lunedì 10 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 4





                                  QUATTRO


Fuori era calata l'oscurità. Le scale e l'atrio erano rischiarate in maniera fioca; nell'aria l'odore di caucciù aveva preso il sopravvento su quello di canfora e mele secche.
Di fronte al vialetto la figura minuta di Solange sedeva alla guida di una Golf G.T. bianca con vistose bande rosse lungo le fiancate, pneumatici maggiorati su cerchioni avveniristici e un ronfare gorgogliante del motore al minimo, che faceva pensare a  marmitte modificate.
Salirono e Solange partì sgommando, con un frastuono che confermava il sospetto riguardo allo scappamento.
Coprì il tratto tra Vaulion e Les Charbonnières ad altissima velocità, con una sorprendente padronanza del mezzo. Un nastro dei Ramones strepitava nello stereo.
Carlotta, seduta dietro, appoggiata con i gomiti sui sedili anteriori, rideva.
- Guida come una pazza !
- Vedo - aveva assentito Dino, aguzzando lo sguardo oltre lo spazio illuminato dai fari.
- Però é bravissima, non c'é da aver paura.
Aveva concluso Carlotta.
Lui aveva annuito senza convinzione, voltandosi verso Solange, che parlava soltanto francese e tedesco, pregiudicando così definitivamente la possibilità di comunicare con lui.
Era vestita con eleganza, tutta in nero, circonfusa  d'una nube penetrante di profumo.
Dino notò che aveva appoggiato un paio di scarpini nel portaoggetti davanti alla leva del cambio. Sfrecciando nei coni di luce dei lampioni di Le Pont vide che premeva i pedali con rapidi passaggi dei piedi nudi.
Si accorse anche che le aleggiava sulle labbra un sorriso un pò troppo fermo ed ebbe l'impressione che dietro all'intensità inebriante del profumo si nascondesse un sentore liquoroso.
Voltandosi con noncuranza verso Carlotta e indicando qualcosa oltre l'imbrunire fuori del finestrino chiese:
- Non é che ci dà dentro con la bottiglia ?
- A volte - rispose Carlotta.
- Ah bene, e adesso ?
- Può essere, ma solo un goccetto.
- Ah...
- Dai, che tanto siamo quasi arrivati.
- Sì, ma al ritorno ?
- Al ritorno in genere guido io - concluse Carlotta ridacchiando.
Intanto, dopo un paio di tornanti di sterrato che Solange aveva affrontato con derapate controllate millimetralmente, si erano fermati di fronte al cancello di una villa isolata. Tutt'attorno sagome nere di abeti svettavano contro il cielo notturno.
Solange abbozzò una sequenza di colpetti di clacson e il cancello prese ad aprirsi automaticamente, con esasperante lentezza.
Ora che aveva spento lo stereo un silenzio ovattato, come innaturale, si era appropriato dell'abitacolo.
Solange inchiodò di fronte ad un portoncino illuminato, afferrò gli scarpini e li infilò con un gesto rapido, molto femminile e semplice nonostante l'impaccio del sedile, che teneva molto accostato al volante per via del suo metro e cinquanta d'altezza.
Sulla porta che si era spalancata era comparsa una donna. Nello scendere dall'auto Carlotta aveva sussurrato al'orecchio di Dino:
- Quella é Marcella...
Durante il pomeriggio, dopo gli amoreggiamenti, gli aveva illustrato le figure con le quali sarebbe venuto in contatto in serata.
Solange già aveva avuto modo di conoscerla e comunque non apparteneva alla cerchia di quelli direttamente coinvolti nella questione psicoanalitica: lavorava come segretaria in uno studio legale a Yverdon e frequentava da qualche anno la casa del dottor Theroux.
Pareva che lui cercasse da sempre di portarsela a letto senza riuscirci. Lei aveva una specie di fidanzato che Carlotta era sicura fosse un bisessuale e che era finito già un paio di volte in galera per reati minori. Era poi toccato a Marcella e a Jef Van Neer e la loro descrizione aveva affascinato Dino.
Jef era un ex legionario fiammingo, approdato al dottor Theroux grazie ad un'iniziativa del direttore del carcere di Losanna, che aveva deliberato di sperimentare sedute di supporto psicoanalitico per detenuti particolarmente disturbati.
Il dottor Theroux si era reso disponibile per l'esperimento e Jef, che scontava una pena per tentata estorsione, era divenuto suo paziente.
Tra i due si era immediatamente instaurato un vacillante e provocatorio equilibrio.
A quel punto del racconto il linguaggio di Carlotta si era infittito di una terminologia che Dino Fabbri aveva finto di decifrare, per evitare che lei lo accusasse di opporre "resistenze".
In definitiva i due vivevano da anni sotto lo stesso tetto.
Dopo il rilascio Jef era entrato al servizio di Theroux in qualità di domestico e cuoco. A detta di Carlotta eccellente.
Dove avesse incontrato Marcella restava un mistero e di lei si sapeva soltanto che era stata suora.
Jef se l'era portata a casa e imposta a Theroux, che aveva accettato lo stato di fatto.
Lei si era rivelata abile come una contadina. In un angolo appartato del giardino aveva organizzato un orto, un pollaio, una conigliera. Allevava e giustiziava parte del cibo della mensa perennemente conviviale del dottore.
Ora, sulla porta spalancata, offriva a Dino Fabbri qualcosa di molto diverso dall'immagine che lui se n'era fatto in base al racconto di Carlotta. Era una donna goffa, dai fianchi larghi, con un viso arcigno sul quale riusciva ad allargare un sorriso accattivante. La bocca era il tratto più saliente di una fisionomia insignificante: sempre  semiaperta, con una corona di denti robusti e perfettamente allineati. Dino Fabbri la immaginò vestita da suora e si rese conto che doveva esser stata perfetta.
Neppure Jef coincideva con l'immagine che Dino se ne era fatto. L'ex legionario che aveva scontato anni di galera era giovane, paffuto come un bambino, con una gran testa di riccioli castani, uno sguardo gioviale, una stretta di mano debole e umida e un eloquio frettoloso, smozzicato.
Dino venne introdotto con Carlotta e Solange nella sala da pranzo in cui troneggiava una lunga tavola imbandita. A un capo di questa sedeva il dottor Theroux, che ora si alzava con impercettibile impaccio per accogliere gli ospiti. Altre due persone stavano a tavola con lui. L'ambiente era rischiarato con una discrezione eccessiva, al limite della penombra.
Dino Fabbri si rese conto che la sua presenza formalizzava un po’ l'atmosfera. Provò un'imbarazzante sensazione di estraneità prima che il dottor Theroux gli fosse di fronte, altissimo, dinoccolato, e gli rivolgesse qualche convenzionale frasetta di benvenuto che, inaspettatamente, lo mise a proprio agio.
Il dottore aveva una voce profonda, vellutata d'una suadenza piena di confortanti sfumature. La sua stretta di mano era generosa, il suo sguardo, nonostante la penombra e le spesse lenti da miope che teneva appoggiate sul naso adunco, possedeva una soavità ipnotica.
Di lui Carlotta, nel pomeriggio, aveva tracciato un'esegesi inattendibile. Dino Fabbri si limitò a considerare che per essere un uomo che - come diceva lei - "soffriva moltissimo", aveva un aspetto decisamente florido.
Gli altri due ospiti si accostarono per le presentazioni: l'uomo con una rumorosa sollecitudine che mascherava un'indifferenza astiosa, rivelandosi identico - almeno lui -  a come Dino lo aveva immaginato. La ragazzina invece con una timidezza da aborigeno, sussurrando il proprio nome e sgusciando via dalla stretta di mano di Dino con l'agilità dell'abitudine alla fuga.
L'uomo era un regista teatrale romano di modesta notorietà ma con una moglie primogenita d'un senatore più volte ministro. Carlotta aveva raccontato a Dino che subito dopo il suo arrivo  Cesare - così si chiamava l'uomo - aveva manifestato gelosie infantili, mettendo in atto ripicche imbarazzanti, disturbato oltre misura da quella che viveva come un'intromissione, una riduzione dell'attenzione del dottore nei suoi confronti, insomma aveva subìto una specie di regressione, affrontando l'arrivo di Carlotta come un bimbo la nascita di una sorellina.
Dino Fabbri aveva osservato Cesare Saveriano per parte della cena, non capacitandosi che quell'uomo, che aveva superato i quarant'anni, corpulento e verboso, animato da una boria incontrollabile, potesse davvero ridursi alla descrizione che Carlotta ne aveva fatto. Eppure, in effetti, ogni volta che Theroux si rivolgeva a lei, in Saveriano affiorava una sorta di ipercinesi che lo spingeva a rumoreggiare con le posate, con le parole, ad alzarsi e ricrollare a sedere senza ragione.
Il dottor Theroux, a capotavola, teneva accanto a sé da una parte Carlotta e dall'altra Solange. Con quest'ultima condivideva la solerte reciprocità nel versarsi da bere.
La ragazzina Noemì sedeva tra Carlotta e Marcella, Saveriano tra Solange e Dino Fabbri, Jef occupava il posto di fronte a Theroux e lui e Marcella interrompevano a turno il pasto per portare in tavola, dalla cucina, pietanze piuttosto elaborate.
Dino Fabbri non riusciva a spiegarsi cosa fosse a suggerirgli l'idea di un'atmosfera carica di tensione repressa.
Jef e Marcella lo subissavano di attenzioni alimentari, di sorrisi incoraggianti, e il dottor Theroux ogni tanto lo chiamava in causa per pura cortesia formale, rivolgendosi a lui in inglese e disinteressandosi a ciò che lui, con altrettanta cortesia, articolava di rimando. Per il resto la conversazione era rigorosamente in francese, anche tra Carlotta e Saveriano, nelle rare e laconiche occasioni in cui si rivolgevano la parola.
La stanchezza del viaggio, la sveglia all'alba, e ora quel vino rosso e le luci basse, tutte quelle parole che s'intrecciavano incomprensibili, avevano finito con l' isolare Dino Fabbri in una quiete silenziosa, prossima al sonno. Per vincerla si era rivolto a Noemì, chiedendole se parlasse inglese. Lei, con un soprassalto intimorito, aveva risposto di sì. Lui ritenne che stimolarla al dialogo, quale che fosse, sarebbe servito a restare svegli.
Di lei Carlotta aveva detto poco, ma quel poco bastava all'obbligo della curiosità.
Era figlia di un vicino di casa del dottore, per l'esattezza del proprietario del villino che confinava con la proprietà. Lì Noemì viveva sola. La madre aveva abbandonato lei e il marito e se ne era andata con un'altra donna, di cui era amante da lungo tempo, portando con sé il fratellino di Noemì. Per tutta reazione il padre aveva preso in casa una mulatta di Trinidad di appena un paio d'anni più vecchia di Noemì - che non doveva averne più di quindici o sedici - e l'aveva messa incinta.
Ora Noemì viveva sola nel villino, con il poco denaro che le inviava la madre lesbica, allontanata dal fratellino che adorava e senza notizie del padre, della sua donna e del fratellastro, partiti da mesi per Tobago, dove lui intendeva ricostruire la propria esistenza, indifferente al fatto d'essere artefice della distruzione di quella della figlia. Come sovrapprezzo Noemì si era innamorata di un ragazzotto di vent'anni, una sorta di bellimbusto motociclista, che per un po’ s'era installato a casa sua per poi andarsene, senza preavviso e senza fornire spiegazioni.
Nonostante tutto questo Noemì non suscitava pietà o commiserazione. Dissimulava con un atteggiamento vagamente autistico tutta la sofferenza che le era stata imposta, o almeno così pareva a Dino Fabbri.
Dal suo posto Cesare Saveriano aveva alzato la voce, accanendosi con un sorriso affilato dall'ira contro qualcosa che il dottor Theroux andava ripetendo con il suo suadente tono baritonale. Solange ridacchiava e Carlotta alzava gli occhi al cielo. Jef e Marcella erano spariti in cucina.
Dino Fabbri si protese leggermente verso Noemì e intraprese con affabilità la conversazione in inglese.
Lei rispondeva a monosillabi, sfiorandolo con lo sguardo per poi posarlo altrove. Non pareva disturbata da ciò che stavano dicendo all'altro capo del tavolo, che a Dino Fabbri riusciva incomprensibile ma che si andava indirizzando sui toni del litigio.
Ad un tratto lei sembrò optare per una scelta importante e, alzando gli occhi in quelli di Dino, disse:
- Il mio ragazzo mi ha lasciata.
Lui ebbe un attimo di perplessità, indeciso se raccogliere quello che pareva un invito, poi decise che ne valeva la pena.
- Com'é andata ? Hai voglia di parlarne ?
Noemì annuì e raccontò tutta la storia, in realtà breve e piuttosto banale, dalla quale si desumeva, nonostante tutti i tentativi di lei di aureolarlo, che il ragazzo era un imbecille, una specie di fascistello egocentrico.
Noemì, tormentando il tovagliolo, si lasciò sfuggire che era un figlio di puttana. Lo disse sottovoce, come sorpresa dalla sua stessa affermazione.
Jef e Marcella erano ricomparsi con i vassoi del gelato e del dolce. L'animosità dei commensali di fondotavola non si era attenuata.
Dino Fabbri annuì e confermò.
- Hai ragione - disse - proprio un gran figlio di puttana.
Poi, a mo' d'incoraggiamento, posò una mano su quella con cui Noemì attanagliava il bordo del tavolo e concluse che sicuramente avrebbe presto trovato di meglio.
Jef e Marcella avevano appena fatto in tempo a posare i vassoi. Noemì sbarrò gli occhi e il mento ebbe un tremito. Emise un gemito flebile e subito esplose in un pianto isterico.
Il dottor Theroux, Cesare Saveriano, Carlotta e Solange cessarono d'incanto le ostilità, voltandosi verso Noemì in tempo per vedere Dino Fabbri che si ritraeva, abbandonando la mano di lei.
Dino incrociò lo stupore interrogativo dello sguardo di Carlotta.
Noemì intanto si era scostata dal tavolo e piangeva a dirotto, piegata in due sulla sedia.
Solange le corse accanto. Gli sguardi stupiti e delusi di Jef e Marcella andavano dai vassoi alla ragazza in lacrime, passando con un accenno di perplessità su Dino Fabbri.
Il dottor Theroux confabulava con Carlotta. Saveriano abbozzò un sorriso sarcastico in direzione di Dino.
- Che cosa le hai fatto ?
Fu la domanda che Carlotta gli rivolse con distacco inquisitorio. Lui s'alzò il palmo delle mani contro il petto.
- Io?!
Rise scuotendo la testa, mentre gli altri l'osservavano.
- Ma non le ho fatto assolutamente nulla !...Parlavamo e all'improvviso...
Theroux si rivolse a Carlotta. Dino Fabbri capiva che le stava rivolgendo delle domande, e con un tono che non gli piacque.
- Di che cosa parlavate ?
Chiese ancora Carlotta. Lui si stizzì.
- Ma di che cosa vuoi che parlassimo ! Cazzate...mi ha raccontato la sua storia con quel tipo, roba così...e poi di colpo eccola lì.
Carlotta parlottò ancora con il dottore mentre Solange riusciva a vincere i singhiozzi di Noemì e a sollevarle il viso.
Theroux le indirizzò un brindisi con fare paterno. Jef si esibì in un piccolo applauso e Marcella prese a distribuire le coppette.
L'incidente pareva dunque chiuso. Restarono a tavola ancora per quasi un quarto d'ora. Per tutto il tempo Noemì evitò d'incrociare lo sguardo di Dino Fabbri, sorridendo con una mestizia che a lui pareva artificiosa ai vari commensali che, a turno, si sentivano in dovere di rivolgerle attenzioni affettuose.
Jef abbozzò dei maldestri tentativi di conversazione con Dino.  Fu l'unico a rivolgergli la parola per il resto della serata.
Quando all'improvviso il dottor Theroux appoggiandosi con le mani al tavolo, si sollevò in tutta la sua disarticolata altezza, i suoi ospiti, come ad un segnale convenuto, fecero altrettanto.
Lui congedò la compagnia con poche parole distratte, un poco incespicanti, sgusciò a fatica dal suo posto e si avviò a passi malfermi verso un corridoio buio, che si apriva in fondo alla sala.
I commiati furono sbrigativi. A Dino Fabbri parve di cogliere, in un rapido sguardo che Noemì s'era decisa a rivolgergli nel salutarlo, un accenno di sorriso beffardo, ma pensò che fosse frutto della sua immaginazione, stimolata da quella cena che gli era parsa una commedia assurda.
Solange era ubriaca. Salì in macchina accomodandosi sul sedile posteriore e Carlotta si mise alla guida.
- Ma fa sempre così ? - chiese Dino.
- No. A volte é solo un po’ euforica.
- Tutte le sere ?
- Ogni tanto.
- E l'indomani prende, parte e va a fare l'ineccepibile segretaria di uno studio legale ?
- Già.. - Carlotta ridacchiò.
- Ha un gran fisico - considerò Dino Fabbri.
- Bè... - mormorò Carlotta, dando un'occhiata a Solange attraverso lo specchietto retrovisore.
- Non intendevo in quel senso !
- S'é addormentata...
- Dicevo che proprio perché é una specie di miniatura a maggior ragione, voglio dire, insomma é robusta se regge tutto quell'alcool con un fisico così, e poi tutte le sere.
- Macché tutte le sere !
- Mhm...E anche lui era sbronzo eh ?
- Lui chi ?
- Theroux.
Carlotta tacque per un lungo momento.
- Sì - ammise poi, apparentemente a malincuore.
- Anche lui spesso ?
- Capita. Ogni tanto.
- Ah, però...
- E' un modo di scaricare le tensioni.
- Non originalissimo.
Carlotta alzò le spalle con un accenno di fastidio.
Dino Fabbri sarebbe anche stato disposto ad affrontare uno screzio ma era stanchissimo. Cambiò argomento.
- E quella stronzetta invece ?
- Noemì ?
- Già, proprio lei. Ma sai che ho l'impressione che lo abbia fatto apposta ?
- Cosa ?
- Tutta la sceneggiata. Come se ci avesse preso gusto a cacciarmi in una situazione imbarazzante.
- Secondo me esageri.
- Sarà...Certo che é una bella squadra di suonati. Non me lo sarei aspettato...
- Se sei pentito d'essere venuto dillo pure.
Carlotta aveva assunto un inatteso tono di freddezza.
- Non intendevo dire questo ! Voglio dire, ammetterai che é stata una cena strana.
- Una cena strana ?
- Ma sì ! E l'ex legionario, e l'ex suora,  e quel cazzone che ti odia, questa qua dietro che si sbronza, lo psicoanalista stregone che fa altrettanto...
Dino Fabbri avrebbe proseguito ma Carlotta lo interruppe.
- Sei appena arrivato. Ti sei inserito in un ambiente con equilibri particolari, di cui non sai nulla. Ti sei mosso come un elefante in una cristalleria e adesso trinci giudizi. Non é da te. - concluse con tono vitreo.
Lui aveva voglia di replicare ma tacque. Arrivarono a casa. Solange si indirizzò verso il suo ingresso come una sonnambula frettolosa e Carlotta e Dino guadagnarono stancamente il piano superiore.
La notte lui sognò d'essere nudo ad una cena a casa del dottor Theroux.  Dissimulava, fingendo che la cosa non lo imbarazzasse ed era costretto a tenere a bada Loretta Testoni, che gli si avvicinava carponi, sotto il tavolo, cercando di lapparglielo.

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