venerdì 26 ottobre 2012

CIAK

Ho trovato tre fotografie di fuori scena di un vecchio film dell'84. 
Credo che sia stato il peggiore che ho girato. Però in compagnia di amici.
Il ciak compare in tutte e tre le immagini.
Un bell'oggetto, di legno, spesso lavorato con perizia da qualche capo macchinista o falegname, evocativo, da manovrare con eleganza noncurante, calibrando la voce col suono - ciac ! per l'appunto - che seguiva. 
Quelli di allora, naturalmente, non le asettiche,  lumeggianti e autonome tavolette di oggi.


Qui in mano a Fabiola D.L. e  Pit perplesso



Qui il ciak ad Anna (che non c'è più) poi 
Barbara S. e Pit


...e qui parte della troupe. 
Da sinistra, accovacciati, Pit (con ciak), G.B. Cenere, Speedy,
il fonico romano (ma come si chiamava ?) Fabiola.
in piedi da sinistra, Piergiorgio G., Vittorio B., Maurizio R.
Luciano Z., Valentina M., Fabio, Barbara S.

giovedì 25 ottobre 2012

CICCIO



Mi ha raccontato Speedy che se n'è andato in un incidente automobilistico terrificante.
Ci eravamo frequentati molto nel 1974 - morosi di due sorelle, lui di Mapi io di Lella - ed eravamo stati a trovarle insieme, in Sud Africa.
L'ho incontrato ancora, saltuariamente, l'ultima volta a casa della sua prima moglie, per una festa a Saluzzo.
Credo che i figli suoi e quelli che Mapi ha avuto dal suo matrimonio con Marco abbiano all'incirca l'età che avevo io, allora.
Chissà se si conoscono. 
Se sanno che la loro mamma e il loro papà hanno provato reciprocamente i sentimenti che probabilmente stanno animando loro.
E' poco probabile, ma a me piace pensare che potrebbe succedere.

  Schatzi Fea e Ciccio Cravetto al timone, accanto a loro
Sara Provera, Pit alla chitarra, in navigazione
dall'Elba ad Alassio - estate '74




Ciccio e Mapi - Johannesburg 25.12.74




P.S. del 23 aprile 2013


Ho trovato un'altra fotografia di Ciccio a Johannesburg.
Quell'espressione la ricordo bene, era spesso sua.
Aggiungo che nel video postato il 31.3.13,  all'inaugurazione dell'Arcadia, compare tra i convenuti.







mercoledì 24 ottobre 2012

ATTI MANCATI 9

La seconda occasione perduta, per quanto riguarda il lungometraggio di finzione, parte da molto più lontano del "Febbraio".
Nell'estate 1980 il mio amico Speedy mi aveva stanato da quel di Biaulì dove mi ero rifugiato a leccarmi le ferite della fallimentare esperienza londinese e mi aveva trascinato per un paio di giorni a Varigotti.
Là avevo conosciuto una signora ebrea molto simpatica, una nonna con le curiosità e la mentalità di una ragazza.
La signora si chiamava Ronci - ho saputo da Speedy che è mancata da ormai molto tempo - e per un paio d'anni ho avuto alcune occasioni di incontrarla, anche perchè Speedy era molto amico non solo suo ma pure del marito, Livio.
Avevano una bellissima casa a Varigotti, affacciata sulla spiaggia, un domicilio elegantemente bohemièn  sui Navigli, a Milano, e una grande casa di campagna a Valleandona, nell'astigiano.


Speedy nell'80




Valleandona, capodanno '81/'82
Ronci e Pit ( con ridicolo taglio alla paggetto)


Non ricordo a che proposito, durante una delle nostre chiacchierate, Ronci mi aveva segnalato che la sua amica Monica Vitti lamentava una certa pochezza dei copioni che le venivano offerti da qualche tempo.
Commedie, quando lei aspirava a tornare a ruoli femminili drammatici e complessi.
Speedy mi aveva convinto che valesse la pena provarci e io avevo scritto un trattamento.
Non mi ero neppure chiesto se l'amicizia di Ronci con la Vitti era tale da permetterle di sottoporle una proposta in quel senso, avevo sviluppato una storia intitolandola "Morning Star Point" e gliel'avevo portata.
Lei non era entrata nel merito della trama, ma si era limitata a comunicare, letteralmente, che "Monica aveva paura dell'aereo", come a dire che il fatto che la storia fosse ambientata in Nebraska escludeva automaticamente la possibilità anche solo di proporle il soggetto.
Io uscivo allora da un'infilata di sconfitte tali per cui, probabilmente, se la cosa fosse andata per il verso giusto mi sarebbe parso innaturale. Inoltre, forse, ero corso un po' troppo in avanti, non so.
Fortunatamente, dopo un ricostituente soggiorno parigino, nel frattempo le cose erano tornate a girare per il verso giusto, ero tornato a Roma, avevo iniziato a lavorare con Avati ( nel racconto "Un mestiere" c'è questa parte) e così "Morning Star Point" aveva preso la via del cassetto.
Ero stato un'ultima volta a casa di Ronci, a Varigotti, per il capodanno '82/'83 con la mia fiamma d'allora, Valeria V. 
C'era Speedy, c'era Livio ma Ronci no.
Poi più nulla.


Pit e Valeria - capodanno '82/'83


Forse, un giorno, da qualche parte tra i miei papiri salterà fuori la ragione per cui, nel 1988, ho ripreso in mano "Morning Star Point" correggendone delle parti, mentre è comprensibile invece la ragione per cui, nel 1996, l'ho di nuovo riesumato e rielaborato ulteriormente, cambiandogli anche il titolo e facendolo diventare "Chatham Creek".
La ragione del '96 è che l'anno precedente avevo vinto il premio al Solinas e ci volevo riprovare, perchè chiunque ci sia passato sa che quelle occasioni stimolano appetiti incontrollabili. 
Così, visto che c'era anche una categoria per soggetti e trattamenti, l'avevo spedito.
Non ero neppure entrato in finale.
Poi, nell'estate del 1997, Laura era a Venezia per un film e una sera la location manager per la quale lavorava, Rosanna R., le aveva proposto di andare ad una cena dove c'erano Claude Lelouch e la Martinez con un loro produttore, che era un'amico d'infanzia di Rosanna.
La nostra convivenza, quella mia e di Laura, era iniziata da poco. 
Lei, da Venezia, era venuta a vivere a Torino e avevamo iniziato a condividere molte cose, compresa la rubrica telefonica, nel senso che lei aveva riportato su quella che tenevo di fianco all'apparecchio molti dei suoi numeri.
Così, quella sera a cena, quando Rosanna le ha presentato il suo amico d'infanzia - Inigo - si è ricordata di quel nome curioso, intravisto sulla mia rubrica, e gli ha chiesto se mi conoscesse.
Inigo aveva reagito con entusiasmo e altrettanto aveva fatto sua moglie Marie Christine.
Ero stato al loro matrimonio nell'82, a Roma. 
I testimoni di nozze erano Nanni Moretti e Riccardo Cocciante.
Io e Inigo avevamo lavorato insieme in un film di Gianni Amelio (vedi sempre "Un mestiere").
Insomma, l'8 settembre del 1997 ci hanno fissato un appuntamento nel sontuoso appartamento che occupavano sul Canal Grande e abbiamo fatto questa affettuosa rimpatriata.
Inigo e Marie Christine erano titolari di un paio di case di produzione, una a Roma e una a Parigi e va da sè che, alla fine, l'argomento è caduto su quello che stavo facendo.
Ho raccontato del Solinas e mi hanno chiesto di spedire loro la sceneggiatura.
Dopo pochissimi giorni avevo ricevuto una risposta articolatissima, che rivelava che l'avevano letta ambedue con attenzione, ma che mi comunicava che, curandosi loro di produzioni internazionali, l'argomento non aveva sufficiente appeal per eventuali partners non italiani. 
Chiedevano se non avessi altro da far leggere, ed è stato allora che ho spedito, senza molta convinzione, il trattamento di "Chatham Creek".
La reazione era stata tanto tempestiva quanto inaspettata.
Quella storia era quello che stavano cercando. Non mi sembrava vero.
Questa è la ragione per cui, nel 1999, diciannove anni dopo la prima stesura, "Morning Star Point" è diventata una scenggiatura, cui avevo cambiato il titolo in "Chatham Creek".
A quel punto è iniziato un altalenare che sono contento d'aver vissuto, malgrado non abbia sortito l'effetto sperato.
Ricevevo messaggi e telefonate che parlavano di interessamenti da parte di Danny, e io ero costretto a chiedere chi fosse Danny, e quando ricevevo in risposta che si trattava di Danny Glover non facevo in tempo a riprendermi dall'incredulità che si riparlava di Danny, e dal momento che se ne parlava argomentando in modo che mi stupiva ulteriormente, chiedevo "Ma, Danny Glover ?" e la risposta era un divertito "Ma no ! Danny Aiello !"
Insomma, da Torino era difficile mantenere l'equilibrio.
Anche perchè gli eventuali partners americani facevano le pulci su ogni scena, su ogni dettaglio caratteriale dei personaggi, e bisognava continuamente rassicurarli e spiegare.










Allora le comunicazioni rapide viaggiavano soprattutto via fax, e io ricevevo sempre missive piuttosto sconcertanti, anche se stimolanti.
Un giorno, da parte di Bettina Fischer che era una specie di loro agente americano, avevo ricevuto da Los Angeles una lettera tradizionale con acclusa una fotocopia.











Così ero entrato nella "gilda" degli scrittori americani, ero diventato membro di un'associazione che contava tra i suoi affiliati molti dei miei idoli di sempre. E per di più nella sede di Los Angeles, quella degli scrittori hollywoodiani.

I messaggi continuavano ad essere stimolanti, anche quando contenevano elementi che facevano mordere il freno.
I "Bacci" di Marie Christine tradivano la sua abitudine ad esprimersi in francese.




 

Poi lei e Inigo erano partiti per il Kazakistan dove avevano in corso una produzione.
Cosa sia successo laggiù l'ho capito solo per sommi capi.
Sono stati taglieggiati dalla mafia locale, il regista si è rivelato un incompetente, i predoni li hanno derubati delle attrezzature e, al ritorno, si sono ritrovati la sorpresa della scomparsa di una loro socia che se l'era filata con la cassa, o qualcosa del genere.
Chiaro che "Chatham Creek" non era il primo dei loro pensieri.
Mi sono ritirato con discrezione, disorientato da quel disastro, augurandomi che ce la facessero a risollevarsi. Nel frattempo mi si erano presentate un paio di occasioni rincuoranti e così ho messo da parte "Chatham Creek" e lì è rimasto.
Per certi versi ho la sensazione che sia stato un bene, per questo film come per "Un febbraio di 30 giorni".
Intendo dire che ambedue, sulla carta, hanno destato entusiasmo e partecipazione, ambedue mi hanno regalato, nella loro formulazione ipotetica, occasioni di incontri e riscontri che non avrei mai immaginato, di ambedue non posso dire con certezza che, una volta realizzati, non avrebbero subito il destino della maggior parte dei films che vengono girati, vale a dire una brevissima stagione di indifferenza prima di precipitare in un limbo definitivo d'oblio.
Molti dei miei compagni di avventura cui il fato ha offerto l'occasione di un film lo hanno realizzato a prezzo di fatiche inenarrabili, sforzi titanici, indistruttibile fiducia nel proprio talento anche di fronte alle più inoppugnabili delle verifiche contrarie.
Io voglio viaggiare leggero. Forse, a suo tempo, ho scelto un mestiere con leggerezza, non so. Eppure in qualche modo ha funzionato, meravigliando me più di chiunque altro.
Di quei due lavori non realizzati mi resta il film dei racconti di Suso nel bow window di via Paisiello e dei fax da Los Angeles. 
Non mi sono mai sentito così regista come in quel film.
Fantasticare è sempre meglio che ottenere, perchè somiglia sempre di più al tuo sogno.


  
Pit nel '99 in Nebraska, ma per un altro film...

venerdì 19 ottobre 2012

CONTEMPORANEA

Sono quasi sempre rivolto al passato, e così sarà quasi sempre. 
Ho iniziato  da adolescente ad alimentare nostalgie, ma ancor più che nostalgie desideri di aver vissuto tempi che mi hanno preceduto, e in modi che non ho conosciuto.
Quindi un'attitudine inevitabile per questo blog, finchè durerà. Però ogni tanto un salto nel presente non mi dispiace, soprattutto quando riguarda fatti che desidero stiano con me.
L'11 ottobre abbiamo trascorso una illuminante - e per certi versi persino incoraggiante - serata con Sergio Rizzo.


Sergio Rizzo, Pit


Paola Allais, Pit, Sergio Rizzo
 (foto Resteglian)

L'8 settembre abbiamo presentato una bella mostra di Paolo Giaretta, che - a mio avviso - sa dipingere luoghi e circostanze che puoi intuire dai tratti essenziali, ma che immediatamente si rivelano per qualcosa che "sai" che hai conosciuto, e di cui arrivi ad avere una vaga nostalgia. 
( E' la terza volta che uso la parola nostalgia in questo post, ne sono consapevole, ma è una parola che amo, un sentimento che pratico senza affanno, se non quando la provo per qualcosa che non ho conosciuto, e anche in quelle occasioni mi sembra foriera di curiosi conforti).


Laura, Pit, Betta e Giulia
(foto Rossato)


Roberta

POSTILLE

Oggi ho ricevuto due mail, una di Speedy che mi aggiorna sull'elenco delle persone che saranno presenti alla cena di rimpatriata anni '70 di fine mese, a Torino, l'altra di Susanna, che rivedrò, sempre a fine mese, a Milano e che con generoso affetto accumula letture di progetti miei non realizzati.
Chiede di portarle il trattamento del "Febbraio" e sono andato a cercarlo, prima nell'archivio cartaceo, poi sul computer.
Chissà dove diavolo è.
Però nel cartaceo ho trovato due messaggi che corredano "Atti mancati 8".








...e io, invece, mi ero arreso. Senza neppure troppa amarezza.
Nel cartaceo, come del resto sul computer, del  "Febbraio" ho trovato soltanto un paio di versioni della sceneggiatura.
Mi sono messo a rileggerla - non lo facevo da vent'anni - e mi ci sono divertito, così, magari la posterò a puntate. Non è per niente male, ancora adesso.
E poi ho trovato un paio di polaroid di edizione anche di Barbara D'Urso di "Erba selvatica" del 1982, e mi pare veramente che sia un fenomeno di inossidabilità.






SALTINCIELO 1970



E veniamo a quello che sarà quasi certamente l'ultimo frammento di super 8 dei tempi andati.
( E' vero che non si può mai sapere, però le scorte mie, a meno di qualche fortuitissimo ritrovamento molto improbabile, sono finite).
Sono momenti di un filmato girato in occasione del compleanno dei 18 anni di Matilde, un'amica di Rapallo.










Il filmino comprendeva molte presenze a noi sconosciute ma ne ho estrapolato alcune figure riconoscibili, come Paolo Buratti, tenebrosissimo e ipnotico, Speedy,  Giorgio Carezzana, Renato Bertrandi e, in coda, il sottoscritto con una specie di smoking coreano di raso rosso in compagnia di Margherita Savoini e - guarda un po' chi si rivede, sarà sopravvissuto ?  - Sandro Ottolia.
Non sono che attimi e noi, lo ammetto, siamo anche piuttosto sfigatelli se osservati in un'ottica odierna.
Tutto - confortato dalla consultazione del mio diario del '70 - inizia sabato 11 aprile, quando Franco Cielo imbarca sulla sua Porsche 912 targa color caffelatte appena ricevuta in regalo, Speedy, Buratti e me e si parte con decisione estemporanea per Rapallo.
Una volta là, siamo andati a casa di Susanna Montalcini,  un' amica di Patrizia e Antonella che era venuta con loro in vacanza a Sauze d'Oulx, poi a cena e quindi in una discoteca che si chiamava Satyricon.
Le mie considerazioni diaristiche a proposito della fauna femminile sono risparmiabili.
Va da sè che quattro diciottenni che piombano tra capo e collo su una Porsche dovevano fare il loro effetto.
Insomma, siamo tornati a Torino, abbiamo fatto in tempo ad andare prima alla Clessidra e poi al Casanova, due discoteche dell'epoca dove sicuramente ci siamo comportati un po' da smargiassi: il viaggio di andata e ritorno nella notte, l'eccitazione data dall'aver scoperto un vivaio inaspettato di ragazze, la voglia di fare i bulli con gli amici che non erano venuti con noi e, soprattutto, l'annuncio di una festa di 18 anni cui eravamo invitati, da Susanna, per giovedì 30 aprile.
 







A quella festa ci siamo andati in tanti, io ho conosciuto Margherita, Renato una cugina di Susanna, di statura minuscola e tette enormi.
Siamo tornati a Rapallo il primo di giugno, per un'altra festa di 18 anni, quella di Matilde, del gruppo di amiche genovesi, cui le immagini del super 8 si riferiscono.
Il 6 di giugno la cugina di Susanna, quella piccolina e pettoruta, come segnala il diario, viene da Milano a Torino a trovare Renato e, con loro e Sara Randaccio, andiamo a vedere "Billy Jack" di T.C. Frank, che scatena il mio entusiasmo. 
La cugina di Susanna l'ho poi ho rivista dodici anni dopo, nell'82, a Milano che recitava una particina in un film dove facevo il segretario di edizione, "Erba selvatica", con Barbara D'Urso come protagonista e un Lou Castel riesumato come comprimario (credo di averne parlato anche in "Un mestiere", ma non sono sicuro). Interpretava una prostituta picchiata da un magnaccia e mi sono rimaste un paio di polaroid di edizione ( si usavano per il controllo di pettinatura, abbigliamento, trucco, accessori, in caso di riprese in giorni successivi ma riferibili alla stessa scena, quando ancora la fotografia tradizionale non forniva risultati istantanei ).
Il seno era meno vistoso di come ricordavo.
Non mi aveva riconosciuto e io non mi ero fatto riconoscere. 















Pit e Luisa Gnecchi sul set di "Erba selvatica"



Ecco, tutto qui, e non è granchè, lo ammetto. 
Margherita non condividerà questa laconicità, lei che ha sempre attribuito a quei momenti un'importanza cruciale, ma io non riesco a vederci nulla di più che un gruppo di amici fragili, ostinatamente alcoolici, un poco ridicoli e malati di esibizionismo, come forse è comprensibile che si sia a quell'età. 
Sta di fatto che, rivedendomi, avrei preferito essere più simile a quello che sono oggi.




giovedì 18 ottobre 2012

ATTI MANCATI 8



Non ho mai realizzato un lungometraggio di fiction.
Questo è un dato che, più avanti, ricorderò quanto in una particolare occasione sia stato determinante.
Ho girato cortometraggi fiction e documentari che in termini di minutaggio sono lungometraggi (90'). Uno addirittura - "Lungo viaggio verso casa" - nella versione originale dura 5 ore. Però non ho mai realizzato un lungo di fiction.
Questo non significa che non abbia tentato. 
Non moltissimo, devo ammettere, e senza una gran determinazione, ma quella mi ha sempre fatto difetto.
Ci ho provato in due occasioni.
Provarci significa che prima scrivi il film, poi cerchi qualcuno che te lo produca. 
Ciò presuppone una serie di passaggi che a molti dei non addetti ai lavori sicuramente sfuggono, e dal momento che i miei due tentativi sono stati connotati da vicende particolarissime credo che meritino il racconto che se ne può fare in un paio di "Atti mancati".
Un film, quando nasce sulla carta, parte in genere da un cosiddetto soggetto - qualche cartella - in cui si riassume l'intera vicenda.
Il passo successivo, che molti saltano, è quello che riguarda il "trattamento": una lavorazione più lunga e articolata, in cui la vicenda si dipana corredata dai particolari, dal carattere dei protagonisti, da tutti gli elementi che ne fanno una specie di racconto lungo.
La sceneggiatura vera e propria suddivide quel racconto in scene, con le caratteristiche di luminosità (interno giorno, esterno tramonto, interno notte etc.) e lo arricchisce dei dialoghi.
E' un bel lavoro, impegnativo e piuttosto lungo, a seconda della chiarezza che chi scrive ha in testa riguardo all'avvicendarsi degli episodi della storia che intende raccontare.
Nei miei cassetti giacciono soggetti e trattamenti, ma ho scritto in tutta la mia vita solo 4 sceneggiature, e se si escludono le prime due, scritte una nel 1979 e l'altra nel 1980 e ambedue cestinate volontariamente pochi anni dopo, ne restano due, e sono quelle di cui vorrei raccontare.
Per questa puntata di Atti Mancati comincerò dalla seconda.
Nel 1990 ero ancora ad Ipotesi Cinema. 
Come è noto ai più, là l'argomentare riguardava soprattutto la relazione con il reale, con il quotidiano, che non è mai stato il mio forte, così quando Olmi insisteva perchè si scrivessero storie che avessero una vigorosa e originale inclinazione in quel senso, io mi ci sono messo più per scommessa con me stesso che con passione.
Ho deciso di scrivere la storia di un impiegato, e non avendo mai avuto esperienze del genere  ho sottoposto il mio amico Pierangelo ad un lungo interrogatorio sui ritmi, le caratteristiche, i vezzi, e i paradossi di un lavoro di ufficio in una grande azienda.
Lui si è prestato, e da quel notevole affabulatore che è mi ha indottrinato anche più di quanto mi aspettassi.
Per il resto, gradualmente, il mio protagonista, Aldo Liranzi, ha cominciato a diventarmi simpatico, e alla fine gli ero proprio affezionato. 
I luoghi della sua vita, che avevo solo e sempre immaginato, diventavano reali, mi convincevo che esistessero davvero. Insomma una lunga e comprensiva coestistenza che alla fine aveva avuto come risultato "Un febbraio di trenta giorni".
Ho portato la sceneggiatura a Bassano, e a questo punto vorrei saltare un passaggio, anche piuttosto lungo, perchè ancora adesso mi mette a disagio. 
Dopo mesi di attesa, ho scoperto che la mia sceneggiatura era "scomparsa".
Non saprò mai quali siano state le ragioni di quell'imboscamento nè a chi imputarne la responsabilità. 
Là per là non ne avevo sofferto, tenendo conto che tra il '90 e il '94 ho avuto un'attività piuttosto frenetica che mi aveva quasi fatto dimenticare quella sceneggiatura.
Quando mi sono finalmente deciso a fare le mie rimostranze ho dovuto consegnare una nuova copia e assicurarmi che venisse presa in considerazione. 
Olmi ne ha affidato la lettura a Toni De Gregorio, però io nel frattempo - e sinceramente non ricordo come - l'avevo inviata per partecipare al Premio Solinas.
Da quel momento tutto ha cominciato a filare. Ho superato la selezione e, nel 1996, sono stato invitato all'isola della Maddalena per partecipare alla consegna dei premi.





Allora il Solinas era non solo il più prestigioso premio di sceneggiatura del nostro paese, ma credo che fosse anche l'unico,  e la giuria era composta da un parterre de roi del nostro cinema che oggi sarebbe impossibile raggruppare (anche perchè certe figure eminenti sono nel frattempo decedute).




Questa è stata scattata l'ultimo giorno. Se ne erano andati
quasi tutti. Nella terza fila dal basso, a sinistra, il secondo è 
Rogerto Galante, che con me e Giovanni Fasanella, secondo e primo 
a destra in seconda fila dal basso, componeva la triade
dei secondi premi ex equo, o menzioni che dir si voglia.
In prima fila, tra Maurizio Nichetti e Andej Longo, c'è
Giorgio Arlorio. Andrej l'ho rivisto un anno fa.
Lo abbiamo invitato a presentare i suoi libri (Adelphi) in biblioteca.



Ho conosciuto persone simpatiche, ho goduto di seminari con alcune tra le figure leggendarie della sceneggiatura, ho rivisto vecchie amiche ed amici del tempo di Roma, sono stato lusingato dai giudizi dei giurati.








la scheda di Leo Benvenuti




Leo Benvenuti e Giorgio Arlorio


Piero De Bernardi e Giorgio Arlorio


la scheda di Giorgio Arlorio



Non ho tutte le schede dei giurati, ma quelle che ho le posto. Mi sento autorizzato a pavoneggiarmi un pochino. 
Non a tutti è accaduto di venir giudicato per la propria abilità narrativa con parole che ancora oggi mi rincuorano.


la scheda di Sandro Petraglia



la scheda di Paolo Virzì




la scheda di Maurizio Zaccaro



Dunque una settimana di vacanza, con gli ultimi bagni in mare, serate con liquore di mirto e rock and roll, una chiacchieratina con Procacci che, se non fossi stato sbronzo, forse avrebbe sortito risultati meno evanescenti.











Ho incassato il mio assegno e mi sono preparato a tornare a casa nella convinzione che, ormai, la cosa fosse fatta.







Il ritorno ad Ipotesi Cinema con un premio all'attivo modificava l'atteggiamento nei miei confronti. 
L'allora capo struttura di Raiuno per il cinema, Alessandrini, un giorno che era venuto in visita, mi aveva invitato a passare da lui a Roma per parlare del mio film.
Da questo momento in avanti gli eventi si accavallano nella mia memoria in maniera confusa.
La decadenza di Ipotesi Cinema, la morte di Alessandrini, il mio emanciparmi produttivamente trovando altri interlocutori nell'ambito del documentario, hanno fatto sì che, di nuovo, io abbia dimenticato il "Febbraio", finchè un giorno del 1998 ricevo una telefonata da Stefano Rulli, della coppia Rulli/Petraglia, giurati del Solinas. 




le due facciate della scheda di Stefano Rulli



Lui ricordava la mia sceneggiatura, e mi segnalava un bando di concorso per un un laboratorio internazionale di specializzazione per sceneggiatori varato da Scuola Nazionale di Cinema e Cineteca Nazionale.
Una cortesia che, ancora oggi, mi meraviglia. 
Alla Maddalena non avevamo scambiato che poche parole, erano passati due anni e quest'uomo mi rintracciava per segnalarmi un'opportunità.
Mi auguro di aver, almeno una volta nella vita, saputo fare altrettanto per qualcuno.








I miei appuntamenti a casa di Suso Cecchi d'Amico con Francesco Bruni per "lavorare" sulla mia sceneggiatura conservano il sapore di un tuffo in un mondo fatato dove lei ci parlava del cinema dei giganti con i quali aveva lavorato.
Sedevamo ad un tavolo in un bow window affacciato su via Paisiello, e io ancora non sapevo che a pochi metri da dove ci trovavamo si era schiantato, all'alba di molti anni prima, sulla sua Thunderbird, Fred Buscaglione, e neppure sapevo che entro poco più di un anno avrei trovato un produttore per il mio film proprio su Fred.
Terminata questa fase inizia quella conclusiva.
Francesco Bruni mi aveva messo in contatto con Donatella Botti e la sua Bianca Film.
A lei il "Febbraio" interessava, e ci siamo messi a lavorarci su.
Siamo arrivati addirittura al casting. 
Ricordo una lunga chiacchierata con Roberto Citran, che sarebbe stato un Liranzi molto convincente.
Quello che è successo in seguito è che Donatella ha intrapreso i passi per coinvolgere nella produzione Raiuno. 
La responsabilità di decidere, dopo la scomparsa di Alessandrini e dopo Cereda, era stata suddivisa tra due figure, una che si occupava degli esordienti e l'altra del resto.
Responsabile degli "altri" era Cecilia Valmarana, amica di Olmi e Alessandrini, figlia di quel Paolo che aveva contribuito a creare Ipotesi Cinema, nonchè mia vecchia fidanzata (vedi "Un mestiere"). Questo non significa che ci avrebbe semplificato la vita, ma almeno sapevo che la mia sceneggiatura le era piaciuta.
Ad occuparsi degli esordienti era tal Brancaleoni, che non ho mai incontrato.
E torniamo a riferirci a quello che dicevo all'inizio. 
Pur avendo alle spalle una sessantina di regie ero, per ciò che concerneva il lungometraggio fiction, da considerarsi un esordiente.
Brancaleoni si dichiarò incerto sul mio film. 
Non lo convinceva. 
Io non ho mai avuto modo di parlargli, ma dubito che avrei saputo fargli cambiare idea.
Così dopo anni, con soprassalti di delusioni ed entusiasmi, attestati di stima e lunghi interregni di silenzio, montagne russe di emotività cimentata dalle concomitanze più imprevedibili ( ho cercato di essere possibilmente sintetico, saltando dei passaggi, vuoi per amore di brevità, vuoi perchè tendo a dimenticare le cose che non hanno funzionato, così che questa sequenza di "atti mancati" è un bell'esercizio di vigilanza mnemonica, anche se in parte spiacevole ) "Un febbraio di trenta giorni" si è arreso, nel senso che io mi sono arreso per lui.
So che molti miei "colleghi", con quelle credenziali, non si sarebbero dati per vinti. Ma io sono fatto così.
A un certo momento individuo una cesura, un limite oltre il quale mi sembra superfluo andare. In fondo somiglio, per certi versi, al mio personaggio Liranzi.
C'è un verso di una poesia di Sandro Penna che recita così (più o meno. Se sbaglio una parola i suoi estimatori mi assolvano. Lo amo almeno quanto lo amano loro) 
"Vivere vorrei addormentato nel dolce rumore della vita".
Un ambizione condivisibile. Condivisa.

lunedì 15 ottobre 2012

NOLI '59/'64




Ho già parlato di Noli, prima sfiorandolo un paio di volte nel racconto "Noi quattro" postato giovedì 31 dicembre 2010, poi più articolatamente nel post di venerdì 17 febbraio 2012.
Negli anni immediatamente precedenti a quelli descritti allora, nell'epoca della fanciullezza, mio padre - e occasionalmente mia madre - con una cinepresa 8mm, una Movinette con ottica fissa Zeiss, documentavano la vita di spiaggia.






Non so quanti sapranno o potranno riconoscere e riconoscersi, ma tra ragazzini (oggi quasi anziani) e adulti ci sono gli Azario, i Biffignandi, i Buratti, i Casalegno i Cottini, i Ferrari, gli Ottolenghi, gli Scandola i Trione e altri di cui non ricordo il cognome.
Difficile dare un ordino ai contenuti. Mi limiterò a ricordare ciò che mi ha colpito rivedendo il materiale per montare questi frammenti: la fenomenale maschera di mio padre, a due boccagli e che copriva sia naso che bocca, un aggeggio visto soltanto a lui, e poi il dinghy, prima quello in legno e poi quello in plastica, imbarcazioni per avventurose uscite in mare aperto, su quel guscio di noce che andava sia a remi che a vela (romana) nonchè sospinto da un borbottante Johnson tre cavalli e mezzo, e ancora il mio cucciolo di cocker Tommy, l'allegria infantile di tutti durante le mareggiate, Cristina Gorlier di cui ero infatuato, quei costumi con gale e balze di mia madre, le auto d'allora che sfilano sull'Aurelia mentre io sto appeso ad un ramo d'oleandro a testa in giù, e tanto ancora di quel mondo piccino, di quelle memorie tascabili ma indelebili.