mercoledì 21 settembre 2011

HABEMUS PAPAM

Sono stato al Cineforum a vedere "Habemus papam" che mi ero perso.
In sala ho trovato la Betta e Arianna, e all'uscita Giulietta (che preferisce essere chiamata Giulia che è il suo vero nome ma, per me e Laura almeno, è irresistibilmente Giulietta).

Arianna


Giulietta e Betta

Betta e Arianna

Ci siamo lasciati in fretta perchè faceva freddino e loro erano in bicicletta.
Le ho guardate filar via pedalando come se fossero in gara.
A casa ho raccontato il film e le nostre amiche a Laura e lei si è divertita per la trama e intenerita per le ragazze. 
Appartengono a un bel gruppo - maschi e femmine poco oltre i vent'anni -  e sono simpatici, intelligenti, curiosi. E brave persone. Un po' come i cardinali dipinti da Moretti. 
Nel film mi è piaciuta molto questa visione rigorosamente laica ma empatica, non pregiudiziale. Mi ha meravigliato la capacità di descrivere le liturgie imponenti ed ipnotiche ( l'oppio dei popoli...) e l'enormità del potere contrapposti alle debolezze infantili e veniali dei "creatori" di pontefici. 
La scena con le indicazioni su sonniferi e ansiolitici è deliziosa.
Ad un certo momento nel film compare un'attrice che interpreta un'attrice.
Ho passato il resto della proiezione a chiedermi come si chiamasse ma ho dovuto attendere i titoli di coda. Rossana Mortara.
Nel 1990, quando aveva più o meno l'età delle mia amiche "cicliste", l'avevo scelta durante dei provini per uno spot pubblicitario. Recitava in teatro, era agli inizi.
Ritrovarla in un film di Moretti mi dice che ce l'ha fatta, come del resto il suo partner in quello spot, Maximilian Nisi, anche lui affermato attore di teatro.
Ce l'hanno fatta, come spero - e credo - ce la faranno le ragazze e i ragazzi di cui ho accennato, che ora si stanno sparpagliando per il mondo a cercarsi un futuro, ma tornano ogni tanto, e ci si vede al Garibaldi. Finchè dura.




IPOTESI CINEMA

Mary e Daniele mi hanno fatto avere le fotocopie di alcune pagine di una pubblicazione che si intitola "Luci sulla città. Vicenza e il cinema". 
Le pagine, scritte da Mario Brenta, riguardano Ipotesi Cinema e sono corredate da quattro fotografie, due delle quali sono foto di scena di un mio vecchio cortometraggio del 1987, "Luce a cavallo".
Non ho idea del perchè della scelta di Mario, a parte il fatto che sono belle foto ( una in particolare era stata utilizzata per il manifesto del decennale di I.C., e contrariamente a quanto millanta la didascalia che l'attribuisce a Thierry Toscan, era stata scattata da Guido Salvini). Sono foto di lavorazione di un filmetto che apparteneva ad una serie realizzata da una decina di registi, e di cui si è fortunatamente persa traccia.
Quello che posso dire è che mi ci ero divertito a girarlo, e che molti della vecchia guardia erano presenti sia come troupe che come attori improvvisati, Mario compreso ( ed eccola, forse, la ragione. C'è anche lui, con quel cappellino che gli piaceva tanto, a fare la parte del direttore della fotografia M. Laszlo)
Qui di seguito metto un montato di frammenti misti di film e di making.





Voglio dire anche qualcosa riguardo a Ipotesi Cinema. 
Non mi sarebbe venuto in mente di aggiungere altro rispetto a quanto avevo scritto in "UN MESTIERE" e sarebbe stato meglio, perchè il commiato sarebbe rimasto sull'onda placida di un ricordo affettuoso, ma rispetto a quanto scrive Brenta la mia opinione è diversa. 
Ipotesi Cinema ha avuto un esordio magico e avvincente, la luna di miele è durata si e no due anni.
Il seguito è stata una lunghissima occasione mancata. Non è stata colpa di nessuno. Semplicemente si era promesso qualcosa che era difficile da mantenere, vale a dire fornire al Cinema Italiano nuove figure autoriali di statura particolarmente significativa. Non è accaduto.
Due cose mi meravigliano. La prima è che I.C. esista ancora, o che si regga ancora in piedi, per incomprensibili ragioni, un suo simulacro, la seconda è che uno come Mario Brenta si accolli la responsabilità imbarazzante di un tassodermista innamorato. Mi ricorda in modo inquietante il dottor Ara, che dopo aver imbalsamato il cadavere di Evita Peròn se ne invaghì, compromettendo la propria autorità e il proprio equilibrio.
Ammetto che c'è stato un tempo in cui l'esperienza è stata bellissima, e che ad alcuni di noi Ipotesi Cinema ha fornito gli strumenti per praticare un mestiere affascinante ed esplorativo. Ma è morta.
Morta da così tanti anni che quando abbiamo celebrato il decennale della sua nascita - nel '92 o '93, non ricordo - nell'aria c'era già un insopportabile odore di incenso, crisantemi e ceri funebri.
Quindi i pellegrinaggi sentimentali, quando non surrettizi, sono rischiosi, finiscono col non tener conto, ad esempio, di una dichiarazione di Giacomo Campiotti, che definiva Ipotesi Cinema "Uno dei posto dove sono stato peggio in vita mia".

mercoledì 14 settembre 2011

JANIS 6

Laura Bettanin, Madrid, 1979




Laura (camicia azzurra e golf blu sulle spalle)
con i Detassis e la squadra di lavoro al rifugio Brentei
 settembre 1978.





Laura Bettanin e Ermanno Olmi, Ouarzazate, Morocco, 1993.




27 febbraio 1999 - ALL STARS REVIVAL -
Laura ( In alto, tra le due bionde) con ex 
compagne di basket, allenatori, dirigenti.





Laura Bettanin/ Janis Joyce




Janis / Laura





 Janis Joyce in erba,
Spagna, settembre 1979

domenica 11 settembre 2011

DANCING - 1986

Curioso - al solito - come vanno le cose.
Sotto il tiro di una beffarda serendipità mi trovo ad affrontare l'argomento DANCING, un documentario girato nel 1986.
Tra quelli citati nel post del primo di settembre ero convinto che mi sarei occupato soprattutto di JAZZ  DANCING, per via delle foto di scena, della lavorazione avventurosa e un po' corsara, delle complicazioni superate con incoscienza e di  Michèle Roussel in quel di Annecy e invece niente, ho rinunciato,  è stato sufficiente non poter postare il balletto che più mi piaceva (e anche il più interessante dal punto di vista coreografico, direi) per smantellare il castello - fragile, evidentemente - della narrazione che avevo in mente.
Di DANCING ero convinto, invece, che non avrei detto nulla, anche se ancora adesso è uno dei lavori che ricordo con più affetto e che, soprattutto nella sua costruzione, coincide più di altri con quella che è la mia idea di come osservare ciò che mi circonda. 
La genesi è da far risalire ad una passeggiata al Valentino con Speedy. 


Perchè mai ce ne andassimo a spasso come due vecchietti, non so. Sta di fatto che dalle parti  del tempietto delle Belle Arti ci ha incuriosito una musica da sala da ballo che arrivava da un edificio di cui non si riuscivano ad identificare bene i contorni. 
Saranno state le tre del pomeriggio, ed era  inverno.
Io, sicuramente, mi sarei limitato a immaginare e tirar dritto  ma Speedy invece ha messo il naso dentro. Insomma siamo entrati e abbiamo scoperto un mondo.
Il dancing Belle Arti apriva ogni pomeriggio dell'anno, dalle due alle sei mi pare, accogliendo una folla di donne e uomini per lo più di età avanzata, che trovavano là l'occasione di misurare le loro residue forze di seduzione.
Valzer, tanghi e cha cha cha erano i pretesti di avvicinamento, ma pochi erano là solo per ballare. Si trattava di una specie di anticamera della resa, dove posticiparla senza troppe illusioni era una possibilità. 
L'idea di girarci un film, là dentro, è stata immediata. L'anziano titolare si è detto d'accordo.
Io avevo da poco venduto JAZZ DANCING a RAI3 che allora, a Torino come a Roma, Milano e Napoli, produceva documentari riguardanti il territorio, e quindi sapevo a chi sottoporre il progetto.
Nel complesso la lavorazione è durata dal 21 aprile al 15 maggio del 1986. Non esistono testimonianze fotografiche di quell'esperienza, non parliamo di backstage.
Il documentario, come tutti quelli che allora produceva  la sede regionale di RAI3, durava una mezz'ora.
Qui posterò pochi minuti ma nel filmato originale compaiono persone che riuscivano a spiegare cosa li spingesse, quasi quotidianamente, a frequentare quel posto, e arrivavano a farlo con malinconica consapevolezza. 
C'era anche il titolare, che sciorinava con un filo di geriatrica presunzione la sua vicenda umana, con lui la donna che si era infilata nel suo letto e poi nella sua vita, facendogli cambiar famiglia. Insomma un mondo, ritmato dai balli di sala eseguiti da un'orchestrina di dimesso vigore e cantati da una signora imparruccata, con un viso che poteva essere quello di una zia di Cip e Ciop.
Al Festival di Annecy il documentario aveva avuto una buona accoglienza.










Tra gli aspetti che più mi fanno pensare di aver fatto un buon lavoro oltre a quello di aver saputo - credo - "guardare", ce  n'è un altro, di carattere più prettamente tecnico, che ho applicato in quel lavoro per la prima volta, in sede di montaggio.
Nel frammento postato ci sono un paio di esempi.
La mia idea di partenza era quella di usufruire non solo delle musiche eseguite dall'orchestrina ma da altre di mia scelta, che coincidessero con il sentimento che le immagini che avevamo ripreso evocavano. 
Il problema era che quella gente ballava, e allora sarebbe stato necessario farli ballare su una musica che non era quella al suono della quale avevano volteggiato. Una prova millimetrale di equilibrio di montaggio, incoraggiata da regali inattesi ( c'è un'inquadratura dove una coppia prilla elegantemente al suono di una canzone di Trènet come se lui fosse stato lì a cantarla per loro).
I due brani che ho utilizzato per questo esperimento e di cui sono presenti frammenti sono "El negro Zumbon" e "L'ame des poetes" di Charles Trènet. Nell'intero film ce ne sono altri perchè quando mi sono accorto che il gioco, se affrontato con pazienza e senso del ritmo, riusciva, ci ho preso gusto.
Nel frattempo sono trascorsi 25 anni. 
E allora io guardo queste persone, che erano tutte tra i sessanta e i settant'anni, alcune anche oltre, e non posso fare a meno di pensare che questa folla allegra e decrepita praticamente senza eccezioni è  ormai sparpagliata per cimiteri di ogni dove, irrintracciabile, e che le loro storie di quei pomeriggi sono segreti definitivi, affidati al nulla. Tutti morti.
Bella scoperta.





venerdì 9 settembre 2011

JAZZ DANCING


 



Nel post precedente c'è un accenno a un paio di documentari, "Jazz Dancing" e "Dancing".
Qui ci sono alcuni frammenti dei balletti di Jazz Dancing. Quello che avrei postato più volentieri mi è stato negato perchè era danzato su un brano di Prince, ed è intervenuta una censura automatica per la salvaguardia dei diritti d'autore, malgrado siano trascorsi 25 anni. Avevo già scritto anche una specie di memoria sulla lavorazione, ma l'ho cancellata.











Maurizio Zaccaro con l'Arri in spalla e Paolo Cottignola al Nagra























giovedì 1 settembre 2011

Cinema & C.

Quando mi ha telefonato la Betta è mi ha detto "Qui c'è un'attrice amica tua che sta girando con noi, Anna D.G. Dice che le farebbe piacere vederti" io sono rimasto lì un po' basito. 
Anna chi ? Non conosco nessuna Anna D.G....
E poi il satori: Anna B.!
Anna è la vedova di Toni D.G. 
Ci conosciamo da secoli, ho visto i suoi figli bambini che ormai sono adulti. Paolo, che vive a New York, le ha dato persino una nipotina. Così ho liquidato il più rapidamente possibile il mio incontro assessorile e ho raggiunto il set, che è in uno dei nostri palazzi espositivi. 
La Betta, che nel film lavora come runner, mi ha detto che è una storia esoterica. E' arrivato  persino Jodorovsky per recitare in un cameo. 
Anna non era di scena e così abbiamo potuto goderci la nostra chiacchierata, rievocare, parlare dei vecchi amici e conoscenti, dirci cose di noi, telefonare a Marita che era al mare, ricordare la nostra lunga avventura di "Passioni" del 1986. 
Dopo che ci siamo lasciati promettendoci che ci sentiremo, mi è venuto in mente che, riguardo alle mie ricostruzioni narrative per quanto concerne il mio altalenante percorso professionale, il lungo racconto "Un Mestiere" si conclude con l'anno dell'esordio alla regia, nel 1983. 
Nulla di quanto è successo dopo è scritto da nessuna parte. Potrebbe sembrare strano ma non lo è. Il problema sta nel fatto che è una lunga storia che non finisce bene. In pratica non finisce, si smorza, perde di intensità e convinzione.

Ora mi rendo conto di aver cominciato a prendere le distanze già da qualche anno prima della chiamata ad assessore, che ha segnato l'apparente sospensione che assomiglia di più ad un addio. 
Arrivare sul quel set l'altro giorno e vederli là, infervorati, giovani e convinti dell'eccellenza di quello che stavano portando a compimento mi ha fatto quasi pena e so di essere stato così anch'io, so che nulla come una cinepresa (telecamera, ormai, pardon) e una troupe che ti circonda offra l'opportunità per una sopravvalutazione di sè piuttosto rischiosa. 
Ma questa è un'altra storia. Quella di cui cercerò di riprendere il filo è quella sospesa alla fine di "Un mestiere". 
Potrei ricominciare proprio da "Passioni", lo sceneggiato televisivo, " La prima telenovela italiana", in cui Anna era una delle protagoniste e io il regista della seconda unità con lo pseudonimo di Manfred P. Fango. 
Si, credo proprio che ripartirò da lì, da quell'estate del 1986.


 Anna Bonasso, a destra, con Elisabetta Viviani.
Due protagoniste di "Passioni"



Ancora Anna e Elisabetta, in una polaroid
di edizione, tra una generica e una truccatrice.




Questa foto è stata scattata il giorno della conferenza
stampa di presentazione, un paio di giorni prima dell'inizio
delle riprese. Manca ovviamente parecchia gente, ma
l'occasione per una foto con proprio tutti non si presenterà
mai. Io sono a destra,con un giubbotto di jeans dietro 
Franco Vaccaro in giacca bianca.



Ero stato ingaggiato per sovrintendere al montaggio, ma fin dalle prime battute era risultato chiaro che la stesura della sceneggiatura così come la Bossi e la Perez Perez stavano configurandola, presupponeva un numero imprevisto di scene esterne al teatro di posa, e quindi la necessità della costituzione di una seconda piccola troupe, la mia, che venne presto ribattezzata Katanga, per le riprese in esterna.
Il teatro di posa era stato allestito nel cinema  in disuso di Gassino, un piccolo centro della cintura torinese.



 Questa foto apparentemente non dice nulla
ma è stata scattata durante il rito di ogni mattina, 
molto presto, prima dell'inizio delle riprese, quando
arrivavano le cartelle delle scene da girare
nell'arco della giornata. Quotidianamente
io apportavo le modificazioni che mi parevano 
più adatte a migliorare il plot.
Non ho mai ricevuto appunti sul mio operato,
nè in bene nè in male. Forse, nel gran bailamme,
nessuno si accorgeva dei miei tagli e delle
mie aggiunte.




 Giravamo con questi catafalchi, con registratore separato,
quasi sempre in pollice, forse anche in 3/4, con linee di cavo
dappertutto, anche in esterna. Io fumavo ancora e portavo
ancora l'orecchino.





  
Ad un certo punto, in assenza di Riccardo,
per un paio di giorni
lo avevo sostituito alla regia in interni.
Un inferno. Non so come facesse a
starsene là dentro tutto il giorno a dare
indicazioni per interfono agli operatori.
Era davvero bravo...



Michele Di Mauro e Pit Formento
 


Dominique Boschero e Pit Formento


Riccardo Donna, Angelo Caglio di spalle e Pit Formento

 
Non ricordo quando, ma credo abbastanza a ridosso dell'inizio della lavorazione, la produzione mi ha chiesto di montare, con il girato realizzato fino a quel momento, una specie di trailer, di annuncio di quello che stavamo facendo. Con piena libertà. 
Quello che segue è il risultato della mia propensione a partire leggero e diventare ridondante, facendomi prendere la mano dall'enfasi retorica, cui allora andavo occasionalmente soggetto, fortunatamente soprattutto per lavori di poco conto, come questo.
Il fatto che usufruissi dello pseudonimo di Manfred P. Fango aveva irritato il produttore, che lo riteneva offensivo, e quel marchietto di estraneità me lo sono portato dietro per tutta la lavorazione, pur divertendomi molto e guadagnando bene.





Alla fine della lavorazione avevo chiesto agli amici del Festival di Annecy di presentare, con i due documentari con i quali ero stato selezionato, anche il trailer, in una sezione tipo vetrina. Avevo ottenuto che venisse invitata Elisabetta. 
Ci sono poi andato da solo. Quello che c'era tra noi due non andava bene a nessuno, e così ci siamo rassegnati ad allontanarci.
Ad Annecy ho seguito ovviamente la proiezione e gli incontri che riguardavano i miei "Dancing" e  "Jazz Dancing" e non so come sia andata al trailer. Quindi la storia di "Passioni", per quel che mi riguarda, è finita così.



Elisabetta Viviani e Pit Formento


Francesca Vettori e Elisabetta Viviani



Ho trovato anche il collage malridotto di un articolo che riguarda quei giorni ad Annecy, oltre al catalogo del Festival...




...mi firmavo ancora Piermaria e non Pit...








...ero in buona compagnia...


...mancava solo lei, l'unico rimpianto di quei giorni...