mercoledì 26 febbraio 2014

REPARTO REPERTI 8






1974




Nel 1974 ero ancora iscritto a Medicina e vivevo già a Parma.
Non molto tempo prima, durante un appello di non ricordo quale esame, avevo intravisto tra i candidati un volto familiare, e in effetti si trattava di una studentessa torinese che aveva frequentato lo stesso liceo del mio ultimo anno ma in una sezione differente.
Era iscritta a Parma ma non frequentava, faceva la pendolare per gli esami, e del resto - come avrei potuto realizzare conoscendola - mai avrebbe potuto vivere altrimenti che a Torino, frequentando solo certi luoghi e certe persone, ancorata a rituali sabaudi, a solidissimi pregiudizi che praticava con tale convincimento da rendersi persino simpatica.
Non so come finimmo di decidere di preparare un esame insieme.
Io tornai a Torino per il periodo. 
Studiavamo a casa sua, e trascorremmo lunghe giornate a cercare di scalzare le reciproche convinzioni tra una formula e l'altra. L'esame era Biochimica, una bestiaccia che nemmeno Anatomia.
Io cercavo di scandalizzarla con atteggiamenti spregiudicati e alternativi, lei simulava aristocratica imperturbabilità, però tutto sommato ci si divertiva.
Malgrado tutto siamo stati amici. Abbiamo persino trascorso, con certe sue conoscenze tra le quali un tale che lei voleva sedurre con metodi degni dell'amica di nonna Speranza, una vacanzina in Camargue.




Lucietta nella sua adorata Sestri Levante




Ma veniamo al fatidico esame.
Era il 2 dicembre 1974. 
Lei non si dette neppure la pena di affrontarlo. Io si. 
Dopo ce ne andammo a pranzo da qualche parte, credo.
Lucietta aveva un regalo per me, era un fenomeno per queste cose, non sbagliava mai.
Quel regalo sta tra i miei preziosi cimeli. Mi ricorda un'epoca, un'amicizia, le contradditorietà rassicuranti del modo di essere di lei e la mia affettuosa insofferenza nei suoi confronti. E poi la mia incondizionata passione per Guccini.










 






agosto '74, poco prima di iniziare
a preparare Biochimica.



domenica 23 febbraio 2014

OLIMPIADI & NOSTALGIA




Uno degli esigui vantaggi di questa mia interminabile convalescenza è stato quello di potermi seguire le olimpiadi invernali quotidianamente, indisturbato.
Oggi finiscono.
Uno degli aspetti più sconfortanti dell'invecchiare è scoprire ogni tanto di essere stato, per certi aspetti, esentato dal futuro.





Mi chiedo se tornerò a infilare un paio di sci, se potrò farlo ancora, intendo.
E così sono andato a rivedermi qualche immagine dell'inizio dei '70, quando avevo la stessa età di molti dei concorrenti di queste olimpiadi.






 





Mi piace la neve, le piste, gli abeti, il freddo pungente e rigeneratore, certi rari silenzi sulla cima, mi piacciono le risalite in seggiovia, le soste nei rifugi, gli amici in allegria, la bellezza che si può esprimere in una buona discesa, la soddisfazione della propria agilità, il compiacimento dell'eleganza.



...dieci anni fa...




...quarant'anni fa...








Mi piace persino quando capita che cadi, mi piace sorseggiare cioccolata calda nei bar rivestiti di legno quando fuori è scesa l'oscurità e magari comincia a nevicare. Mi piacciono quelle mattine che sulle piste non c'è quasi nessuno e mentre scendi ti sembra di volare e ti viene voglia di cantare.







Non ho mai sospettato che tutto questo avrebbe potuto, un giorno, venire sospeso, negato, definitivamente relegato al trascorso.
A dire il vero riaffiora quel detto: non è finita finchè non è finita.
Vedremo...





sabato 22 febbraio 2014

OLDIES 5



Da bambino avevo una notevole passione per i farfallini.
Non perdevo occasione per indossarli.

































Poi, così com'era nata, la passione era svanita, cedendo il passo alle più tradizionali cravatte, là dove occorresse, e relegando il papillon ad occasioni di travestimento....









...o di eleganza formale.



















Però non è detta l'ultima parola.
Ci sono momenti in cui vagheggio la possibilità di procedere nell' invecchiamento con abiti di lino chiaro in estate e tweed per il resto dell'anno, rigorosamente a tre pezzi, rigorosamente stropicciati e rigorosamente accompagnati dal farfallino.
A chiudere il cerchio.

giovedì 20 febbraio 2014

MAKING MOVIES LP




Di quell'agosto del 1981 a Bologna ho narrato esaurientemente nella terza parte del lungo racconto "Un mestiere", al post del 3 febbraio 2011.
Scartabellando tra i residuati vinilici ho trovato questo tenero e prezioso reperto, risalente al periodo in questione, un regalo di Cecilia all'inizio della nostra storia.

















Cecilia a Bologna, durante la lavorazione
di "Dancing Paradise" di Pupi  Avati,
nell'estate del 1981.









In autunno lei aveva trovato un appartamento in via degli Zingari, a Roma, ed eravamo andati ad abitarci insieme.
( e qui soccorre, per i dettagli del periodo, ancora il post del 3 febbraio 2011).
Era la prima volta che andavo a vivere con una compagna in
uno forma di convivenza di carattere matrimoniale, e per Cecilia era lo stesso, così mi ricordo di quei due con una certa tenerezza ricordandoli nei loro traffici domestici, avventurati in un'esperienza eccitante e inesperta. 
Là ho compiuto 31 anni.



 Pit in una polaroid del suddetto genetliaco dei 31 anni 




Proprio di quella serata nel post "ultimi super 8" del 25 aprile 2011 ci sono delle sequenzine filmate, in via degli Zingari.
All'inizio del 1982 Cecilia aveva lavorato su altri film e a primavera era riuscita a trovare un ingaggio per tutti e due a Milano. Lei in produzione e io come segretario di edizione.





cronometro al collo e bollettini di ordinanza









Poi sono passati i decenni, quel 33 giri ha fatto capolino, e così torno per un momento a parlare di lei, come avevo già fatto anche in "Little Sisters", o meglio a vederla com'è oggi, nelle foto dei cronisti.





















e adesso mi ricordo che una sera, ad una festa - Cecilia era mondanissima, almeno per i miei parametri - avevo conosciuto Mark Knoplfer, un timido che tendeva ad appartarsi, con una bandana che non gli stava bene. Però un gigante con la musica. 

sabato 15 febbraio 2014

RECAPITI



In effetti dovevo averli trovati divertenti, se a suo tempo li avevo fotografati.
Mi pareva che rientrassero nelle caratteristiche del modo di fare di mia madre, niente di più.
Poi qualche tempo fa - non ricordo chi nè dove - avevo sentito qualcuno, parlando di suoi conoscenti, definirli una famiglia di scombinati. 
Per avallare l'indiscutibilità della propria valutazione aveva dichiarato che avevano l'abitudine di segnarsi indirizzi e numeri di telefono sul muro vicino all'apparecchio telefonico.
Così ho ripensato a quella veranda dove, fino a un decennio  fa, mia madre teneva un telefono, quello che usava con più frequenza. 








La veranda è rivestita di carta da parati in sughero, e mi fa piacere che ancora adesso porti le tracce di alcuni miei recapiti perduti.
Non mi pare disdicevole. Lo trovo malinconico e allegro. 
E poi chi li ricorderebbe se no ?












mercoledì 12 febbraio 2014

VELOSOLEX




Tra il 1972 e il 1978 ho abitato a Parma, all'inizio in modo intermittente poi con sempre maggior stanzialità.
Ci sono molti aspetti di quel periodo che mi fa piacere ricordare ma uno, che mi ero un poco dimenticato, è riaffiorato di fronte a questa fotografia.









Questo era il parcheggio di fronte all'ingresso dell'allora ristorante "Farini", lì c'è un dei Velosolex che ho posseduto durante il mio periodo parmense.
Mi aveva sempre suggestionato come mezzo di locomozione, sapeva di Francia, era stato celebrato in "Mon oncle" di Tati, ma in quel di Torino pareva non aver riscontri nè estimatori. 















Ci avevo visto sfrecciare - bèh, sfrecciare, si fa per dire - solo Alain Elkan in via Lamarmora, all'inseguimento di amici che lo distanziavano alla guida dei loro Morini "corsarino" ma poi, qualche anno dopo, a Parma, avevo scoperto un meccanico che vendeva motorini usati e che, in un cortile sul retro, di solex ne aveva decine. 
Una pacchia. 
Il prezzo era irrisorio, così li cambiavo spesso. Oltre ai vari modelli, tutti rigorosamente neri, frutto delle trasformazioni impercettibili applicate  nel corso degli anni di produzione, ero riuscito ad averne anche uno rosso.
Poi un giorno, a Torino, non ricordo come, ne avevo parlato e avevo scoperto che tra i miei amici c'era chi, come me, apprezzava il Velosolex, che nel frattempo era uscito di produzione. 
Piaceva ma non sapevano dove trovarlo. 
E' stato allora che mi sono improvvisato mercante.
Li compravo dal meccanico di Parma, li spedivo in treno a Torino, e soddisfavo le aspirazioni di mobilità alternativa di una frangia di conoscenze con inclinazioni intellettuali, ricavandone anche un non risibile beneficio economico, pur se non era quello l'aspetto determinante per me. 
Glieli avrei regalati quei Solex. Ci avrei riempito Torino. Ci andavo davvero matto.





 Così ero allora...




Giulia e Antì a Parigi, in quegli anni, e lui in primo piano...





 Questo era il modello più diffuso...




 ...ma ne ho avuti e venduti anche di più recenti, con il fanale 
sul manubrio invece che sul blocco motore...





 ...per arrivare all'ultimo, che ho venduto molti anni dopo
 ad un collezionista, negli anni ottanta. 
Era un primo modello, con sella ad innesto
ciclistico, telaio tubolare, insomma quello di mon oncle...




 ...però era un peccato rinunciare completamente...





...così è stato con incontrollabile entusiasmo
che, dopo l'individuazione epifanica in vetrina, 
mi sono precipitato dentro lo storico negozio
 di medellismo  "Amar i treni" 
un giorno che ero di passaggio a Torino, 
poco più di un anno fa.





...così, anche se in miniatura, ho di nuovo un Velosolex
a corredare il mio amore per un certa Francia.