lunedì 24 marzo 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 12




                                         DODICI


Sia Carlotta che Solange avevano indossato abiti eleganti; si erano acconciate e truccate come per un'occasione mondana.
- Per noi é una specie di gioco. Non ci pensare !
Aveva detto Carlotta a Dino, che si preoccupava dei suoi blue-jeans e dalla felpa a righe gettata sulle spalle.
- Ogni tanto noi facciamo un po’ di teatrino.
E con quel noi lo escludeva dal novero degli iscritti al club, sorridendogli come a un bambino con i calzini bucati.
Dino si offrì di fare da autista.
All'interno dell'abitacolo i profumi incrociati di Carlotta e Solange inebriavano.
Lui, guidando, lanciava ogni tanto uno sguardo nello specchietto retrovisore, verso Solange. Una volta soltanto lei restituì l'occhiata. Si passò lentamente la lingua sulle labbra, fissandolo. Lui dovette assumere un'espressione stranita perché lei scoppiò a ridere e si lasciò cadere all'indietro, contro lo schienale.
- Cosa c'é ? - chiese Carlotta.
Dino alzò le spalle. Lei si voltò verso Solange e chiese qualcosa in francese. L'altra rispose e riprese a ridere. Poco dopo anche Carlotta rideva. Dino Fabbri tirò un sospiro di sollievo. Voltandosi a favore di Solange Carlotta aveva scoperto le gambe, velate di calze nere sotto l'abito amaranto.
Dino Fabbri pensò che all'inizio di quella strana giornata la ragazza che era dietro di lui, e che rideva ora con sua moglie fino alle lacrime, gli si era concessa con noncuranza animalesca.
Poi, quasi con stupore, si accorse che in quel momento, nonostante tutto, delle due quella che desiderava davvero per sé era Carlotta.
Improvvisamente i suoi gesti misurati, la voce pacata, il biondo collegiale dei suoi capelli, la sua categorica incapacità di rendersi attraente sessualmente, suscitavano un effetto a sorpresa.
Il viale d'ingresso di casa Theroux era illuminato da torce a vento che si riflettevano nelle pozzanghere sulla ghiaia.
A ricevere gli ospiti  c'era Jef, che indossava una specie di smoking; un abito da cantante di night, con dei lustrini sulla giacca.
Disse che il dottore era nel bosco e che loro erano i primi arrivati.
Solange e Carlotta tenendosi sottobraccio entrarono in casa, ancora ridendo.
La luce stava calando molto lentamente.
Dino Fabbri ebbe l'idea all'improvviso e decise di metterla in atto senza neppure riflettere.
Le ragazze erano entrate e Jef lo osservava con un impercettibile accenno di disappunto per il suo abbigliamento.
- Ci deve essere una bella luce in piscina - disse Dino.
- Luce ?  Che luce ? - Chiese Jef.
- Quella del cielo.
Dino Fabbri fece un gesto ampio, a indicare l'azzurro violaceo sul quale spiccava un'unica stella lontana.
Jef alzò le spalle abbozzando un sorriso.
-Può essere - disse.
Dino Fabbri raccolse la valigetta dell'attrezzatura fotografica dal baule dell'auto e, con la massima naturalezza possibile, sfilò di fronte a Jef.
- Quasi quasi faccio qualche scatto.
- Alla piscina ?
Dino Fabbri fece cenno di sì e l'altro annuì, come a dire che tutto si poteva fare, anche una cazzata del genere.
Appena fuori dalla vista di Jef,  Dino accelerò il passo.
Giunto alla scaletta che saliva al bosco posò a terra la valigetta, scaricò una macchina e la ricaricò con un rullino ad alta sensibilità, innestò sull'ottica lo zoom più luminoso di cui disponeva, richiuse la valigetta accostandola al muro e si affrettò verso il bosco.
Cercava di muoversi rapidamente e nello stesso tempo con l'avvertenza di non far rumore, attento a percepire un eventuale movimento sul sentiero.
Arrivò in vista della radura con il cuore in gola.
Theroux era là.
Infagottato in una cerata gialla sedeva sulla panchina di legno.
Non singhiozzava. Più semplicemente mugolava, asciugandosi ogni tanto gli occhi sotto le lenti. A capo chino.
Dino Fabbri, al riparo d'un tronco, alzò la macchina e inquadrò.
Il ronzio del motore che scattava a ripetizione era coperto dal cinguettìo affannato degli stormi d'uccelli che si stavano ritirando per la notte.
Dino Fabbri alternava i campi stretti fino ai totali che sottolineavano la solitudine di quell'uomo, seduto nella radura.
Ad un tratto una specie di lampo attraversò il mirino.
Dino abbassò la macchina con un tuffo al cuore, come se fosse stato scoperto, e indagò di fronte a sé, a cercare l'origine di quello sprazzo di luce.
Theroux non si era mosso; come se nulla fosse accaduto continuava a mugolare sommessamente.
Dino Fabbri pensò ad un lampo che annunciasse un nuovo rovescio di pioggia, ma non ci fu tuono a seguire.
Scrutò il cielo e la collina sul fronte opposto al bosco. Là un paio di fari comparvero e scomparvero ripetutamente, a intervalli.
C'era una strada lassù, a mezza costa, mascherata per lunghi tratti dalla vegetazione.
Dino Fabbri portò di nuovo l'occhio al mirino. Lo zoom era, come prima, spinto alla massima posizione di tele. Il primo piano di Theroux di profilo aveva sullo sfondo, fuori fuoco, un breve tratto di strada libero dalle quinte del fogliame.
Dino Fabbri attese e di nuovo un barbaglio di luce sventagliò attraverso il mirino. Lui abbassò la macchina appena in tempo per vedere, lontanissima, un'auto scomparire dietro una macchia d'alberi.
Poco più avanti, su quel tratto di strada, doveva esserci un punto panoramico. Una piazzola si affacciava in asse con la radura. In linea d'aria non dovevano distare più di duecento metri. Se non passavano auto sulla strada era praticamente impossibile accorgersi che questa c'era.
Dino Fabbri, nel pomeriggio, non se ne era accorto, nonostante fosse sicuro d'aver scattato molte fotografie in quella direzione.
Theroux si alzò e sembrò sgranchirsi.
Dino si acquattò per un istante e poi si allontanò rapidamente verso la casa, percorrendo il sentiero, ormai quasi completamente immerso nell'oscurità, in preda ad un'emozione compiaciuta.

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