lunedì 22 settembre 2014

FORGOTTEN FEELINGS 20


 

Era la più grande di tre sorelle.
Durante le vacanze di Pasqua del 1969, a Sauze d'Oulx, in chiusura della stagione invernale, il loro appartamento proprio di fronte al Miravallino, sopra il ristorante di Don Vincenzo, era stato il quartier generale di un gruppetto di amici.
Io tornavo a casa nostra a malapena per dormire e a volte neppure. Le prime colazioni a casa De Agostini erano imperdibili.
E poi improvvisate feste serali, pomeriggi di chiacchiere, forse - anzi senz'altro - baldanzosi progetti di futuro, e bastava attraversare la strada per ritrovarsi al Mira, insomma quattro o cinque giorni che sembravano solo gradevoli tra molti altri e che poi, per qualche ragione aggiunta che non sai bene identificare, assumono una posizione privilegiata nella memoria. Ti ricordo i gesti, le piccole occasioni, i frammenti di fatti che compongono un nido cui fare ritorno ogni tanto, con tenerezza.
E' stato in quei giorni che ho instaurato con Daniela una breve amicizia. 
Mi pare che fosse mia coetanea, ma molto più avanti di me nella coscienza delle proprie aspirazioni. Quello che ha fatto nella sua vita, e che io ho scoperto solo ora che lei non c'è più, era già un germoglio in quegli spensierati giorni lontani.
La Francia era nei suoi progetti, culturali ed esistenziali.
Di lassù, durante i suoi primi approcci, si occupava anche di me, dei miei capricci. Stivali da apache, pensa un po'... 

  










Qualche giorno fa ho trovato in rete un bellissimo scritto che la riguarda.
Ho così scoperto che se n'è andata ma ho anche capito che ha avuto una buona vita, che ha fatto quello che amava e che le persone l'hanno amata, apprezzata, stimata.
Non è una considerazione che tutti possano fare a proposito di se stessi.
Nelle distrazioni colpevoli del vivere, durante tutti questi anni, non mi è mai mancata e ora che so, ora che non c'è più occasione, mi mancherà...








Commemorazione Prof. ssa Daniela De Agostini
Inserito da cordiner.valerio il Gio, 17/01/2013 - 09:16 

 Ci sono  persone che entrano nelle nostre vite in modo viscerale, che mettono disordine nelle nostre radicate certezze e le rimodulano in modi fantasiosi e imprevisti lasciandoci presagire che un altro mondo è possibile; persone che quando se ne vanno lasciano un vuoto solo in apparenza, perché in realtà rimangono presenti nel troppo pieno che hanno creato e che ormai ci appartiene. Daniela De Agostini era una di queste.
 
Una lunga e estenuante malattia ha sconfitto le sue energie e la sua intensa voglia di vivere il 10 dicembre 2011. Aveva studiato a Torino, la sua città natale, laureandosi nel 1974 con una tesi di critica genetica sul Temps retrouvé  di Proust: una metodologia e un autore che avrebbero poi orientato le sue ricerche successive. Le borse di studio a Parigi presso l’Ecole Normale Supérieure per tre anni non consecutivi dal 1975 al 1984, il ruolo di esercitatrice presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Torino dal 1976 al 1978, il conseguimento della Full Teaching Assistantaship presso la Catholic University of America di Washington dove è rimasta dal 1980 al 1983 la porteranno successivamente a Urbino chiamata dal professor Giovanni Bogliolo. Qui, all’incarico a contratto di Filologia Francese per sette anni consecutivi farà seguito nel 1992 l’entrata in servizio come professore associato di Letteratura Francese sempre presso la Facoltà di Lingue.
Proprio a Urbino, dove si era quindi definitivamente trasferita, Daniela ha dato dimora alla sua anima nomade e cosmopolita senza rinunciare a quegli innumerevoli viaggi che, assieme allo studio, rappresentavano per lei le principali attrattive. Se le numerose fotografie di cui era fiera testimoniano l’amore per l’avventura, per i luoghi insoliti fuori dai comuni circuiti turistici, le sue pubblicazioni danno prova di altrettanta curiosità verso mete di ricerca inesplorate che, nella loro varietà, gravitano attorno al principale centro di interesse e convergenza: l’opera di Marcel Proust. All’autore della Recherche, del quale ha curato diversi scritti, ha dedicato dal 1985 studi ben documentati indagando il mito dell’angelo (dal titolo di una monografia dedicata anche a Balzac e Zola), la funzione metaforica del personaggio di Albertine, il tema botanico, la concezione del tempo, la ricezione in Italia dell’opera dell’autore da parte, ad esempio, di Lorenza Maranini. Con il medesimo approccio comparatistico e genetico-testuale Daniela De Agostini ha attraversato l’opera di autori di secoli diversi, in particolare sull’Ottocento e sul Novecento letterario francese con incursioni nel Medio Evo e nel Cinquecento: da Racine a Rousseau sino a Balzac, Zola, Merimée, Tournier, Gracq, e interessandosi, in epoca più recente, alla commistione tra le arti e la letteratura. Il rigore metodologico e filologico, la vasta erudizione e la finezza analitica caratterizzano anche le sue molteplici curatele e traduzioni manifestando una passione per la ricerca e lo studio che non cessava di trasmettere ai suoi studenti. 
L’attività didattica rappresentava per lei un momento di trasmissione del sapere e di comunicazione di una passione che non si fermava all’aula universitaria. I corsi di teatro francese da lei promossi, le manifestazioni di vario tipo e i viaggi a Parigi con gli studenti facevano parte, ai suoi occhi, di un’affettuosa attenzione verso lo studente non formalizzata da alcun obbligo accademico e forse, proprio per questo, ben più stimolante da parte di chi, come lei, guardava con un certo disincanto le norme istituzionali.
Ed è proprio il filo invisibile della passione a collegare l’attività della studiosa a quella della docente e della persona, capace di parlare di Proust con la stessa affabilità e familiarità con cui raccontava l’ultima festa da lei organizzata nella sua bella casa di campagna di Urbino dove, da elegante domina del Montefeltro, amava accogliere generosamente i colleghi e trasformarli in amici.
La progressione inesorabile della malattia non ha impedito a Daniela l’acquisto di una bella casa a Parigi, sempre a disposizione di amici e colleghi, e la pubblicazione di altri scritti, tra cui un ultimo volume su Balzac e la sua modernità il cui titolo Accordi armonici ci dice anche qualcosa su chi l’ha scritto. Unico regret, forse, un viaggio in Patagonia per ricongiungersi idealmente con il suo avo, il padre missionario Alberto Maria De Agostini, che nei primi anni del Novecento aveva esplorato quelle terre, e per compiere, così, un viaggio a ritroso dove ritrovare le radici della propria curiosità verso il nuovo. 
Questi ultimi anni di sofferenza non hanno dunque spento le sue passioni, anzi sembrano aver accelerato la realizzazione di quei desideri che rimanevano silenti e che la paura della finitudine ha reso incalzanti: la studiosa del Tempo Ritrovato sentiva di non avere tempo da perdere.
 
Margareth AMATULLI

sabato 20 settembre 2014

FORGOTTEN FEELINGS 19





Una cartolina di Virginia Rossi...





...riferita alla mia esperienza "carosellara"
(vedi post del 23 gennaio 2011)




Questa cartolina di Virginia mi porta inevitabilmente alle solite riflessioni malinconiche sulla voracità del tempo e sulla tenerezza postuma che si nutre nei confronti delle persone che hanno fiancheggiato la tua baldanzosa e sciocca giovinezza. 
E' il leit-motiv di questo cazzo di blog che si tiene alla larga dal presente con un'inclinazione retrò che immagino a volte possa risultare stucchevole. 
Spero mi si perdonerà.
Da parte mia c'è molta affettuosa simpatia per questi tempi occasionalmente resuscitati, ma anche un sottile quanto indecifrabile sentimento che - in assenza di maggior chiarezza - sarei tentato di definire di espiazione.
Non saprei dire perchè ma è come se, sotto sotto, sentissi la necessità di chiedere scusa a tutti.

 



 Virginia nel 1968
( vedi post del 28 novembre 2010)




E intanto, indirettamente, mi sono trovato a scartabellare qualche immagine che credo inedita per ciò che riguarda la mia esperienza equestre.























giovedì 18 settembre 2014

mercoledì 10 settembre 2014

REPARTO REPERTI 21




Nell'inverno del 1972, nell'appartamentino che dividevo con Giorgio Mussa...




 Giorgio




 Vedi i post del 15 e del 18
dicembre 2010.




...a Parma dove eravamo ambedue sciagurati studenti di Medicina, con un cospicuo quantitativo di "reperti" che già allora facevano parte del mio bagaglio, dopo aver acquistato un piano di compensato di 2 metri per 1 ce li avevo incollati sopra, costituendo un collage che ha poi trascorso del tempo appeso nella mia prima camera a Torino...





 Qui se ne intravede un frammento.





...ha poi avuto funzione di tavolo da lavoro appoggiato su due cavalletti in Biaulì...














...e da molti anni è sistemato in verticale contro una travatura del soffitto spiovente nella parte bassa della mansarda, a Rueglio.
Quando all'inizio degli anni ottanta gli avevo dato la destinazione di tavolo lo avevo "plastificato" con un fai da te più ottimista che appropriato. 
Nel corso degli anni l'esposizione alla luce ha sbiadito le immagini, rendendone alcune addirittura illegibili, poi un'occasionale attacco di umidità ne ha macchiato un angolo, insomma dopo più di quarant'anni si sta accomiatando con la gradualità più elegante che si possa immaginare: sta svanendo.

























E allora a fine agosto, quando siamo andati a Rueglio per un paio di giorni, l'ho fotografato.










A far parte dell'insieme compare anche una mezza dozzina di fotografie. Stanno svanendo anche loro.
Per una in particolare mi spiace, anche se già all'origine era piuttosto sfocata. 
Ritrae, sedute sul bordo del marciapiedi che separava la spiaggia dal "Miami", Helène Lasserre e Anny Carrère con Speedy.









Mi spiace perchè quelle estati sono state fondamentali per accaparrarsi un bagaglio inestimabile di emozioni amicali e sentimentali, e quindi anche una foto, per quanto sfocata, si fa preziosa, anche perchè in quella foto c'è Anny - o Annie - un grande amore  di cui c'è modo di sapere più o meno tutto nel post "Tuffi salti e capriole" del 4 febbraio 2013 ma soprattutto in quello del 7 febbraio, intitolato "Annie".






sabato 6 settembre 2014

JANIS JOYCE FORGOTTEN BLOG










Sapevo che ce l'aveva e alcuni post li avevo anche letti, ma lei tendenzialmente non me ne parlava e da tempo ormai lo ha abbandonato.
Glielo avevano aperto quelli di Transeuropa.
Oggi cercavo una cosa in rete ed è saltata fuori l'immagine di un Sioux con la didascalia:

                             seventysex.wordpress.com

Mi ero persino dimenticato che quello era il nome.
Ho iniziato a leggere e ho scoperto con stupore che molti dei post per me erano inediti, ho riletto con gusto quelli che conoscevo e ho apprezzato le scelte musicali e delle clips che allegava, anche se alcune nel frattempo sono state tolte per motivi vari inerenti, credo, ai diritti.
Mi è piaciuto moltissimo e mi sono chiesto se tutte le persone che la seguono su FB sanno di questo precedente.
Quando è tornata a casa le ho chiesto lumi e lei mi ha risposto che da molto tempo non riesce più ad entrarci.
Probabilmente Transeuropa lo ha in qualche modo cassato.
Le ho detto di riprenderlo per conto suo e lei ha nicchiato, rispondendomi che ha altro da scrivere.
Lo so, però è un peccato.
Sono cronache e frammenti narrativi conclusi, configurano una specie di libro di racconti. Davvero bello.
Chi ne ha voglia e tempo vada a dare un'occhiata. Non se ne pentirà.

venerdì 5 settembre 2014

STATUINE











E' stata una scelta dell'amministrazione precedente, vale a dire quella cui sono appartenuto, di dedicare un monumentino con fontana ai bambini. 








Bambini speciali,  curiosi e silenziosi, che leggono, non strillano e non fanno capricci.
E' stata inaugurata da poco, dalla nuova giunta che ci è subentrata.
Era da qualche tempo che volevo farlo a adesso, finalmente l'ho fatto: farmi fotografare con loro.






























Molti bimbi giocano su questa piazza e molti di loro si avvicinano, li toccano, li osservano perplessi.
Non riesco ad immaginare che cosa provino, però mi fa piacere che alcuni si siedano accanto a questa mia amichetta con i loro fumetti e i loro libri illustrati, salvo poi andare a pesticchiare nell'acqua indagando i getti e gli uccellini fino ad essere zuppi, per la gioia delle mamme.

mercoledì 3 settembre 2014

UN BRAV'UOMO




Ho ricevuto un messaggio di Sandra Chiari, da Parma.
Mi annunciava la morte di Giorgio Fornari.
Sandra è già comparsa nei post del 23 aprile 2011 e 15 luglio 2012. 
Ho scritto di lei, ci sono immagini di un super 8 girato in casa sua alla fine degli anni settanta e l'ho rivista alla cena di presentazione de "Il sostituto". 
Ogni tanto ci scambiamo mail o ci telefoniamo.
 


Queste due fotografie sono presenti 
nel post del 23 aprile 2011








 Sandra è una cara amica alla quale mi lega un sentimento di affetto che rende semplice anche il nostro sentirci raramente e non vederci per anni.
Un sentimento analogo a quello che provavo nei confronti dell'uomo di cui mi ha annunciato il decesso.
Una figura che senza esserne consapevole ha indirizzato con burbera generosità una delle scelte cruciali della mia esistenza.
Scrivo di lui sia nella prima che nella seconda parte di "Un mestiere", nei post del 30 gennaio e 1 febbraio 2011.
Quello che segue è un articolo della Gazzetta di Parma che lo riguarda, corredato da una fotografia in cui ho riconosciuto  lineamenti che ho rivisto con simpatia e un po' di emozione.





 con la maglia di capitano della Nazionale di Rugby




Ai tempi in cui l'avevo conosciuto era più vecchio ma non molto diverso. 
Io ero un fessacchiotto ma non sapevo di esserlo, anzi.





  sul set de "Un dramma borghese" 
un film dove mi aveva fatto arrivare lui.





Giorgio Fornari il rugbista che andò in meta con il cinema

Aveva 86 anni. Sportivo e imprenditore. Proprietario di varie sale, fondò la Medusa

Giorgio Fornari il rugbista che andò in meta con il cinema

Con la sua scomparsa se ne va un pezzo della storia del cinema non solo parmigiano, ma italiano.
A 86 anni compiuti, è morto ieri nella sua casa di borgo Cairoli Giorgio Fornari: gestore di sale cinematografiche e teatri, distributore e produttore, organizzatore di eventi musicali, e capitano della nazionale italiana di rugby.
Un personaggio eclettico, esponente vulcanico di un'Italia che - nello spettacolo, come nello sport e nell'imprenditoria - stava compiendo il miracolo del boom.
Nato in una famiglia di imprenditori (il padre Giulio Fornari, titolare della «Borsari», era stato nel secondo dopoguerra presidente della Camera di commercio e dell'Upi), Giorgio dopo gli studi superiori si iscrive a veterinaria, un corso di studi che non terminerà.
Lo attrae il rugby (sono gli anni in cui inizia a giocare nella Rugby Parma), il jazz, di cui è appassionato, e il cinema, un grande amore.
Cercando di coniugare i suoi interessi con lo spirito d'impresa, nel 1949 acquista il Lux di piazzale Bernieri, trasformandolo nel «Nuovo Cinema Lux». Pensa in grande, Giorgio Fornari: a ristrutturare il vecchio cinema chiama i migliori ingegneri e architetti, oltre a Maurizio Chiari, arredatore e scenografo - fra gli altri - di Bolognini, Risi, Monicelli, Scola. Per inaugurare il locale, organizza fra l'8 e il 12 ottobre 1950 la «Settimana del regista italiano», forse l'evento dell'anno a Parma, dove sbarcano Lucia Bosè, Alberto Sordi, Alessandro Blasetti e Vittorio De Sica, Cesare Zavattini e Michelangelo Antonioni, Attilio Bertolucci e Carlo Mattioli.
È solo l'inizio di una scalata che porterà Fornari ad acquistare prima l'Orfeo e poi il Verdi (che, assieme al Lux, diverranno nel 1987 le prime multisala in città).
Con costanza e duro lavoro Fornari si costruisce una fama nell'ambiente. Negli anni diventerà presidente dell'Associazione esercenti cinema di Parma e Bologna, presidente regionale dell'Agis e vicepresidente dell'Associazione nazionale esercenti cinema. A Parma prende anche la gestione del Centrale, del Jolly, del Trento e del Piccolo Teatro. A Bologna quelle dell'Embassy, del Teatro Medica, dell'Imperiale.
Intanto continua l'impegno sportivo. Sono gli anni d'oro del rugby parmigiano, che vede Fornari raggiungere i massimi livelli agonistici. Fra il 1950 e il 1962 è per 15 volte capitano della nazionale italiana di rugby. Gareggia in tutto il mondo, assieme - fra gli altri - a Mario Percudani, Gianni Aiolfi, Mimmo Mancini, Emilio Andina. Parlando di quel periodo, all'inizio degli anni Ottanta, Giorgio diceva: «Darei 13 anni della mia vita futura per riviverne tre di quelli passati sui campi da rugby».
Chiudendo con l'esperienza della nazionale, Giorgio Fornari macina successi imprenditoriali. Diventa anche impresario teatrale e porta più volte al Trento Giorgio Gaber, di cui diventa amico. Al Teatro Medica porta Gino Paoli e Ornella Vanoni, poi inizia la collaborazione con Garinei e Giovannini e sul palco del Medica arrivano i musical «Aggiungi un posto a tavola» e «Accendiamo una lampada», entrambi con Johnny Dorelli.
Sul fronte cinematografico, Giorgio Fornari capisce che, se vuole fare il salto di qualità, deve cominciare a scegliere quali film comprare all'estero e a produrne di propri in Italia.
Nel 1964 fonda - assieme ai soci Franco Poccioni, Felice Colaiacomo e Renzo Ventavoli - la Medusa film, che diverrà in breve la principale società di distribuzione e produzione italiana.
È un periodo in cui - prestante e con un sorriso guascone che induce vari registi a chiedergli di passare davanti alla macchina da presa, tentazione alla quale non cederà mai - Giorgio Fornari appare nelle foto dei festival internazionali del cinema ai tavoli delle cene di gala con le star internazionali, fra le quali Sean Connery.
Con lui c'è sempre la moglie Marisa, forse più bella delle dive che la circondano, che gli ha dato quattro figli: Giulio e Alessandra, rimasti nell'ambiente del cinema, Alberto e Giovanna.
Fra i film prodotti dalla Medusa, «Mimì metallurgico ferito nell'onore» e «Pasqualino settebellezze», entrambi di Lina Wertmüller, e una valanga di commedie all'italiana. Una - «La moglie in vacanza, l'amante in città» - viene girata in parte anche nella casa di famiglia dei Fornari, a Ozzano.
Sia la casa di Ozzano che quella di Parma diventano il crocevia di una buona fetta dello spettacolo italiano: vi si ritrovano Vanessa Redgrave e Franco Nero, Bernardo Bertolucci, Lino Banfi ed Edwige Fenech, Maurizio Arena e Renzo Montagnani, Giorgio Gaber, Barbara Bouchet.
Oltre alla Medusa, Fornari fonda un'agenzia di distribuzione regionale, la C.Emi (Cinematografica emiliana) che lavora in Emilia Romagna e Marche. Distribuisce film di Orion, Twentieth Century Fox, Metro Goldwyn Mayer, Lion.
Nel frattempo - in una vita da pendolare fra Parma, Bologna e Roma- Fornari trova il tempo per coltivare un altro hobby, il jazz. Nei primi anni Ottanta fonda il «Jazz club» e, grazie alle conoscenze maturate sul lavoro, riesce a portare a Parma - dando impulso alla storica rassegna «Musica sotto le stelle» - musicisti come Dizzy Gillespie, George Benson, Lionel Hampton, Gerry Mulligan e molti altri. Personaggi che vengono a Parma più per la simpatia e la passione jazzistica di Giorgio che per i cachet che il Comune è in grado di pagare.
Del resto Giorgio Fornari è sempre stato così, ricordano i figli: incessante, impetuoso, generoso. «Quante anteprime cinematografiche benefiche ha organizzato. Non diceva mai di no alle associazioni, alle parrocchie».
Giorgio Fornari ha vissuto forse gli anni più esaltanti del cinema italiano. Con l'avvento delle tv commerciali - che vampirizzavano l'acquisto e la distribuzione dei film - fu fra i primi a capire che era finita l'epoca d'oro della Medusa, ceduta a Mediaset alla fine degli anni Ottanta. Fu anche fra i primi a capire che i piccoli cinema in centro storico erano destinati a scomparire: a poco a poco li chiuse e progettò e costruì al campus il multisala Cinecity, che poi la famiglia ha venduto. Ha lavorato fino al 2000 e, spiegano i figli, non era raro che nei fine settimana si sedesse alla cassa di qualcuno dei suoi cinema cittadini: «Per lui il cinema era anche sentire l'odore della sala, le risate o l'emozione degli spettatori, capire di aver puntato sul film giusto».
Il funerale si terrà domani alle 11 nella chiesa di Ozzano Taro. Questa sera alle 20,15 sarà recitato un rosario nella chiesa di San Giovanni Evangelista.

lunedì 1 settembre 2014

FORGOTTEN FEELINGS 18




La settimana scorsa abbiamo fatto un salto a Rueglio (800 chilometri tra andare e tornare, alla faccia del salto, e in soli due giorni) per partecipare almeno ad una delle cene agostane delle amiche e degli amici di passaggio.




da sinistra: Caroline, Olga con Emma, Pit, Gianluca, Cristina,
Angela, Mauro, Elena e Laura




Immortalati nella classica foto ricordo, che vabbè...




Pierangelo, Pit e Cristina




A tavola Laura ha chiesto a Gianluca notizie della casa di via Carlo Alberto (abbiamo abitato nello stesso palazzo, dove vivevano anche Furio e Alessandra, Renzo Cibrario e alcuni altri più o meno amici) e lui, che ha lasciato la casa un anno dopo di noi - nel 2004 - ma non ha mai lasciato Torino, aveva qualche informazione.
In sostanza pare sia tutto cambiato. 
La maggior parte degli inquilini tranne Renzo se n'è andata, i portinai sono stati liquidati, la zona è ormai rigorosamente pedonale, cosa ci sia dietro il portone ora sempre sprangato e munito di citofoni non si sa. 
Il vecchio proprietario è morto, gli eredi - numerosi - pare si siano limitati ad alzare i canoni d'affitto. 
Insomma una condizione attuale lontana ed emotivamente neutra, che mi ha fatto però tornare in mente delle immagini del 1988.



via Carlo Alberto





...in cucina Gianluca, Pierangelo, Laura con i capelli corti.









...la settimana scorsa a cena ad Alice
Elena, Olga, Laura





...nel 1988 in via Carlo Alberto: Laura in penombra,
 Elena, Bebe, un braccio di Gianluca.












 


























...Elena e Pierangelo...




Elena la settimana scorsa, pimpante come ventisei anni fa...




Il mattino dopo la cena ad Alice io e Laura abbiamo poltrito un po' nei letti gemelli in camera degli ospiti, a casa di mia madre. 
Chiacchierando (chissà com'è che appena svegli abbiamo sempre un sacco di cose da dirci) si è parlato anche dell'appartamento di via Carlo Alberto, e abbiamo convenuto sul fatto che ci siamo stati bene, che è stato un "buen retiro" eccellente, non nido come quello di Schio - che per essere stato vissuto per anni come una casa di vacanze ha conservato un'identità di "luogo per i giochi" - ma pur sempre un rifugio rassicurante quando lasciavamo il mondo chiuso fuori e leggevamo, guardavamo films, ascoltavamo musica, preparavamo i piani per i nostri documentari, ci approntavamo manicaretti magari maldestri ma squisiti, andavamo a Rueglio con frequenza e gli amici erano ancora tutti vivi e assidui quanto noi, e le escursioni in montagna erano faticose ma inebrianti, e i tuffi al torrente tonificanti, e la notte non ci lasciava andare a dormire.

Poi ci siamo alzati e ci siamo preparati per tornare a casa.





...e chissà chi ci vive adesso in questa...




...mi hanno detto che una casa dove chi ci ha vissuto lo ha fatto
 con serenità e affetto di questi sentimenti si è intrisa e tende a restituirli.
Spero per i nuovi inquilini che sia vero...




So long...