempre pronta a decidere per lui, rassicurandolo. Non capiva perché ma lo percepiva come una specie di congedo e, pur nella confusione del suo stato emotivo, se ne rammaricò.
Come Carlotta aveva previsto, comunque, nell'arco di pochi giorni, Saveriano venne rilasciato e lui convocato a proposito del rullino.
L'interprete tradusse faticosamente la sua versione dei fatti: quella che alla fine aveva deciso di dare. Il rullino era terminato e lui lo aveva scaricato, dimenticandolo sul tavolo. Accennò anche al fatto che quella sera era piuttosto alticcio e l'ispettore gli rivolse un'occhiata di frettolosa commiserazione. In fondo quella dimenticanza fortuita tornava utile per avvalorare la premeditazione nell'accusa contro Jef e Marcella. Uno di loro due poteva addirittura aver sottratto il rullino.
Nel frattempo il dottor Carso riuscì ad esercitare pressioni in alto loco ed ottenne la restituzione degli incartamenti di Theroux; venne inoltre concesso il nulla osta per l'inumazione.
- Carso sa che nelle Questure c'é sempre qualcuno che passa informazioni alla stampa. Tra le carte di Theroux, resoconti di sedute e altro, c'é probabilmente materiale delicatissimo. Non ci ha dormito la notte, senza contare che si era già fatto abbastanza rumore con il fatto dell'omicidio. Era davvero molto preoccupato. C'é un sacco di gente che non aspetta altro che poter screditare la criptoanalisi.
Carlotta aveva raccontato a Dino queste cose con una certa enfasi e lui si era chiesto in che modo ne fosse venuta a conoscenza.
Nei due giorni immediatamente successivi alla morte di Theroux si erano visti pochissimo. Lei era stata risucchiata da una serie di incontri, probabilmente al quartier generale del dottor Carso, ripresentandosi a casa spesso a notte inoltrata. Ora per la prima volta si era concessa una tregua. Erano usciti loro due soli ed avevano raggiunto una locanda a L'Abbeye. Lei gli aveva sorriso per tutto il tempo del pranzo, velando lo sguardo solo un istante, al momento di comunicargli che all'indomani ci sarebbe stato il funerale di Theroux.
- Così dopodomani puoi partire, tornare in Italia.
Glielo aveva annunciato come se provasse più sollievo di quanto non dovesse provare lui stesso.
- Ho parlato con Ferruccio. Dice che passa a prenderti lui. Vi accordate domani, al funerale.
Al ritorno a casa trovarono Solange ad attenderli sulla porta del suo appartamento.
Dietro di lei comparve una figura che la affiancò.
Solange pareva imbarazzata. Si rivolse a Carlotta sussurrando. Lei sorrise amabilmente, seguirono le presentazioni. Dino Fabbri strinse la mano vigorosa della donna che era accanto a Solange e non ebbe bisogno di ascoltare le spiegazioni che gli dava sua moglie.
L'aveva riconosciuta immediatamente, nonostante i capelli precocemente incanutiti e tagliati in una foggia maschile, e il fisico appesantito, seppure ancora armonioso.
Era Claire Lehrmann.
Indossava una tuta da ginnastica lucida, blu e viola, e un paio di Reebock nere.
Dino Fabbri era emozionato. Dopo essersela studiata a lungo nell'intimità del "ripostiglio" ed aver immaginato la sua vita, formulando ipotesi che lei neppure lontanamente avrebbe potuto sospettare, se la ritrovava di fronte, più vecchia di trent'anni.
Gli occhi, d'un azzurro intenso, erano incastonati in un taglio malinconico, la bocca sinuosa, quando smetteva il sorriso, piegava in un rictus di stanchezza, come  provocato da uno sforzo che si sa inutile.
Solange parlava con imbarazzo evidente. Carlotta rispondeva ridendo, in tono di perentoria rassicurazione. Si era poi rivolta a Dino per l'inevitabile traduzione.
- la mamma di Solange é venuta a trovarla ma non sapeva che ci fossimo noi, e neppure che Theroux fosse...
Dino Fabbri si stupì che Carlotta lo informasse senza un filo di sorpresa. Dunque era ufficiale che Claire Lehrmann e Leopòld Theroux si conoscessero. L'ipotesi di un suo arrivo casuale era inaccettabile, ma Carlotta sembrava preoccupata solo di apparire cortese e disponibile. Forse  si era addirittura dimenticata dei sospetti che lui le aveva esternato pochi giorni prima.
- ...Solange era agitata perché non sapeva come dircelo, poverina ! Sua mamma non riesce a dormire se non da sola e lei ha solo il letto matrimoniale...
Dino Fabbri ripensò ai divanetti a due posti del soggiorno di Solange  e al suo grande letto disfatto.
- ...così mi chiedeva se non ci disturba che dorma da noi, su in veranda...
Senza spiegarsene la ragione Dino Fabbri provò un tuffo al cuore.
- ...naturalmente le ho detto che non se ne parla. Ci spostiamo noi. Io posso dormire con Solange...
Dino Fabbri pensò che avrebbe avuto più credenziali lui per dividere quel letto.
- ...e possiamo portare giù una delle reti del ripostiglio per te, no ? Per una notte, ci mancherebbe ! Ti pare ?
- Certo, certo - si affrettò a confermare lui.
Solange pareva rinfrancata. Sua madre, che aveva taciuto fino a quel momento, si espresse in italiano.
- Mi dispiace di portarvi disturbo. Avrei dovuto avvertire...non ricordavo che Solange avesse quei divanetti minuscoli !
 Dino Fabbri era stupito. Claire parlava un italiano fluente, pur se esotizzato dall'accento francese. Carlotta si complimentò con lei.
- Ho molti italiani che vengono da me - disse Claire.
- Sono i miei migliori clienti - aggiunse sorridendo.
Dino Fabbri si chiese a cosa si riferisse mentre già Carlotta si affrettava ad organizzarsi.
- Intanto le liberiamo subito la stanza e il bagno, così può mettersi a suo agio. Poi Dino si occuperà di portare giù la brandina.
Claire disse che non c'era fretta, che il viaggio non era stato faticoso. Dino Fabbri ricordò d’aver notato la piccola Citroen rossa, con il numero di dipartimento 83 sulla targa, posteggiata di fronte alla casa.
Carlotta intanto insisteva. Lei e Dino salirono al piano superiore per sgomberare.
Lui avrebbe avuto voglia di ricordare a sua moglie quello che le aveva detto a proposito della madre di Solange e del dottor Theroux, ma si rese conto che sarebbe stato inutile, Carlotta pareva ormai esclusivamente protesa ad un fine che riguardava soltanto lei, animata da una vitalità vagamente enfatica. Scese con una borsa da viaggio e il beauty-case all'appartamento di Solange, lasciando a Dino l'incombenza di accumulare il resto del bagaglio nel soggiorno. Lui disse che non avrebbe avuto bisogno di aiuto per il resto del trasporto. Carlotta lo lasciò solo. Poco dopo, con un filo d'imbarazzo, Claire Lehrmann apparve in ingresso.
Dino Fabbri stava in quel momento varcando la soglia del soggiorno con un materasso di lana arrotolato in equilibrio precario su una spalla. Urtò contro lo stipite e l'elasticità morbida del carico lo respinse al centro dell'ingresso, costringendolo a muovere precipitosi passi laterali nello sforzo di reggersi in piedi. Quando riuscì ad arrestarsi alzò gli occhi in quelli di Claire Lehrmann in tempo per cogliervi un accenno di riso, immediatamente troncato.
- Mi dispiace - disse lei. Aveva una voce leggera, armonica, come di chi sia abituato a cantare - Davvero, é troppo disturbo...
- No, assolutamente - replicò Dino Fabbri col fiato mozzo. Posò a terra il materasso, che si srotolò sul pavimento con un tonfo attutito.
Claire rise. Dino fece altrettanto.
- Non é necessario tutto questo traffico, riportiamolo al suo posto.
Nel dirlo Claire si chinò ad afferrarne un bordo.
- Se non la disturba la luce al mattino può dormire di là - e indicò con il mento in direzione del "ripostiglio".
Dino Fabbri la osservava incerto.
- Ma...
- Che c'é ? Dormiremo sotto lo stesso tetto, ma non credo che sia compromettente, no ? Forse sua moglie ?...
- No, no - si affrettò a farfugliare lui.
- E allora mi aiuti, su.
Dino raccolse l'altra estremità del materasso e si avviarono, barcollando un po’.
- A Tourrette St. Loup. ho un piccolo hotel. Sono abituata ad avere ospiti.
Dino Fabbri pensò che davvero parlava come se gorgheggiasse.
- Ah, sì ? - riuscì appena a chiedere, mentre riappoggiavano il carico sulla rete.
- E' bello qui - disse ancora, indicando genericamente l'esterno, attraverso le vetrate.
- C'é di meglio - rispose lei, senza guardare fuori.
Si stava dando un'occhiata attorno, come a riconsiderare quello spazio che le apparteneva, dove aveva certamente vissuto un lungo periodo della sua vita, ma nella sua espressione non affiorava la benché minima traccia di emozione. Dino Fabbri sapeva che ora si sarebbe voltata e allontanata, e che probabilmente non avrebbero più avuto occasione di trovarsi così, a tu per tu.
- Lo conosceva da tanto ? - chiese.
Il cuore gli batteva all'impazzata, come se si fosse gettato dall'alto senza sapere dove sarebbe ricaduto.
 - Chi ? - chiese lei.
- Il dottor Theroux.
Lei tacque. Lo fissò per un attimo prima di deviare lo sguardo verso l'esterno.
- Il dottor Theroux ?
- Sì, credevo che fosse qui per il funerale.
Dino Fabbri stentava a mascherare la propria trepidazione ma era quasi certo che per Claire Lehrmann lo stato d'animo in quel momento fosse lo stesso.
- No...io sono venuta a trovare i miei ragazzi, sa, non ci vediamo molto sovente...loro hanno il lavoro, la loro vita, così...
- Mi scusi, io avevo capito che fosse venuta per...
- No. Me lo ha detto Solange che c'é stato un delitto. Un amico, uno psichiatra...orribile. Strano, da queste parti.
- Credevo lo conoscesse.
Dino Fabbri si sentiva improvvisamente tranquillo. Claire Lehrmann aveva aperto a colpo sicuro un'anta d'armadio, estraendone delle lenzuola.
- Chi ? il dottore ? - si era voltata a rivolgergli un'occhiata brevemente interrogativa - Sapevo di lui. Era una figura abbastanza nota qui. Credo fosse un conoscente di mio marito...
Dino Fabbri si rese conto che non sapeva mentire. L'essere costretta a farlo la impacciava addirittura nei movimenti. Rifaceva il letto evitando di guardare verso di lui, voltandogli la schiena. Chinandosi la stoffa leggera della tuta le aderì ai glutei, alla sagoma delle cosce e dei polpacci.
I fianchi si erano allargati, il peso della carne si era accentuato senza però alterare l'equilibrio delle forme. Ma ciò che più stupiva Dino Fabbri era quell'atteggiamento pacatamente dimesso, così lontano dalla giovane donna altera delle fotografie.
Non erano i dieci chili in più che facevano la differenza, e neppure i capelli grigi o le rughe sotto l'abbronzatura. Quello che mancava era lo sguardo di sfida distratta che, in espressione più o meno intensa, c'era in ogni sua foto. Adesso quello sguardo era bonariamente schietto, anche se temporaneamente velato a causa delle domande di Dino.
- Ecco fatto - disse - non é  gran cosa. Questi vecchi letti bisognerebbe eliminarli, ma per una notte si può resistere. Possiamo procurarci un asse da mettere tra la rete e il materasso, dovrebbe essercene una...
Lanciò un'occhiata oltre la spalla di Dino, in direzione del fondo del "ripostiglio".
- ...là dietro mi pare.
- Ho visto le fotografie - la interruppe lui.
Lei tacque. Sfiorò con lo sguardo  il cassettone dove sapeva che gli album erano impilati in bell'ordine.
- Che fotografie ?
- Quelle che ci sono là dentro, non volevo curiosare ma ...
Lei alzò le spalle.
- Sono vecchie foto di famiglia, niente di speciale, non deve giustificarsi - gli sorrise, con leggero disagio.
Dino Fabbri le diede il tempo di capire che avrebbe aggiunto qualcosa, poi lo fece.
- Ho visto la foto di Capodanno e quella a Panama. Le ho guardate con la lente.
- Perché ? - chiese lei, sinceramente stupita.
- Non so... - ammise Dino - però...non so neppure perché glielo sto dicendo, é stupido, ma non capisco...non capisco perché con lui. Lei era bellissima...
- Grazie - disse Claire, recuperando un sorriso tranquillo - forse adesso sua moglie la starà aspettando, no ?
- Probabilmente sì - rispose lui, avviandosi verso l'ingresso.


giovedì 27 marzo 2014

MATRIMONIO
















dal frà davide <didieffe70@yahoo.it>
10/03/2014 10:20
Per favore, rispondere a
dal frà davide <didieffe70@yahoo.it>

Per
"Pit.Formento@comune.schio.vi.it" <Pit.Formento@comune.schio.vi.it>
CC
Oggetto
Grazie!





Caro Assessore,
volevo ringraziare davvero per la disponibilità, l'ufficialità calorosa e non troppo istituzionalizzata, la simpatia (condita da una grande ironia sempre presente nello sguardo, cosa che adoro!) dimostrata durante la celebrazione del matrimonio fatta sabato 8 scorso in Sala Consiliare.
 
Grazie quindi da me e Rossana a lei, allo staff che ha aiutato dietro le quinte, al sindaco per il biglietto e la pergamena.
 
Grande Pit.
 
 
Davide






mercoledì 26 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 13



                         

                                        TREDICI


Theroux si presentò a tavola dopo una mezz'oretta, sbarbato e profumato, con una camicia lilla sotto un blazer blu su pantaloni grigio chiaro.
Sedette a capotavola dopo aver rivolto un gesto verso i suoi ospiti, che come scolaretti si accostarono alle sedie e si accomodarono.
Anche Jef e Marcella per un momento furono della partita, per il brindisi rituale, poi, per il resto della cena, si affaccendarono dal tavolo alla cucina.
Jef aveva dato il meglio di sé. Le portate erano superbe. Le bottiglie di vino si succedevano rapidamente in tavola.
Dino Fabbri era il solo senza giacca. Persino Ferruccio Testoni ne sfoggiava una a quadrettini, con tanto di cravatta.
Noemì, come Carlotta e Solange, era in ghingheri, in un abito d'un grigio cangiante che doveva essere appartenuto a sua madre. Il rossetto e l'eye-liner le facevano dimostrare più anni di quanti non ne avesse in realtà.
Loretta era coperta di lustrini e truccata come la regina di un sarcofago egizio.
L'abito rosso scollato aveva una specie di armatura frontale che proiettava in avanti i seni tremuli. Per il resto la fasciava fino a poco sotto il bacino, evidenziando l’anello di adipe che le circondava la vita. Le gambe esili erano inguainate in calze a rete e finivano in un paio di scarpe dai tacchi vertiginosi.
Si rivolgeva ora all'uno ora all'altro a voce alta, condizionando il tono discreto della conversazione.
Saveriano la osservava senza mascherare il suo disprezzo. Theroux la ascoltava con condiscendenza paziente, nonostante il francese di lei fosse pressoché incomprensibile. Il Testoni pareva compiacersi del fatto che la moglie, dopo essersi seduta al fianco del dottore usurpando il posto di Solange, catalizzasse l'attenzione di tutti. Carlotta ridacchiava e aveva scambiato qualche battuta persino con Saveriano.
Dino Fabbri, forte della sua relativa estraneità si studiava la compagnia.
Attorno a lui si intrecciavano conversazioni di persone che mai, di sua iniziativa, avrebbe frequentato. E ora si trovava proprio lì, nell'imbarazzante ruolo di principe consorte, afferrando solo qualche parola di quelle che venivano scambiate, costretto a saltuari scambi di sorrisi e cenni consenzienti con persone cui era categoricamente indifferente. Che lo vedevano per quello che era davvero: un estraneo potenzialmente ostile.
Persino Solange, quand'era tra loro, restava distante, senza mai rivolgergli neppure uno sguardo.
Loretta intanto aveva cominciato a polemizzare per qualche ragione con Saveriano. Tentava di farlo in italiano ma l'altro le rispondeva spietatamente in francese, costringendola ad una stizza impotente.
La condiscendenza dei presenti, la volontà di dissimulare, di non tener conto degli attriti, era una specie di patrimonio comune, di accordo preliminare sviluppato con un esercizio costante.
Dino Fabbri aveva voglia di urlare a Loretta di tacere ma anche di prendere Theroux per gli stracci e invitarlo a smettere quell'ipocrita bonarietà da monaco buddista. Friggeva per la tentazione di litigare, aggredire.
Avrebbe anche desiderato alzarsi ed andarsene ma dal momento che non poteva farlo scelse il vino che più gli aggradava e, con l'accortezza di non mescolarlo con altri, si dedicò ad ubriacarsi con metodo.
Fu Jef a ricordarsi delle macchine fotografiche e ad invitarlo a scattare qualche immagine.
Dino Fabbri sulle prime si schermì, poi si rassegnò, nonostante incontrasse qualche difficoltà con la messa a fuoco per via della sbronza incalzante.
I commensali non badavano a lui, che aveva eliminato il flash, deliberando con ottimismo di scattare ad un trentesimo di secondo.
Al tavolo l'atmosfera si era come slabbrata, il vino ed i liquori avevano attenuato la vivacità polemica, liberando pulsioni meno mediate.
Nel mirino passò Theroux, intento a sbavare letteralmente su una spalla di Solange, poi Noemì, con una maschera malinconica di trucco colato dagli occhi, quindi a Jef con la bocca piena di torta alla panna, e via via agli altri.
Il meglio però lo ottenne, o perlomeno si augurò di esser riuscito a catturarne qualcosa, quando quel battibecco temporaneamente sopito tra Loretta e Cesare Saveriano, che aveva contraddistinto l'inizio della serata, riesplose, degenerando.
Dino Fabbri percepì un accavallarsi di voci, distinse un accenno interrotto della risatina caratteristica di Theroux e il suono di gambe di sedia che stridevano sul pavimento.
Vide Loretta scivolare furiosa alle spalle del dottore, che cambiava espressione passando dal distacco divertito all'apprensione, e la guardò precipitarsi su Cesare Saveriano. Alzò la macchina forse in tempo per fermare il gesto di lei, la rincorsa del braccio alzato, un istante prima che il ceffone si scaricasse sulla faccia esterefatta di Saveriano.
Subito si innescò la baraonda.
Dino Fabbri si sporse un poco in avanti e scattò ancora, nonostante la circostanza gli suggerisse di lasciar perdere.
Loretta, nella mischia, trattenuta un pò da tutti ma da nessuno con determinazione, urlava. Con un calcio mandò all'aria il carrello dei dolci, poi Jef la fermò.
La situazione ritornò gradualmente ad una parvenza di normalità. Theroux invitò Ferruccio ad accompagnare la moglie in bagno. Li guidò verso il suo e non quello di servizio. Tornò poco dopo, con una specie di smorfia di disappunto sulle labbra carnose. Poi ricomparvero anche i Testoni.
Lei singhiozzava, lui disse soltanto:
- Beh, noi allora ce ne andiamo...
Theroux gli fece cenno di attendere, si sollevò con fatica e li raggiunse. Si spostarono nell'ingresso.
Al tavolo era ripresa artificiosamente la conversazione. Carlotta si affannava con una loquacità pressoché inutile: tranne Jef gli altri parevano non trovare l'energia per piazzare una parola.
Intanto nell'ingresso i tre discorrevano animatamente, anche se sottovoce.
L'impressione era che fosse più che altro Theroux a parlare.
Dino Fabbri si spostò accanto a Carlotta. Di lì l'ingresso era visibile, pienamente illuminato da un paio di appliques alogene.
Dopo tutta quella faticosa penombra a lui parve un invito.
Inquadrò: il profilo di Theroux, la faccia di Loretta, la nuca del Testoni.
Fece appena in tempo a scattare prima che Carlotta gli abbassasse il braccio, sibilando con astio:
- Ma che cazzo fai ! Ti sembra il caso ?

lunedì 24 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 12




                                         DODICI


Sia Carlotta che Solange avevano indossato abiti eleganti; si erano acconciate e truccate come per un'occasione mondana.
- Per noi é una specie di gioco. Non ci pensare !
Aveva detto Carlotta a Dino, che si preoccupava dei suoi blue-jeans e dalla felpa a righe gettata sulle spalle.
- Ogni tanto noi facciamo un po’ di teatrino.
E con quel noi lo escludeva dal novero degli iscritti al club, sorridendogli come a un bambino con i calzini bucati.
Dino si offrì di fare da autista.
All'interno dell'abitacolo i profumi incrociati di Carlotta e Solange inebriavano.
Lui, guidando, lanciava ogni tanto uno sguardo nello specchietto retrovisore, verso Solange. Una volta soltanto lei restituì l'occhiata. Si passò lentamente la lingua sulle labbra, fissandolo. Lui dovette assumere un'espressione stranita perché lei scoppiò a ridere e si lasciò cadere all'indietro, contro lo schienale.
- Cosa c'é ? - chiese Carlotta.
Dino alzò le spalle. Lei si voltò verso Solange e chiese qualcosa in francese. L'altra rispose e riprese a ridere. Poco dopo anche Carlotta rideva. Dino Fabbri tirò un sospiro di sollievo. Voltandosi a favore di Solange Carlotta aveva scoperto le gambe, velate di calze nere sotto l'abito amaranto.
Dino Fabbri pensò che all'inizio di quella strana giornata la ragazza che era dietro di lui, e che rideva ora con sua moglie fino alle lacrime, gli si era concessa con noncuranza animalesca.
Poi, quasi con stupore, si accorse che in quel momento, nonostante tutto, delle due quella che desiderava davvero per sé era Carlotta.
Improvvisamente i suoi gesti misurati, la voce pacata, il biondo collegiale dei suoi capelli, la sua categorica incapacità di rendersi attraente sessualmente, suscitavano un effetto a sorpresa.
Il viale d'ingresso di casa Theroux era illuminato da torce a vento che si riflettevano nelle pozzanghere sulla ghiaia.
A ricevere gli ospiti  c'era Jef, che indossava una specie di smoking; un abito da cantante di night, con dei lustrini sulla giacca.
Disse che il dottore era nel bosco e che loro erano i primi arrivati.
Solange e Carlotta tenendosi sottobraccio entrarono in casa, ancora ridendo.
La luce stava calando molto lentamente.
Dino Fabbri ebbe l'idea all'improvviso e decise di metterla in atto senza neppure riflettere.
Le ragazze erano entrate e Jef lo osservava con un impercettibile accenno di disappunto per il suo abbigliamento.
- Ci deve essere una bella luce in piscina - disse Dino.
- Luce ?  Che luce ? - Chiese Jef.
- Quella del cielo.
Dino Fabbri fece un gesto ampio, a indicare l'azzurro violaceo sul quale spiccava un'unica stella lontana.
Jef alzò le spalle abbozzando un sorriso.
-Può essere - disse.
Dino Fabbri raccolse la valigetta dell'attrezzatura fotografica dal baule dell'auto e, con la massima naturalezza possibile, sfilò di fronte a Jef.
- Quasi quasi faccio qualche scatto.
- Alla piscina ?
Dino Fabbri fece cenno di sì e l'altro annuì, come a dire che tutto si poteva fare, anche una cazzata del genere.
Appena fuori dalla vista di Jef,  Dino accelerò il passo.
Giunto alla scaletta che saliva al bosco posò a terra la valigetta, scaricò una macchina e la ricaricò con un rullino ad alta sensibilità, innestò sull'ottica lo zoom più luminoso di cui disponeva, richiuse la valigetta accostandola al muro e si affrettò verso il bosco.
Cercava di muoversi rapidamente e nello stesso tempo con l'avvertenza di non far rumore, attento a percepire un eventuale movimento sul sentiero.
Arrivò in vista della radura con il cuore in gola.
Theroux era là.
Infagottato in una cerata gialla sedeva sulla panchina di legno.
Non singhiozzava. Più semplicemente mugolava, asciugandosi ogni tanto gli occhi sotto le lenti. A capo chino.
Dino Fabbri, al riparo d'un tronco, alzò la macchina e inquadrò.
Il ronzio del motore che scattava a ripetizione era coperto dal cinguettìo affannato degli stormi d'uccelli che si stavano ritirando per la notte.
Dino Fabbri alternava i campi stretti fino ai totali che sottolineavano la solitudine di quell'uomo, seduto nella radura.
Ad un tratto una specie di lampo attraversò il mirino.
Dino abbassò la macchina con un tuffo al cuore, come se fosse stato scoperto, e indagò di fronte a sé, a cercare l'origine di quello sprazzo di luce.
Theroux non si era mosso; come se nulla fosse accaduto continuava a mugolare sommessamente.
Dino Fabbri pensò ad un lampo che annunciasse un nuovo rovescio di pioggia, ma non ci fu tuono a seguire.
Scrutò il cielo e la collina sul fronte opposto al bosco. Là un paio di fari comparvero e scomparvero ripetutamente, a intervalli.
C'era una strada lassù, a mezza costa, mascherata per lunghi tratti dalla vegetazione.
Dino Fabbri portò di nuovo l'occhio al mirino. Lo zoom era, come prima, spinto alla massima posizione di tele. Il primo piano di Theroux di profilo aveva sullo sfondo, fuori fuoco, un breve tratto di strada libero dalle quinte del fogliame.
Dino Fabbri attese e di nuovo un barbaglio di luce sventagliò attraverso il mirino. Lui abbassò la macchina appena in tempo per vedere, lontanissima, un'auto scomparire dietro una macchia d'alberi.
Poco più avanti, su quel tratto di strada, doveva esserci un punto panoramico. Una piazzola si affacciava in asse con la radura. In linea d'aria non dovevano distare più di duecento metri. Se non passavano auto sulla strada era praticamente impossibile accorgersi che questa c'era.
Dino Fabbri, nel pomeriggio, non se ne era accorto, nonostante fosse sicuro d'aver scattato molte fotografie in quella direzione.
Theroux si alzò e sembrò sgranchirsi.
Dino si acquattò per un istante e poi si allontanò rapidamente verso la casa, percorrendo il sentiero, ormai quasi completamente immerso nell'oscurità, in preda ad un'emozione compiaciuta.

sabato 22 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 11




                                          UNDICI


Il giorno dopo Dino Fabbri accompagnò Carlotta a casa del dottor Theroux.
Avevano deciso che avrebbero continuato così, per evitare a Jef tutto quell'andirivieni.
Il dottore accolse Dino con magnanima benevolenza. Insistette perché si fermasse a colazione e lo invitò ad approfittare della piscina, poi lui e Carlotta sparirono nello studio e Dino si andò a sistemare su un lettino a ruote, godendosi la quiete del panorama.
La piscina si affacciava alla valle da un piano terrazzato, esposto a occidente, molto soleggiato e tranquillo. Da quella posizione della villa non si vedeva che un fianco stretto. Una grande finestra al primo piano, dalle tende tirate, era quella dello studio di Theroux.
Dietro l'edificio si estendeva, un poco scosceso, un bosco d'abeti.
In quel bosco il dottore andava a fare una lunga passeggiata all’alba e alla fine di ogni giornata di lavoro.
Carlotta gli aveva detto che, di là, lo avevano sentito spesso singhiozzare. Quando Dino gliene aveva chiesto con stupore la ragione lei aveva risposto che si scaricava del dolore assorbito dai suoi pazienti.
Lui si era domandato se anche sua moglie avrebbe finito col cercarsi un angolino appartato dove andare a piangere alla fine delle sue giornate.
Il sole dardeggiava impavido. Theroux gli aveva indicato una costruzione in legno, a ridosso di un terrapieno accanto alla piscina, dove avrebbe potuto trovare costumi e accappatoi.
Dino Fabbri ci si chiuse dentro e si spogliò.
Su una panchetta erano stirati ed impilati costumi ed asciugamani. Lui trovò un paio di boxer della sua taglia e li indossò.
Il sole filtrava attraverso le connessure d'assi tagliando la penombra con veli di pulviscolo iridescente. Il calore faceva esalare dalla verniciatura del legno un odore balneare, di cabina, che a Dino Fabbri evocò l'infanzia.
Uscì e tornò ad adagiarsi sul lettino, sentendosi vagamente a disagio, nonostante il benessere della situazione.
Venne Jef a portargli un caffé.
Dino lo sorseggiò guardandosi attorno, poi lentamente cedette a un sopore che somigliava al sonno. Si scuoteva ogni tanto con dei piccoli soprassalti, cullato da tutto quel cinguettìo e frusciar di fronde attorno.
Prima di rischiare di addormentarsi definitivamente si impegnò a vincere la pigrizia e si alzò.
Con un paio di passi raggiunse il bordo della piscina,  si arrampicò sul trampolino e si tuffò.
L'acqua era molto fredda. Dino nuotò in senso longitudinale con vigorose bracciate, avanti e indietro un paio di volte, prima di arrendersi boccheggiante, aggrappato al bordo.
Un'ombra si frappose tra lui e il sole.
La faccia di Jef gli si rivolgeva con uno sguardo allarmato. Le sue mani gesticolavano, la voce sibilava.
- Piano ! Devi fare piano ! Niente tuffi ! Non tutti quegli schizzi!
Dino Fabbri lo guardava senza capire. Abbozzò un sorriso conciliante.
- Disturbi la seduta !
Insistette Jef.
- Il dottore ha dovuto interrompere !
Dino Fabbri annuì.
- Non sapevo. Mi dispiace. Non ti preoccupare, non succederà più.
Jef rientrò in casa e Dino nuotò ancora un po’, avanti e indietro a rana, muovendosi come un incursore, increspando appena il pelo dell'acqua. Poi uscì e si rivestì.
Da occidente si era affacciata sulle cime delle montagne una nuvolaglia minacciosa. Il sole spadroneggiava ancora sulla valle ma un muro plumbeo incombeva a metà del cielo.
Dino Fabbri controllò l'orologio. Mancavano ancora un paio d'ore al termine della seduta di Carlotta e lui non aveva voglia di trascorrerle in cauta attesa sul bordo della piscina, o tantomeno a sfogliare libri in francese nel soggiorno di casa.
Nel muro di contenimento in pietra che faceva da contrafforte al terrapieno in cui si incastonava la piscina si apriva un varco: una scaletta in mattoni che si inerpicava fino all'ingresso del bosco.
Dino Fabbri decise di andare a dare un'occhiata al rifugio dei piagnistei del dottor Theroux.
L'abetaia era piuttosto estesa. Un sentierino morbido d'aghi di pino s'inoltrava sotto le fronde, salendo leggermente a mezza costa, traversato qua e là dai rilievi nodosi di robuste radici affioranti. La luce del sole filtrava con sempre maggiore difficoltà. L'aroma di resina era intenso.
Dino Fabbri proseguì fino ad una piccola radura che ospitava una panca rudimentale.
Pensò che doveva essere lì che Theroux andava a rifugiarsi a fine giornata.
Per quanto si sforzasse non riusciva ad immaginarselo in lacrime, ripiegato sulle afflizioni dei suoi pazienti. A pensarci bene Dino Fabbri si rese conto di considerarlo piuttosto un millantatore, uno spirito truffaldino, edonista e pigro, di avere di lui insomma la stessa opinione nutrita dalla cugina Ginette. E si ritrovò a pensare che sua moglie Carlotta affidava a lui la parte più fragile di sé, concedendogli una fiducia smisurata.
Non aveva mai avuto una visione così impietosa e nello stesso tempo lucida della situazione.
Improvvisamente il cielo sulla radura si oscurò.
Un sipario grigio e sfavillante si era chiuso sullo spazio pacifico di nuvolette assolate. Nell'aria si respirava all'improvviso un'odore umido di temporale. Guizzarono un paio di lampi e subito crepitarono i tuoni, con un suono di tronchi schiantati.
Dino Fabbri si affrettò sul sentiero del ritorno.
Quando arrivò alla scaletta che scendeva alla piscina la pioggia cadeva ormai a rovesci. Riuscì ad infradiciarsi completamente nel breve tratto fino all'ingresso di casa.
Theroux a pranzo non si fece vedere.
Jef e Marcella s'affaccendarono svogliatamente e la conversazione con Carlotta e Dino si limitò a considerazioni rassegnate sul cambiamento del tempo, che secondo l'ex legionario annunciava un autunno anticipato.
Carlotta sembrava impregnata d'una spossatezza serena, che si trasformò gradualmente in un modesto buonumore.
Lasciarono la villa inseguiti dal ribadito appuntamento per la sera lanciato da Jef, che aveva annunciato meraviglie in tavola.
Sull'ingresso incrociarono Saveriano in arrivo. Ci fu un breve e distaccato scambio di saluti.
Sul piazzaletto di fonte alla villa il temporale aveva lasciato larghe pozzanghere. Il cielo si era però un poco illimpidito, assumendo un colore perlato.
Dino Fabbri chiese a Carlotta se conoscesse il bosco del dottore e lei rispose di no.
Lui andò alla macchina ed estrasse la valigetta dell'attrezzatura fotografica.
- C'é una luce strana.
Disse, dando un'occhiata al cielo.
- E' vero - confermò Carlotta, avvicinandosi all'auto.
- Ti va di fare due passi ? - chiese lui.
- Qui ?
- Nel bosco.
- Ma sarà tutto fradicio !
- Non vuoi vedere il posto segreto di Leopòld ?
Chiese ammiccando Dino.
- Non fare lo stupido.
- Ci sono stato stamattina.
- A fare che ?
- Una passeggiata. E'un bel posto.
Carlotta pareva indecisa. Sicuramente qualcosa dentro di lei alimentava la curiosità, ma nello stesso tempo l'idea di profanare uno spazio così intimo di Theroux e inzupparsi d'acqua i piedi calzati di mocassini leggeri la tratteneva.
- Cos'é ? Proibito ?
Chiese provocatoriamente Dino.
- Ma cosa dici !
- Beh, é proibito fare il bagno in piscina, niente di più facile che sia anche proibito passeggiare nel bosco.
Carlotta alzò le spalle con un gesto d'insofferenza, ma non accennava a salire in auto.
- La luce comunque sta già cambiando. Se non ci sbrighiamo addio foto.
- Che foto ?
- C'é una radura. Non so, credo che adesso ci sia una bella luce là.
- Vabbe’, dai, andiamo. Quanto ci vuole ?
- Non più di cinque minuti.
 Si avviarono verso il bosco.
Dino Fabbri precedeva la moglie segnalandole i rilievi delle radici che costituivano inciampi sul sentiero.
Per un tratto il percorso fu in penombra, come fosse stata già sera, poi finalmente sbucarono alla radura ed era come Dino aveva previsto. La luce era fiabesca. Un ponte d'arcobaleno congiungeva le cime degli abeti del versante sud-est al fronte opposto, che si perdeva dietro una costa di collina lontana.
Carlotta si avvicinò alla panchina e la osservò con cautela.
Dino sapeva che cercava di immaginare Theroux, seduto lì a piangere.
Estrasse un paio di macchine cominciò a scattare.
L'odore di tronchi e muschio bagnati era penetrante. Il canto degli uccelli assumeva a tratti una veemenza inattesa.
Ricomparve a sorpresa un raggio di sole, obliquo a colpire il centro della radura.
Dino Fabbri scattava.
Con un tele su una macchina cercava dettagli, con un 24mm. sull'altra tentava di abbracciare tutto quello spazio e le sue venature cangianti.
Ad un certo punto Carlotta entrò nel suo campo visivo.
A lei non piaceva essere fotografata, ma in quel momento non si rendeva conto di essere inquadrata.
Nel cerchio dello stigmometro al centro del 180 mm. il suo viso, alonato dalla sfocatura della mancanza di profondità di capo, appariva malinconico.
A Dino Fabbri parve bellissimo.
Scattò un paio di volte prima che lei alzasse lo sguardo e con una smorfia di dispetto gli voltasse la schiena.
- Dai ! Adesso andiamo che ho tutti i piedi bagnati.
Disse.