martedì 22 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 34




 Ci siamo. Ultimo capitolo.





                               TRENTAQUATTRO


Dopo la fine della costruzione occorse un altro mese per l’allestimento interno della fabbrica.
Luong lo invitò altre volte, anche a casa sua. Parlavano quasi esclusivamente di lavoro. I gemelli, che avevano studiato Dino con una certa cautela, decisero di accettarlo, anche perché lui si rivelò inaspettatamente un buon compagno di giochi.
Non tentò mai un approccio con Luong, anche se era perennemente tentato di farlo. Tergiversò fino alla fine dei lavori.
Lei una sera considerò che loro due non lo avevano mai fatto in un letto.
Dal momento che si erano rivisti non aveva mai neppure sfiorato l’argomento della loro antica relazione.
Dino Fabbri taceva, fissandola con stupore.
- Vuoi che proviamo a vedere com’è ? – aveva chiesto lei, ridendo dell’espressione di lui.
Nei mesi successivi Dino Fabbri affrontò con disagio la sensazione che si stesse ripetendo una situazione che aveva già vissuto. Come già con Carlotta si trovava di nuovo a ricoprire un ruolo subalterno, di principe consorte. La differenza era che Luong non pretendeva di risolvergli la vita, ma si aspettava che lui marciasse al suo passo.
Lo affiancò a sé con una gradualità propedeutica di cui lui non cessò mai d’esserle grato.
Si stupì di scoprirsi un talento imprevisto in un settore che gli era sempre stato estraneo, che aveva sempre considerato con diffidenza.
Luong impugnava il timone con una padronanza sorprendente, senza affanni, con una competenza che Dino non finiva mai di chiedersi da dove le potesse arrivare.
Era trascorso poco più di un anno quando gli disse che era incinta.
Sei mesi dopo partorì una bambina. Replicò l’anno successivo con un paio di gemelli: un maschio e una femmina.
La vita era cambiata per Dino Fabbri al punto che, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare, se non per sommi capi e con disagio, l’esistenza che aveva condotto prima.
Persino sua madre, che aveva finito con lo sposare il veterinario in pensione, si era lasciata contagiare da quella trasformazione, dedicando ai nipotini attenzioni di cui Dino non l’avrebbe creduta capace.
Luong era di nuovo incinta quando arrivò la lettera dello studio legale.
Erano scaduti i termini della separazione e l’avvocato di Carlotta lo invitava a stabilire gli accordi per il divorzio. Dal momento che era consensuale, che non c’era comunione di beni, e che nessuno dei due avanzava richieste nei confronti dell’altro, la prassi sarebbe stata rapidissima.
Dino accettò di farsi rappresentare dall’avvocato di Carlotta e in un mattino di novembre tornò nella sua città.
All’appuntamento allo studio lei arrivò in ritardo. Pioveva. Entrò scusandosi, scosse i capelli liberandosi dell’impermeabile e alzò il viso, sorridendo a Dino Fabbri, che restò impalato.
Era Carlotta ma non era lei.
A parte la foggia dei capelli c’era nel viso una diversità allarmante. Era come assottigliato il taglio degli occhi, gli zigomi parevano più pronunciati, il naso più affilato. Le labbra, che erano sempre state sottili e d’un tenue colore infantile, avevano ora un disegno pronunciato, sottolineato da un rossetto discreto ma che su quel viso pareva vistoso.
Carlotta rise.
- Plastica. Piccoli ritocchi qua e là. Non ti piace ?
L’avvocato sorrideva conciliante. Dino Fabbri rispose di sì, chiedendosi cosa mai passasse nella testa della donna che stava per diventare la sua ex moglie.
Affrontarono il traffico sotto la pioggia, il caos dei corridoi della Pretura, l’attesa tra altre coppie che si guardavano in cagnesco, la distratta verifica d’ufficio da parte del giudice a valutare l’eventualità di un loro ripensamento in extremis.
In quella selva di coppie ostili Carlotta e Dino sembravano compiacersi della loro familiarità. Persino il giudice era colpito dal loro comportamento, da vecchi amici felici di rivedersi. L’avvocato ostentava una soddisfazione da principe del foro. Li lasciò sull’ingresso della Pretura per tornare frettolosamente allo studio.
Loro due, abbandonati a se stessi, restarono un poco indecisi su come comportarsi.

Continuava a piovere.
Trovarono un taxi e si fecero accompagnare in un ristorante in collina, non molto lontano da dove avevano abitato durante il loro matrimonio.
Carlotta si liberò del soprabito  e sedette, rivolgendo un sorriso radioso all’ex marito.
Indossava un golfino di angora scollato. Dino Fabbri scivolò con una rapida occhiata sulla prominenza inattesa dei seni. A Carlotta non sfuggì.
- Un ritocco anche qui. L’ho tirato un po’ su. Non ti pare che stia meglio ?
Dino non se l’aspettava. Carlotta non aveva mai affrontato argomenti del genere con tanta futile leggerezza. Un seno non era mai stato un argomento di conversazione per lei, tantomeno il suo, ampio, latteo, che aveva sempre cercato di dissimulare infagottandolo in abbigliamenti collegiali.
- Sì. Sta bene. E’ bello… insomma, non so cosa dire. Belle tette ?
Dino Fabbri abbozzò un sorriso incerto. Carlotta annuì.
- Se è un complimento.
- Naturalmente. Solo che non mi aspettavo…C’è stato un cambiamento, non solo fisico voglio dire. Tu non hai mai parlato volentieri di certe cose, voglio dire…
- E’ vero, è vero - lo interruppe lei - Molti cambiamenti. E tu ?
Dino Fabbri alzò le spalle. Non aveva intenzione di parlare a Carlotta della sua nuova vita. Intendeva arrivare sano e salvo alla fine di quel pasto e poi non rivederla più.
- Hai una storia ? Vivi con qualcuno ? - chiese lei. Lui annuì.
- Fortunato - disse lei - Io ho solo avventure. Non riesco più ad essere fedele, e tu sai che non tollero l’assenza di chiarezza, così devo aprire e chiudere rapporti continuamente. E’ snervante.
Dino Fabbri, sconcertato, ammise che doveva costare una certa fatica.
- Niente innamoramenti ? - chiese.
- No. Tu sei stato l’ultimo.
Lui trasalì. Nonostante tutto non riuscì ad arginare un batticuore.
- Veramente - disse - credo sia più esatto dire il penultimo.
Carlotta gli rivolse un’occhiata di pacato stupore.
- Mi hai mandato via per far posto ad un altro, se non ricordo male.
Lei rise.
- Ah ! E’ vero ! Non era vero. Ti ho mentito perché sapevo che era l’unico modo per allontanarti. Non c’era nessun altro. Non c’è stato nessun altro per un bel po’. E quando ho cercato di rintracciarti eri sparito.
Dino Fabbri guardava la sua ex moglie con basita meraviglia.
- Così era tutta una messa in scena ?
Carlotta annuì.
- Poi, come ti stavo dicendo, ti ho cercato. Quando ho capito che tutto si era sistemato. Dentro di me, intendo, grazie al lavoro del dottor Carso eccetera. Allora ho pensato che potevamo ricucire lo strappo, ma tu eri irreperibile. Il mio avvocato ci ha messo un bel po’ per rintracciarti. Allora volevo proporti di fare un figlio. Poi è scattata questa cosa. Sai che io con il sesso, insomma, non è mai stato al centro dei miei interessi, ecco, e neppure ora, se vogliamo, ma c’è questo aspetto della seduzione, del piacere agli uomini. Mi è successo di desiderare di sedurre, e ho scoperto che ci riesco molto facilmente. Mi sembrava impossibile.
Carlotta scoppiò a ridere e si portò pudicamente una mano alla bocca.
- Con la maggior parte non arriviamo neppure a consumare, ma é una cosa che mi eccita molto. E’ strano che succeda proprio a me, ma non avrebbe senso che mi censurassi.
- Giusto - abbozzò Dino.
Nella sala semideserta i camerieri si muovevano con una leggerezza fantascientifica. Carlotta mangiava con buon appetito e sorrideva con un’allegria contagiosa. Ad ognuna delle sue risatelle Dino Fabbri non resisiteva ed abbassava per un attimo gli occhi sullo scollo del golfino.
Carlotta continuava ad accorgersene.
- Non te l’aspettavi.
- Che cosa ?
- Questo cambiamento.
- Eh, bé…
- Neppure io. Ti assicuro. C’è voluto un nuovo trattamento. Per fortuna il dottor Carso ha preso in pugno la situazione.
- In che senso ?
- Nel senso che il povero Leopòld con me aveva sbagliato proprio tutto. Pace all’anima, sua ma come psicoanalista era una frana. In pratica con la didattica mi aveva autorizzato ad esercitare e io ero…Io non ero pronta. Comunque poi tutto è andato a posto.
- Quindi, se non ho capito male, sei stata in analisi con Carso ?
Carlotta annuì, a bocca piena.
- E adesso anche lui ti ha autorizzata ?
- Ah, no ! Tutto cambiato ! Non è più il mio lavoro. Ho trovato il mio equilibrio, questo sì, o meglio ho imparato ad accettare che il mio equilibrio è squilibrato.
Carlotta rise e Dino le fissò le tette.
Per il resto del pranzo parlò quasi sempre lei. Gli spiegò che ora si occupava delle pubbliche relazioni di un consorzio di produttori di champagne e che trascorreva la maggior parte del suo tempo viaggiando all’estero. Che comunque, grazie all’analisi, era riuscita, alla fine, ad uscire dalla confusione della propria esistenza.
- Bene - disse Dino - per fortuna.
- Capisco che tu possa avere delle riserve in merito.
Carlotta allungò una mano sul tavolo e la posò un istante su quella di lui.
- Ma se sei onesto devi ammettere che tu non mi amavi. Io sì. Io sarei rimasta con te per tutta la vita. Era nel mio modo di vedere le cose allora. Una volta e per sempre. Se tu mi avessi amata saremmo rimasti insieme, ma tu non mi amavi. Quando ti ho detto di andartene in cuor tuo, sono sicura, eri felice di chiudere, magari un po’ spaventato, ma contento.
Gli sorrise con bonarietà e Dino Fabbri rinunciò ad opporsi alle sue affermazioni.
- E’ stata la sola cosa che Leopòld aveva capito, poveraccio.
- Theroux ? Te l’aveva detto lui che non ti amavo ?
Dino Fabbri cercò di essere ironico. Carlotta annuì.
- Ma lo capivo anche da me, non credere. Solo che facevo fatica ad ammetterlo.
Dino tacque. In fondo non valeva la pena dire a Carlotta che quasi sicuramente l’affermazione di Theroux era costruita sulla spinta della consistenza dell’assegno di suo padre.
- Poveraccio - disse lei.
- Chi ?
- Leopòld.
- Eh, bé, sì. Finire sgozzato.
- E probabilmente tu non sai com’è andata a finire la storia.
- In che senso ?
- Gli sviluppi del caso.
Dino Fabbri scosse la testa.
- So che Jef era ricercato, ma non so cosa sia successo poi.
Carlotta gli rivolse un’occhiatina indagatrice. Lui cercò di riepilogare rapidamente tra sé ciò che lo riguardava direttamente nella faccenda, che ora gli pareva lontana di secoli.
- Ti ricordi della madre di Solange ? – chiese Carlotta.
Lui trasalì.
- Sì. Perché ?
- E’ stata lei.
- A fare che ?
- A uccidere Leopòld.
- Ma dai !
Per una frazione di secondo, con suo enorme stupore, Dino Fabbri rivide il dito di Rosa sulla fotografia di Claire.
- Accidenti. E come si è saputo ?
- Mi pare che ti fosse simpatica – disse Carlotta. Dino mascherò l’imbarazzo con difficoltà.
- Ricordo poco di tutto quel periodo. Non aveva un albergo in Francia, o qualcosa del genere ?
Adesso stava riprendendo il controllo della situazione. Carlotta sorrise.
- Esatto - disse - Era una donna a posto. Forse un po’ stramba se vogliamo, ma tranquilla. Comunque pare che tra lei e Leopòld a suo tempo ci fosse stata una storia e…
Carlotta si bloccò, spalancando gli occhi per la sorpresa.
- Tu lo sapevi ! L’avevi capito ! Mi ricordo quella volta che mi hai fatto vedere gli album di fotografie. Incredibile ! Mi è venuto in mente solo adesso, all’improvviso. Pazzesco !
Dino Fabbri era piuttosto compiaciuto, ma ora gli premeva sapere di Claire.
- …E io ti avevo anche fatto il culo perché eri andato a curiosare nei cassetti di casa Lehrmann. Ti ricordi ? Dicevi ”Questi due scopavano”. Non capisco come ho fatto a non ricordarmene subito, io…
Dino arginò la concitazione di Carlotta e la riportò all’argomento. Lei, per un po’, raccontò senza smettere di guardarlo con meravigliata incredulità.
- …Un intreccio da non credere - finì col dire, abbandonandosi di nuovo alla narrazione - Intanto quella che tutti credevamo fosse la fidanzata di Theroux in realtà è una lesbica e per di più era, mi pare d’aver capito, sorella o sorellastra di sua moglie, della moglie di Leopòld voglio dire. Pazzesco, eh ? Insomma è saltato fuori che questa Eliane, così si chiama…Tra l’altro dovresti ricordartela, era al funerale di Leopòld, bardata come un pirata.
Dino finse di rifletterci su, prima di dire che non riusciva a farsela venire in mente.
- …E’ stata lei a mettere Jef in casa di Leopòld. C’è dietro tutta una storia che adesso non sto a spiegarti perché non è del tutto chiara neppure per me, comunque succede che questa Eliane si trasferisce per lavoro nella Vallée de Joux e si sistema in affitto dalla madre di Solange e lì, paf, colpo di fulmine, si innamora di lei. Ma pare in maniera da delirio. E quell’altra cosa fa ? Non te lo puoi immaginare. Una casalinga tranquilla, con due figli grandi, vedova, ancora molto piacente. Ci sta.
Carlotta attese la reazione di Dino, che non venne.
- Ma hai capito ? Si mettono insieme !
Lui accennò un tentativo di stupore.
- Ma ti pare una cosa prevedibile ? Insomma questo menàge resta segreto, c’è solo Jef che sa. Tra l’altro è saltato fuori che odiava Leopòld. Tu l’avresti mai detto ? Sembravano così affiatati. E poi, tra l’altro, era il suo analista…Comunque ci sono queste tre persone che hanno un conto in sospeso con Theroux e che per un certo periodo si frequentano. Poi c’è un buco. La ricostruzione di tutta la faccenda me l’ha fatta la moglie del dottor Carso che nonostante tutti questi anni parla ancora un francese terribile, e non volevo interromperla continuamente, sai com’é. Allora la storia tra Eliane e… Claire, mi pare, no ? Bé finisce, almeno in apparenza. E poi a un certo punto salta fuori che Jef, Dio sa come, arriva a mettere gli occhi su certi progetti di transazioni economiche di Theroux e anche sul testamento, e sai chi è l’unica beneficiaria ?
Dino Fabbri scosse la testa.
- Noemì !
Questa volta Dino non dovette simulare lo stupore. 
- Noemì, capisci ? Te la ricordi, no ? Quella che hai fatto piangere la prima sera che sei arrivato.
- Io non l’ho fatta piangere…
- Bé, quello che é. Comunque ti rendi conto ? Lolita. Lo aveva completamente irretito. Volevano scappare insieme, e sai dove ? A Trinidad, dove c’era il padre di lei. Una bella famiglia allargata. Doveva avergli dato di volta il cervello e nessuno di noi s’è accorto di nulla.
Insomma alla fine diventa una squallida storia di soldi, anche se erano molti, pare molti di più di quelli stimati all’inizio. Io non ci voglio credere ma dicono che Leopòld avesse dei traffici, giri di ricatti, bé, insomma…Allora Eliane, che è una specie di tutrice della figlia di Theroux, ritenendo che debba essere lei la destinataria legittima del patrimonio di Leopòld, ricompare, ma non può certo dire “ Io so che vuoi filartela e sparire con tutti i tuoi soldi, so che hai fatto testamento a favore di quella puttanella” senza compromettere Jef. E a questo punto torna in ballo la madre di Solange. Il tempo stringe, sanno che Leopòld ha chiuso un conto in una banca di Ginevra. Si consultano e decidono. Così, freddamente. Di farlo fuori. Jef si occuperà di far sparire i documenti, insomma elaborano un piano che però all’ultimo momento cambiano, perché salta fuori un nuovo personaggio. Dì un nome.
- Cosa ?
- Prova a dire chi entra in questa storia.
- Non ho idea…
- Loretta Testoni !
Se Carlotta si aspettava la stessa reazione che Dino aveva avuto alla notizia di Noemì, rimase delusa. Lui, per parte sua, si sentì quasi rinfrancato dal fatto che qualcuno dei tasselli che aveva a sua disposizione combaciasse ancora.
- Proprio lei. Ti ricordo la scenata che ha fatto la sera prima che uccidessero Leopòld ? Insomma, pare che Jef avesse dell’ascendente su di lei e che l’abbia convinta a presentarsi nella radura all’alba, par un chiarimento. Intanto gli altri tre hanno il loro piano. Jef, che poi scapperà indirizzando le indagini inizialmente su di sé, quel mattino, all’ora del delitto, si fa trovare a Bas des Bioux con una gomma a terra.
Dino Fabbri si animò di sorpresa.
- Ma…non avevano detto che lui era con Loretta ?
- Cosa ? Con Loretta dove ? Mai sentito nulla.
Dino annaspò.
- No, volevo dire, insomma, la Polizia cercava lui, no ?
- Perché era scappato, ma non era che una manovra diversiva, infatti è arrivata puntuale una lettera anonima ed è saltato fuori che c’era un testimone, un fornaio, che lo aveva addirittura aiutato a cambiare la gomma a Bas de Bioux. Jef è rimasto con lui dopo, gli ha persino dato una mano al forno, insomma Leopòld è morto quattro ore prima che Jef facesse ritorno a Les Charbonnières. Non poteva essere stato lui.
- Ma, allora Loretta…
- Eccoci. Loretta è andata alla radura. E pensa che quella sciocca aveva un rasoio in tasca. Lo aveva preso la sera prima nel bagno di Theroux. Comunque c’è stato un alterco tra lei e Leopòld e lei ha avuto una specie di crisi epilettica. E’ svenuta e quando si è riavuta lì vicino c’era il cadavere di Leopòld.
- Ed era…sola ?
- Certo. Chi vuoi che ci fosse ?
- No…niente.
- Tutto deve essere successo nel momento in cui lei ha perso i sensi. Il piano era diverso, ma a quel punto per l’assassino si è presentata un’occasione di cambiare le carte in tavola e l’ha presa al volo. Ha sgozzato Leopòld e ha messo il rasoio in mano a Loretta.
- Ma chi ? Claire ?
- Proprio lei.
- Ma come fai a sapere tutte queste cose ?
- Lei è morta.
- Chi ?
- La madre di Solange. Si è impiccata.
Dino ansimò. Si versò un bicchier d’acqua e fissò Carlotta, in attesa.
- Ti fa così impressione ? Se vuoi smetto - disse lei, preoccupata per l’improvviso pallore di Dino.
- No, no. Vai avanti.
- Il mattino dell’omicidio, solo Jef ed Eliane sapevano che lei era già in Svizzera. Il piano era che arrivasse alle spalle di Theroux e gli sparasse a bruciapelo non appena Loretta si fosse allontanata. Contavano sul fatto che Loretta sarebbe tornata indietro, o che comunque avrebbe dato l’allarme. Intanto Claire avrebbe messo l’arma in mano a Leopòld, una pistola non denunciata procurata da Jef, e se la sarebbe filata nel bosco. Un suicidio. Ma la madre di Solange si dev’essere lasciata prendere chissà da quale smania. Se avesse atteso che Loretta si riprendesse forse tutto sarebbe andato diversamente. Oppure di fronte all’imprevisto si è giocata il jolly. Loretta prima di svenire aveva gettato il rasoio ai piedi di Theroux. Come si sia fatta avanti la madre di Solange non lo sapremo mai. Lui probabilmente non s’è accorto di nulla fino a che non si è trovato la lama alla gola. Secondo me lei il tempo di farsi riconoscere glielo ha dato. Non era mancina eppure si è sforzata di usare la sinistra. Era una donna molto forte pare, fisicamente intendo. Comunque ha lasciato una lunghissima lettera dove sembra che racconti tutta la dinamica. E’ ancora al vaglio degli inquirenti. Non l’hanno resa pubblica e ci sono le poche indiscrezioni che ti ho detto, ma si sa che ha confessato tutto.
Dino Fabbri era spossato. Da un pezzo aveva smesso di cercare di associare al racconto di Carlotta le versioni di cui era venuto in diverse riprese a conoscenza.
- …E li ha fregati tutti - continuava intanto Carlotta - Eliane, Jef, Marcella, tutti i complici, insomma. Ha lasciato le briciole ed è sparita con il grosso del malloppo. Non mi chiedere come. Poi il caso è riesploso un paio di mesi fa. Lei era in Messico. Con lei c’era una ragazza, un’algerina pare. E’ morta per un tumore in pochi mesi. Subito dopo la madre di Solange si è impiccata. Prima però ha spedito la famosa lettera. Questa è storia recente. Prima o  poi si conoscerà tutto il contenuto, per ora risulta che confessi l’omicidio di Leopòld. E non solo. Anche la complicità in quello del marito. Lei e Theroux. Gli amanti diabolici. L’avresti mai detto ?
Dino Fabbri accennò un diniego quasi distratto. All’improvviso scese tra loro due un silenzio che sembrava non doversi sciogliere più. Sorseggiarono i caffè scambiandosi sorrisetti imbarazzati. Alla fine Carlotta estrasse un pacchetto di sigarette.
- Ti da fastidio ? - chiese a Dino.
- No, assolutamente.
- Fumo questa e andiamo.
- Va bene.
Comunque, per concludere, se vuoi, quando renderanno pubblico tutto il contenuto della lettera ti farò sapere. Carso sarà sicuramente uno dei primi ad esserne informato.
- Non importa. So già anche troppo - rispose Dino.
- Dicevo così. Visto che in qualche modo hai assistito a una parte della cosa…Non sei curioso ?
Dino Fabbri alzò le spalle.
- Chi sa se nella lettera dice davvero la verità ? Alla fine, in queste cose, non si è mai certi di nulla.
- Comunque Jef e Marcella sono spariti dalla circolazione e quell’Eliane ha ottenuto quello che voleva. La figlia di Theroux ha ereditato tutto, e credo che lei se la caverà dall’accusa di complicità in omicidio.
- E Noemì ?
- Ah ! Noemì s’è sposata ! Ha sposato un tipo assurdo, stanno a Tolosa, lui ha un ristorante.
- E Solange ?
- Solange è sempre là - Carlotta alzò le spalle con un gesto di rassegnata tenerezza.
- Poverina, lei non fa capire cosa prova ma deve essere stato terribile. E’ anche andata sulla tomba della madre, laggiù… Ah ! ecco che mi dimenticavo, per fortuna che abbiamo parlato di lei. Pensa che quella Claire ha lasciato un messaggio nella stanza dove si è impiccata dove chiedeva che le incidessero un'epigrafe sulla tomba. E vuoi sapere ? E’ la stessa che c’è su quella di Leopòld, e che lui si era scelto molti anni fa, lasciando disposizioni notarili eccetera eccetera. E poi voleva scappare a Trinidad ! Era pazzo, non c’è altra spiegazione, comunque…Una cosa tratta dall’Ecclesiaste mi hanno detto, o Quoelét si chiama anche, no ?
Carlotta prese a frugare nella borsa.
- Me la sono riportata perché è strana. Fa venire i brividi se pensi che se l’è scelta una persona che sta per uccidersi.
Estrasse un taccuino e lo sfogliò.
- Ecco qua: “ I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c’è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finto, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole.” Non è terribile ? Voglio dire, senza un filo di speranza.
Dino Fabbri stava pensando a Claire Lehrmann e tutto a un tratto gli parve di capire che donna fosse stata, che essere umano. Nutrì per lei per pochi attimi una tale tenerezza e comprensione che gli si inumidirono gli occhi. Si soffiò il naso. Pagò il conto e lasciò Carlotta di fronte all’ingresso della sua nuova casa in centro, dove lei aveva detto di non abitare quasi mai. Si abbracciarono con un residuo di tenerezza, sul sedile del taxi.
- Sentiamoci - disse lei prima di scendere.
Sul treno che lo riportava a casa Dino Fabbri tentava inutilmente di leggere la rivista che aveva frettolosamente acquistato in stazione.
All’esterno scendeva l’oscurità. Le luci nelle case segnalavano frammenti d’esistenza sfrecciando nel riquadro del finestrino.
Claire Lehrmann era stata sepolta accanto a Leila, in un paese sulla costa occidentale messicana di cui Dino Fabbri ignorava il nome.

           







lunedì 21 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 33




                                     TRENTATRE

Dino Fabbri si organizzò e finì col trascorrere la maggior parte del suo tempo sul cantiere, dopo essersi trasferito in un residence a poca distanza.
Luong si faceva vedere spesso, quasi sempre accompagnata dai figli: due bambinetti di cinque anni piuttosto silenziosi.
Una volta Dino le chiese del marito. Era sorpreso che in un mese di lavoro non si fosse mai fatto vedere. Luong disse che era in viaggio per lavoro e cambiò argomento. Il giorno dopo, per la prima volta, lo invitò a cena.
Il ristorante era thailandese e vennero accolti con un ossequio imbarazzante.
- E’ mio - disse Luong, con un breve cenno della mano a indicare il locale.
Mangiarono in una saletta minuscola, riservata a loro due soli.
Lei spiegò la situazione con un’essenzialità ammirevole e rivelando una padronanza della lingua che fino a quel momento aveva mascherato.
Il marito aveva un’altra famiglia di fatto e più che dell’azienda si occupava di golf e della sponsorizzazione di imprese sportive. La struttura dell’azienda era costituita da un cartello di una mezza dozzina di marchi: abbigliamento sportivo, giovanile, accessori, più un segmento di franchising di un paio di case straniere.
Una comunque era la griffe di maggior successo, ed era nata e cresciuta grazie all’iniziativa di Luong. 
La scissione dalle altre si era appena conclusa dopo avvilenti lotte economiche - una vera guerra legale tra le parti - e da questa Luong era uscita con le ossa rotte ma conservando il suo marchio, l’esposizione economica con le banche per i finanziamenti del nuovo stabilimento, che sarebbe stato soltanto suo, la garanzia di un divorzio consensuale e la tutela dei figli.
- Adesso non ho che debiti – concluse  sorridendo.
- Incredibile… - mormorò Dino Fabbri - Ma come hai fatto in così pochi anni ad entrare nel meccanismo ? Voglio dire è una cosa complicata, io credo che…
- No, non lo é. Mi piace. Lo trovo divertente. E’difficile che una cosa che ti diverte ti possa risultare complicata.
- E adesso ?
- Per via del denaro ?
Dino annuì.
- Lo rifarò, ma non è lì la questione. Quello non vale nemmeno perdere il tempo a contarlo, c’è chi lo può fare per te. Vedi io sono stata povera. Ma di una povertà che tu neppure puoi immaginare. Io e tutta la mia famiglia. Proprio fame. Insomma non mi piace la ricchezza in sé. Dopo che ci si toglie la paura della miseria la ricchezza bisogna farla ballare, muoverla, darle un senso. Sono stata fortunata, mi piace molto il mio lavoro e per lui occorre fare questa partita, i soldi sono pedine, le sposti qua e là. Non è difficile, davvero.
Dino Fabbri era ammirato da quella tranquilla determinazione. Quando se ne andarono lei abbracciò una coppia di vecchi sulla porta delle cucine, poi li presentò a Dino.
- I miei genitori - disse con orgoglio.

domenica 20 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 32





                                       TRENTADUE


Impiegò una settimana a trovare Luong.
Scovò il centro massaggi cui aveva fatto accenno Gambarino, ma lei aveva lasciato quel posto da anni. Gli fornirono un indirizzo, cui naturalmente non corrispondeva più il domicilio, e un cognome, che non figurava nell’elenco telefonico. Dino Fabbri contattò il consolato thailandese ma di là non seppero, o non vollero, fornirgli informazioni. Così, alla fine, chiamò Gambarino. Gli disse che soffriva per una cervicale, che gli avevano consigliato dei massaggi shiatsu e che si era ricordato di quello che lui gli aveva detto di Luong. Suonava falso lontano un miglio ma Gambarino non era tipo da accorgersene. Era scoppiato a ridere.
- E che cazz ! Massaggi ! Altro che massaggi bisognerebbe farsi fare da quella lì.
Dino Fabbri aveva abbozzato una risatina conciliante.
- Comunque massaggi nisba, ormai - aveva continuato l’altro, improvvisamente serio - Saranno sette anni almeno che fa la bella vita, caro mio ! Ha sposato uno pieno di soldi, di Modena. Adesso i massaggi ce li fa a lui e basta. Eeeh, così è la vita caro il mio “stampo io”. Ti ricordi ? Che tempi, eh ?
Gambarino gli aveva dato qualche altro ragguaglio e lo aveva lasciato invitandolo ad andare a trovarlo nella sua nuova sede.
- Qui ormai c’ho tutto digitale. C’abbiamo il nouau, caro mio.
Dino Fabbri aveva risposto che sarebbe passato senz’altro.
Non si era arreso. Era partito per Modena e, grazie alle indicazioni di Gambarino, aveva rintracciato l’azienda del marito di Luong e il loro indirizzo di casa.
Da lì, al telefono, gli aveva risposto una voce femminile dall’accento straniero, comunicandogli che la signora era in ufficio. Lui, dopo un lungo momento di esitazione, aveva telefonato in azienda e chiesto della “signora Luong”. Il frammento di incertezza della centralinista e il successivo terzo grado di una segretaria lo spiazzarono. Lo lasciarono in attesa per qualche minuto.
La voce di Luong sopraggiunse inaspettata, senza segnali sulla linea, come se lei fosse sempre stata lì, in ascolto.
Fu gentile, senza gli imbarazzi che Dino Fabbri aveva temuto di suscitare dopo tutti quegli anni, e quel loro trascorso segreto, probabilmente per lei, ora, da non rievocare.
Gli chiese di lui, accennò qualcosa di sé, disse che poteva dedicargli un’oretta nel tardo pomeriggio. Lui capì che lei pensava si fosse fatto vivo per ragioni di lavoro. Naturalmente era impossibile dirle perché l’avesse cercata; in fondo non era certo di saperlo neppure lui.
Trascorse il resto della giornata a passeggiare per la città in attesa dell’appuntamento, tormentato dall’idea di rendere miserevole la sua visita, qualunque ragione avesse accampato per giustificarla. Si chiese inoltre se il marito potesse essere a conoscenza di ciò che c’era stato tra loro due.
Alle sei e mezza entrò nell’atrio luminoso di una palazzina di fine ottocento, suggestivamente rivisitata all’interno secondo criteri di architettura modernissima.
Una segretaria con un fisico da servizio d’ordine lo guidò all’ufficio di Luong. Lungo l’itinerario, gettando occhiate qua e là negli uffici e per i corridoi, non vide che donne.
Lei lo accolse con una simpatia distaccata. Non era quasi per nulla cambiata, pareva addirittura ringiovanita. L’unica variante erano i capelli, accorciati in un taglio mosso invece che nella rigida frangetta di foggia orientale.
Lei entrò immediatamente in argomento, sia pur con delicatezza: gli chiese se facesse ancora il fotografo e dove vivesse. Lui tentò un raffazzonato riassunto della sua esistenza durante quei dieci anni e Luong lo ascoltò senza mai interromperlo, rivolgendogli un sorriso che Dino Fabbri tentava inutilmente di decifrare. Mano a mano che procedeva si rese conto che stava descrivendo una considerevole sequenza di fallimenti, malgrado il tentativo di indorare la pillola con l’ironia, e si convinse che il sorriso di lei non poteva essere che di commiserazione. 
Luong, approfittando di una pausa, gli chiese in che cosa potesse essergli utile. Lui rispose che aveva solo avuto voglia di rivederla, così. Lei abbozzò un sorriso di pacata incredulità.
Sulla scrivania campeggiava la foto incorniciata d’un gruppetto di famiglia.
Nell’immagine dai colori sfavillanti Luong sedeva accanto ad un uomo prestante, giovanile ma dai capelli bianchissimi, evidenziati ancor più dall’abbronzatura. Lui le cingeva affettuosamente una spalla e con l’altra mano rivolgeva un brindisi all’obbiettivo, impugnando una mezza bottiglia di champagne. Due bambini, identici tra loro e somigliantissimi a Luong, sedevano a gambe incrociate ai piedi della coppia.
- Tuo marito ? - chiese Dino.
- Sì. E quelli sono i miei bambini. Gemelli. Ci sono tanti gemelli nella mia famiglia.
Dino Fabbri si sforzò di apprezzare il quadretto familiare e si preparò a congedarsi.
Luong gli chiese se fosse disponibile per un lavoro. Mentre lui si riprendeva dalla sorpresa gli spiegò che avevano in avvio la costruzione di un  nuovo stabilimento e che lei desiderava documentarne tutte le fasi. Gli mostrò i progetti con orgoglio. L’edificio, in mattoni a vista, richiamava l’architettura delle factories americane del New England di fine ottocento. Proponeva un’armonia  di forme inedita, mescolando tradizione a soluzioni d’avanguardia. Dino Fabbri era incantato. Luong ribadì l’offerta. I lavori sarebbero iniziati in primavera. Lui accettò.



sabato 19 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 31


                                    



                                    TRENTUNO


Dal momento che il ritorno a casa non rappresentava nulla di promettente Dino Fabbri optò per una diversione che gli permettesse di posticiparlo. Si lasciò guidare dal caso e questo lo condusse beffardamente verso altri suoi fantasmi, più remoti.
Quando entrò sull’autostrada in direzione di Lione si chiese se non si nascondesse in lui qualcosa che andava cercato e scoperto grazie all’aiuto di gente come Theroux, o Carso, o la stessa Carlotta. La sola idea lo faceva rabbrividire: a suo modo di vedere sarebbe stato come affidarsi al proprio commercialista per un’appendicectomia. Stava comunque di fatto che, con tutte le strade che poteva scegliere, aveva imboccato quella che lo conduceva dritta al luogo dal quale era fuggito molti anni prima.
Quando ebbe appetito si fermò ad un posto di ristoro che aveva di fronte una piccola area allestita con panche e tavoli all’aperto. 
Gli ombrelloni schioccavano sotto le folate di vento. Dino era l’unico ad essersi accomodato fuori, dopo aver scelto una tartare con patate fritte e birra al self-service.
Gli sarebbe piaciuto fermarsi lì, in mezzo a quella campagna, a servire piatti e bevande ai viaggiatori.
Alla fine del pasto si ricordò della lettera.
Divorò d’un fiato le quattro pagine dattiloscritte, dettagliate, caratterizzate da un sorprendente arido tono procedurale, vagamente avvocatesco.
Alla fine decise di cambiare direzione al primo svincolo e tornare davvero a casa, anche se una casa, in realtà, non l’aveva più.
Per il resto del viaggio non fece che ripercorrere mentalmente i passaggi della lettera di Claire, andando a ripescarli ogni tanto, aprendo i fogli ed appoggiandoli al volante.
Dopo un breve preambolo lei ribadiva d’essere estranea a tutti gli eventi accaduti nella Vallée de Joux, ammettendo solo d’essersi a suo tempo resa disponibile a garantire un’alibi a Theroux per quella lontana notte in cui Felìx era morto nel lago di Neuchatel, alibi che peraltro non si era mai reso necessario. 
Claire aggiungeva qualcosa che non aveva mai ipotizzato a voce, e cioè che alla fine potesse essersi davvero trattato di un incidente. Poi, all’improvviso, con un cambio di argomento senza soluzione di continuità, dichiarava che non era stata Loretta Testoni ad uccidere Leopòld. Claire rivelava d’essere a conoscenza dei maneggi sessuali tra le due coppie. E sapeva di più. E cioè che tra Jef e Loretta la cosa era andata oltre, con un rapporto che avevano mantenuto nella clandestinità. Ma la parte più sconcertante della lettera riguardava la famigerata alba nel bosco. Claire premetteva che era stata Eliane a raccontarle tutto.
La sua versione dei fatti era che quel mattino, nella radura, Loretta non era arrivata da sola. L’alterco con Leopòld era stato violento, lei aveva avuto una crisi isterica ed era svenuta. A quel punto Jef era uscito allo scoperto e aveva sgozzato Theroux. Claire non ometteva di ricordare che Jef era mancino. Quando Loretta si era riavuta si era ritrovata a terra, accanto al cadavere di Leopòld, con un rasoio in mano e Jef, inginocchiato accanto a lei, che le diceva "Che cosa hai fatto !".
 Dino Fabbri si stava chiedendo perché Claire avesse deciso di rivelare tutto questo proprio a lui, addirittura con una lettera, che avrebbe potuto essere definitivamente compromettente.
Lei concludeva con un tono di contrizione. Si diceva incapace di tollerare più a lungo una situazione di quel genere, compresi gli obblighi di profondo affetto che la legavano ad Eliane, che peraltro accusava, neppure troppo velatamente, di complicità nell’omicidio. Concludeva invitando Dino a fare di quella lettera l’uso che riteneva più opportuno.
Quella conclusione era la cosa che lo disturbava di più. Tutta la lettera suonava male, ma il finale era dannatamente sgradevole. Pareva che Claire fosse sicura che lui, con la lettera in mano, sarebbe corso da qualche parte a suscitare un nuovo vespaio.
“Non contare su di me “ mormorò fra sé. Appallottolò i fogli e li gettò indietro, a rotolare sul fondo del bagagliaio.


venerdì 18 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 30




                                         TRENTA


Dino Fabbri aprì gli occhi. 
Un fendente di sole attraversava la stanza passando per uno spiraglio tra le persiane e illuminava tiepidamente un frammento della parete di fronte al letto.
Si mosse con cautela, riconobbe la stanza dove lo aveva condotto Leila, ricordò all’improvviso la fine del colloquio con Claire. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso da allora.
Si alzò a sedere sulla sponda del letto  e fu inchiodato da un capogiro improvviso. Un vago senso di nausea lo disturbava dal momento del risveglio.
Costringendosi all’immobilità, ad occhi chiusi e con la sensazione di roteare in un vuoto plumbeo, ricostruì con un faticoso sforzo mentale tutte le fasi che avevano preceduto quel risveglio. E per la prima volta dall’inizio di tutta la maledetta faccenda, ebbe paura.
Quando sentì attenuarsi il senso di stordimento si trascinò in bagno. Vomitò e poi si cacciò sotto la doccia, con la precauzione di non chiudere le antine zigrinate. Da sotto il getto d’acqua riusciva a tenere costantemente d’occhio la porta d’ingresso della camera. Dopo alcuni minuti di immobilità si sentì meglio e cominciò a chiedersi che cosa dovesse fare. Ora era certo che durante il suo colloquio con Claire qualcuno aveva atteso il momento opportuno per aggredirlo alle spalle e narcotizzarlo. Qualcuno che era d’accordo con lei, evidentemente.
Si cercò tracce di eventuali segni di iniezioni sulle braccia e sul resto del corpo senza riscontrarne. Riusciva a dominare gli improvvisi accessi di panico, che si scatenavano ad ondate intermittenti, ma si rese conto che non era in condizioni di elaborare un piano. L’unica idea costante era quella di fuggire. Scostò leggermente le ante della persiana per dare un’occhiata all’esterno. Il giardino era deserto, inondato di sole.
Gettò alla rinfusa i pochi effetti personali che aveva estratto dalla borsa e decise che avrebbe cercato una via d’uscita attraverso il giardino. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa che potesse fungere da eventuale arma impropria senza trovarla. Stava cercando di smontare la barra appendiabiti all’interno dell’armadio quando bussarono alla porta.
Dino Fabbri si immobilizzò con il cuore in gola, poi un accesso di insperato raziocinio gli fece riconoscere che era improbabile che chi lo aveva messo fuori combattimento avrebbe bussato prima di entrare.
- Si ? - disse, con la voce che mancò, impantanandoglisi in gola.
- Le petit dejèuner, monsieur.
Dino Fabbri si accostò al letto e posò a terra la borsa da viaggio.
- Avanti - disse con voce più ferma.
A fare il suo ingresso fu la camerierina che lo aveva servito durante la cena, e che gli rivolse un breve cenno del capo prima di posare il vassoio con la colazione.
- Quand vous aurez terminé madame vous attends dans son bureau, monsieur.
Dino Fabbri annuì e la ragazza se ne andò.
Dunque, se non aveva capito male, Claire lo aspettava nel suo ufficio.
“Di nuovo” pensò, e inaspettatamente gli venne da ridere.
Consumò la colazione con appetito. La nausea che lo aveva attanagliato al risveglio era scomparsa.
Terminò la propria toilette con calma. Cercando di immaginare come si sarebbe comportata Claire, e di conseguenza come avrebbe dovuto comportarsi lui. Quando si sentì pronto afferrò la borsa da viaggio ed uscì nel corridoio. Controllò a destra e a sinistra che non ci fosse nessuno. La luce era fioca, il profumo di detersivo stuzzicava le narici. Dino Fabbri rientrò in camera, la chiuse dall’interno lasciando la chiave nella toppa, scavalcò il davanzale della finestra e si avviò, attraverso il giardino, verso l’ingresso posteriore dell’hotel.
Leila, dietro il banco della reception, gli rivolse un sorriso smagliante, che si congelò per una frazione di secondo quando individuò la borsa che Dino Fabbri teneva in mano.
- Monsieur s’en va déjà ? – chiese con tono affabile.
Lui le sfilò di fronte senza guardarla e senza rispondere, attraversò la hall ed uscì sul marciapiede. 
Fuori c’era l’inattesa animazione di un mercatino turistico: la Volvo era incastrata tra una bancarella che esponeva parei ed espadrillas multicolori e un’altra sulla quale stavano in bell’ordine statuine e medaglioni di terracotta. Sulla ruota anteriore dell’auto spiccava una ganascia giallo ocra. La multa era sotto il tergicristallo.
Dino Fabbri gettò la borsa nel bagagliaio sotto lo sguardo ostile delle due donne delle bancarelle e si diede un’occhiata attorno, con la multa in mano, come a cercare la direzione da prendere.
Claire era sull’ingresso dell’hotel. Attraversò la strada e gli si fece incontro. Osservò la ganascia sulla ruota e scosse la testa.
- Non sapevo che avevi parcheggiato qui - disse. Lui non rispose.
Claire gli tolse di mano il foglio della multa.
- A questa ci penso io. Se vieni dentro facciamo in modo che ti liberino l’auto. E’ colpa mia, mi dispiace.
Dino Fabbri non disse nulla e non si mosse. Le due donne delle bancarelle li osservavano. C’erano buone probabilità che avessero capito le parole di Claire. Lei appariva a disagio.
- Preferisco aspettare qui, grazie - disse lui.
Lei fece una leggera smorfia di disappunto.
- Come vuoi, ma non c’è più nessun problema - sussurrò - e non c’è nessuna ragione di preoccuparsi. Di me ti puoi fidare.
Dino Fabbri scoppiò a ridere. Lei si avviò verso l’ingresso dell’hotel e lui la raggiunse. Attraversarono la strada fendendo la folla di turisti, che nel frattempo si era fatta numerosa, e rientrarono nella hall.
Leila scivolò da dietro il bancone con il suo passo sinuoso, in direzione delle scale.
Dino Fabbri non si trattenne dal darle un’occhiata.
- Chi va ad avvertire ?
- Nessuno - rispose Claire senza voltarsi. Lo precedette nell’ufficio e lui, ritrovandosi in quell’ambiente, provò una sensazione d’affanno.
- E’ tutto a posto - disse lei, come se avesse capito lo stato d’animo di Dino.
- Tutto a posto ? - chiese lui. Lei annuì.
- A me non pare - attaccò lui - a me pare invece che sia tutto da chiarire.
Si spostò dalla posizione di fronte alla scrivania e addossò le spalle ad uno dei classificatori.
- Ho dormito parecchio, mi pare.
- Si trattava di essere sicuri che non ti mandava nessuno. Che non c’entravi se non per caso, o per curiosità tua. 

- Adesso è tutto chiaro.
- Ah, sì ?
- Sì. Puoi sederti. Non corri nessun rischio.
- Preferisco restare in piedi. E vorrei che tu mi facessi liberare l’auto, se non ti dispiace.
Claire formulò un numero di telefono; parlamentò piuttosto a lungo prima di interrompere la conversazione.
- Mi dispiace. Ci vorrà almeno una mezz’oretta. Quello che si occupa delle rimozioni è fuori. Io intanto  mando qualcuno a pagare la multa. Ti va un caffè ?
- Lo prendi anche tu ?
- Sì.
- Va bene allora.
Claire si andò ad affacciare alla porta dell’ufficio e chiamò Leila, passandole la multa, poi tornò a sedersi alla scrivania.
- E Jef dov’è ? - chiese Dino Fabbri.
Claire fece un gesto vago, quasi ad indicare che si fosse volatilizzato.
- Per quanto tempo mi avete tenuto addormentato ?
- Io non c’entro. Io sono presa in mezzo come te ! Adesso ti spiego tutto…  
- Per quanto tempo !
- Da ieri.
- Ieri ?
- Sì. Ma non eri addormentato, solo assopito… hai anche mangiato.
- Vuoi dire, in pratica, due notti e un giorno ?
- Più o meno.
- Voi siete pazzi ! pazzi pericolosi !
- Jef voleva essere sicuro che tu non avessi a che fare con la Polizia, e comunque che non agivi per conto di qualcuno. E anche Eliane.
- Ma se ti ho detto che io so chi ha ammazzato Theroux !
- Lo sanno anche loro.
- E allora, se Jef comunque è scagionato perché tutta questa messa in scena.
- L’altra notte ti ho detto una cosa. Non ricordi ?
Dino Fabbri ci rifletté su prima di rispondere di no.
- A proposito di mio marito.
Dino reagì come se qualcuno gli avesse infilato un cubetto di ghiaccio nella camicia.
- Cazzo… - bisbigliò - …anche lui ?
Claire annuì - Leopòld - disse.
- C’era da immaginarselo - mormorò Dino.
- Era terrorizzato. Sapeva che Felìx si preparava a distruggerlo. E’ venuto da me una notte, passando per il giardino. Mi ha chiesto se ero disposta a rendere pubblica la nostra relazione. Io naturalmente ho risposto di sì. Fino a quel momento era stato lui a volerla nascondere a tutti i costi. Mi ha chiesto se ero disposta a farlo in ogni caso, anche in un tribunale, e io gli ho ripetuto ancora di sì. Allora mi ha detto che se fosse stato necessario, se mi avessero interrogata, avrei dovuto dire che quella notte l’aveva trascorsa con me. Non lo ha fatto, se ne è andato via calandosi in giardino e il giorno dopo hanno ripescato l’auto di Felìx nel lago. Leopòld è sparito e non l’ho rivisto per due anni.
Claire aprì leggermente le braccia con un dimesso gesto di resa
- E che cosa c’entrano Jef e l’altra, Eliane ?
- Quando lei è venuta ad abitare da me siamo diventate amiche. Col tempo le ho raccontato tutto di me. Alla fine anche la storia con Leopòld e la morte di Felìx. All’epoca non c’erano state indagini. Il caso era stato archiviato come incidente. Leopòld aveva fatto le cose per bene, pare. Probabilmente si era fatto aiutare da qualcuno, ma questo, ormai, non lo sapremo più. Comunque non era stato necessario che io “rendessi pubblica”, come diceva lui, la nostra relazione. Così se ne stava tranquillo. Probabilmente, a cosa fatta, si era pentito di avermi chiesto quella complicità. Era chiaro che potevo avere dei sospetti. Ma io tacevo, e alla fine si sarà convinto che per quanto riguardava me non doveva preoccuparsi.
- Ma tu i sospetti li avrai pure avuti , no ?
Claire scosse il capo con un gesto stanco. Dino Fabbri si accorse che il rassegnato distacco con cui lei guardava spesso ai casi della vita faceva parte della sua bellezza.
- Per me era finito un incubo – stava intanto dicendo – per il resto non volevo più pensarci. Leopòld mi aveva piantata. Avevo due figli. Ero incredibilmente stanca. Però capivo che mi si offriva un’ultima possibilità di essere libera, e allora ho deciso che non l’avrei persa, e che da quel momento in poi non mi sarei più messa allo sbaraglio. Me ne ero davvero dimenticata quando ho raccontato l’episodio ad Eliane, anni dopo, tredici o quattordici più o meno. E lei ci si è buttata. Lo odiava con una risolutezza senza cedimenti. I trattamenti con i detenuti sono continuati ancora per un paio d’anni. Quando il vecchio direttore del carcere è andato in pensione quello che lo ha sostituito ha sospeso l’esperimento, per ragioni di budget, dicono. Ma Eliane ha comunque continuato a mantenere contatti con quelli che erano stati sottoposti a terapia. In particolare con Jef, che si era fermato a Les Charbonnières, a pena scontata, e lavorava per Theroux.
Le cose non erano così rosee come potevano apparire all’esterno. Leopòld esercitava su Jef una specie di autorità da schiavista. Conosceva le sue fragilità e le sfruttava per plagiarlo. Eliane ha scoperto che Jef era praticamente prigioniero di Leopòld, sia psicologicamente che materialmente. Per anni ha dovuto accontentarsi di vitto alloggio e dei soldi per le sigarette. E questo valeva anche per Marcella. Eliane comunque gli ha passato l’informazione sul presunto omicidio di Felìx e deve avergli anche suggerito come sfruttarlo. Ha rischiato, perché Jef era una specie di marionetta nelle mani di Leopòld, ma anche lei conosce gli uomini. Ha trovato il varco e Jef  c’è stato. Da quel momento in casa Theroux le cose sono cambiate. Jef lo tormentava con lettere anonime. Lo ricattava, e Leopòld non riusciva a capire chi potesse averlo scoperto. Tranne me, naturalmente. Ma io ero stata zitta per tutti quegli anni, e poi sapeva che non ero capace di architettare una cosa del genere. Comunque un tentativo l’ha fatto. Mi ha invitata a cena, dopo tutto quello che c’era stato e tutti quegli anni. Come se niente fosse.
- E tu ?
- Ho accettato.
- Hai accettato !?
- Ero curiosa. E poi non sapevo nulla delle manovre di Eliane e di Jef. Mi chiedevo perché mai si rifacesse vivo.
- E com’è andata ?
- Mi ha fatto un sacco di domande, è stato cortese, disponibile. Non ci ha provato, non si è sbronzato. Insomma, a ripensarci dopo doveva essere molto all’erta, e che io ero ignara di tutto non ci ha impiegato molto a capirlo. Mi ha liquidata in fretta e mi ha fatta riaccompagnare da Jef. E’ stata la prima volta che l’ho visto. Comunque Leopòld a quel punto si è rassegnato a pagare, senza mai sospettare di avere il nemico in casa. Poi ha cominciato a  bere sempre di più, a tenere la situazione sempre meno sotto controllo, e a comportarsi sempre più come un vecchio satiro con tutte le donne che gli capitavano a tiro, così almeno mi hanno raccontato. Negli anni precedenti doveva aver avuto dei traffici poco puliti anche con Carso perché quello, ad un certo punto, si è fatto avanti con Jef per avere informazioni su Theroux, su cosa succedeva in casa, sui pazienti, un po’ su tutto insomma. E Jef si è procurato una seconda fonte di reddito. Poi, Dio sa come, ha avuto una relazione con la moglie di un paziente di Leopòld.
- Loretta. Loretta Testoni.
- Sì. Mi pare si chiami così. Faccio un po’ di confusione perché sono tutte cose che non so da molto. Me le hanno rovesciate addosso dopo la morte di Leopòld e io, sinceramente, se non fosse per l’amicizia che ho per Eliane….
- Non daresti ospitalità ad un ladro latitante accusato di omicidio ?
Claire fece come se non avesse sentito.
- Tu potrai anche non crederci ma io non odiavo Leopòld. Aveva fatto parte della mia vita, ma poi era diventato completamente estraneo. Persino il fatto che fosse padre di mio figlio a volte mi pare incredibile. Non so come spiegarlo, comunque non avevo del risentimento nei suoi confronti. So che lui invecchiando aveva preso sempre di più gusto ad esercitare delle crudeltà nei confronti di chi gli stava attorno. Lavori sottili, ma che alla fine ti esasperano. Per questo, credo, Jef e Marcella, ed Eliane e anche quella poveretta della moglie del suo paziente…
- Loretta.
- Sì, lei. Voglio dire che potevano odiarlo perché gli erano stati accanto per molto tempo e recentemente. Io, in quindici anni senza più avere a che fare con lui, ho potuto lasciare che tutto si attenuasse. Ho pochissimi ricordi dei momenti insieme. Comunque non lo odiavo. Quando Eliane mi ha detto come erano andate le cose ho risposto che non volevo sapere. Ma due settimane fa è arrivata qui con Jef.
- Potevi mandarli via. Perché comprometterti ?
- Non so… - Claire scosse la testa con rassegnata incertezza.
- E ora dove sono ?
- Non ne ho idea.
- Allora l’ho scampata per un pelo.
- Cosa vuoi dire ?
- Che se per caso fosse saltato fuori qualcosa, che so, se si fossero sbagliati, avessero ricevuto informazioni sbagliate sul mio conto, per me era finita.
- Oh, no ! Certo che no !
Claire sembrava essersi lasciata prendere dall’affanno.
- Sì, invece ! - replicò Dino Fabbri con veemenza.
- Ma io non avrei mai permesso che…
- Tu hai permesso che accadessero tante di quelle cose…Ti sei nascosta dietro la giustificazione dei traumi dell’infanzia e dell’adolescenza e da lì hai sempre fatto i cazzi tuoi. Sei l’unica che in tutta questa storia non solo è ancora viva, ma vive bene. Guardati. Tutti gli altri sono fuggiaschi o snaturati da odi che non riescono a controllare. I tuoi figli è un miracolo che non ti diano del lei tanta è la confidenza che vi lega. E tu te ne stai qui a potare le rose in giardino, florida come una modella di Rubens. E’ difficile credere che ti saresti lasciata disturbare da una bazzecola come un altro omicidio.
Dino Fabbri si sedette finalmente sulla seggiola di fronte alla scrivania. Claire taceva. Aveva assunto un atteggiamento di distacco pensoso. Lui la osservava e sentiva svanire dentro di sé la curiosità, l’attrazione che aveva provato per lei. Le apparve all’improvviso ordinaria, preoccupata di piccole cose, misteriosamente mutilata di quell’alone di fascino che le aveva attribuito fino a quel momento.
Venne la camerierina ad annunciare qualcosa e Claire si riscosse dalla sua fissità esausta.
- Hanno liberato la tua auto - disse, accennando faticosamente un sorriso.
- Mi sa, allora, che andrò - rispose Dino, alzandosi.
Claire fece altrettanto. Si fronteggiarono in silenzio, come in attesa.
- Brutta storia - disse lui - speriamo sia finita sul serio. Per quel che mi riguarda comunque sì. Io mi chiamo fuori. Non so nulla e non voglio sapere più nulla. Dillo ai tuoi amici. E per quanto riguarda Theroux e l’omicidio, bèh, Loretta ha fatto giustizia per tutti, no ? Io almeno la vedo così.
Claire annuiva; pareva sollevata all’idea che Dino se ne andasse, sembrava disposta ad accettare qualsiasi soluzione purché tutta la dannata faccenda venisse cacciata fuori dalla sua esistenza, e lui non poteva darle torto: provava lo stesso desiderio, con altrettanta intensità.
La osservò soffermarsi dietro il bancone della reception ad accogliere un paio di clienti olandesi. La sua bellezza, opacizzata dagli eventi di un’esistenza disorientata, tornò per un momento ad affiorarle nel sorriso, nell’obliquità ammiccante degli occhi azzurri incastonati nel viso abbronzato. I gesti misurati con cui accompagnava le parole erano inconsapevolmente perfetti. Il fisico, avviato a diventare matronale, suggeriva ancora una leggerezza giovanile. Dino Fabbri lo raffrontò a quello di Leila, che nel frattempo l’aveva raggiunta. Il corpo atletico e asciutto della magrebina era incantevole, le rotondità delle natiche e dei seni parevano bocce d’alabastro sotto la fascia aderente della maglietta e dei jeans, ma se in quel momento fosse stato costretto a scegliere tra le due per abbandonarsi su un letto, forse sarebbe stato ancora curioso di Claire, di quel che rimaneva in lei della ragazza sul terrazzo dello stabilimento di Neuchatel. Ma lei sembrava non chiedere altro che d’esser lasciata in pace, di avere accanto a sé per una volta nella vita una figura che le offrisse serenità senza sconcerti, passione magari, ma onesta solidità innanzitutto. Lui non sarebbe stato all’altezza delle aspettative. Leila forse. Un intenso sguardo inatteso che corse tra le due donne, senza che s’accorgessero che lui le stava osservando, fece nascere in Dino un sospetto, che ricacciò istantaneamente.
Claire lo accompagnò all’auto. Lo abbracciò con un affetto inatteso e lo baciò sfiorandogli le labbra.
- Non ci rivedremo, eh ?
- Perché ? Non si può mai dire - rispose lui.

- Ma io lo so. Non ci rivedremo più.
Pareva commossa. Dino Fabbri sedette al volante. Lei, all’ultimo momento, estrasse da una tasca dello chemisier di lino una busta e gliela porse.
- Leggila quando sarai a casa.
Lui le rivolse un’occhiata interrogativa.
- Solo qualche dettaglio in più su questa storia.
Dino Fabbri fece per restituirla ma lei la respinse.
- Tienila. Alla fine sarai contento di averla letta.
Lui cedette, animato anche da un afflato di curiosità. Rivolse a Claire un ultimo sguardo e un cenno del capo, convincendosi che per quanto riguardava l’eventualità di un loro futuro incontro aveva ragione lei.
Mise in moto e partì.

giovedì 17 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 29





                                      VENTINOVE


Il bureau era una saletta cui si accedeva da dietro il banco della reception.
Claire lo stava aspettando. Sedeva dietro una vecchia scrivania di foggia ministeriale. L’ambiente non era grande, le pareti erano coperte di classificatori, ripiani di librerie scompagnate su cui si accumulavano cartelline, brogliacci, guide telefoniche. Un’unica finestra si affacciava sul buio del giardino.
Dino Fabbri si accomodò sulla sola sedia a disposizione, di fronte alla scrivania. L’ambiente era scarsamente illuminato da una lampada opalina verde.
- Hai già preso il caffè ? - chiese Claire. La sua voce pareva stanca.
- Sì, grazie.
- Bene. Allora, dì cosa vuoi.
Dino la osservò senza capire e lo sguardo di Claire si alterò, indurendosi.
- Io non temo nulla – disse – le ho viste tutte ormai, e non sarai certo tu, chiunque tu sia, a mettermi paura.
- Non capisco…
- …Però se c’è una cosa che non sopporto è quando è ora di posare le carte sul tavolo e c’è ancora chi le tiene alte, come stai facendo tu. E’ stupido.
- Ma Claire, ti assicuro, io…
- A Vaulion ho pensato questo ragazzo gioca a fare il detective ma è innocuo, e mi sono sbagliata. E così eccoci qua.
Claire batté una mano aperta sul piano della scrivania, poi la sua mano si richiuse a pugno.
- Ma di cosa stai parlando ? - chiese, esasperato, Dino Fabbri.
- Che cosa vuoi ? Sei qui per i soldi di Leopòld ? Jef te li farà sudare, anche se devo ammettere che sei stato in gamba a scovarlo. O lavori per qualcuno ? Guarda, puoi continuare a fingere, per me non cambia nulla, ma a questo punto sarebbe più conveniente dire le cose come stanno, te lo assicuro.
- Claire, ti giuro che io sono qui per caso ! La storia è lunga. Carlotta mi ha scaricato pochi giorni fa e io intanto avevo scoperto una cosa sull’omicidio di Theroux, in pratica che non è stato Jef. Non sapevo con chi parlarne e mi sei venuta in mente tu. Non so perché, forse perché mi hai raccontato tutte quelle cose quella notte, non so. Ma quando ho visto Jef qui fuori ti assicuro che ho pensato di filar via…
- E sarebbe stato meglio per tutti.
- Neppure sapevo che lo conoscessi !
- Infatti. Non lo conoscevo. L’ha portato qui una mia amica.
- Però sapevi che era Jef, no ? Voglio dire ‘sto Didier è un nome falso.
- A me non risulta. Ha un passaporto diplomatico ecuadoriano d’addetto d’ambasciata. Una persona a posto.
- Sì, ma non é…
- Per me è il signor Didier Lagonegro.
- E anche con ’sto nome. Non poteva scegliersene uno più probabile ?
- Non lo ha scelto. E’ il suo nome.
- Non ti pare che adesso sei tu a tenere alte le carte ? -  chiese Dino dopo un attimo di perplessità.
Claire scosse le spalle con un gesto d’insofferenza.
- Ammesso che io ti creda – chiese – quali sono le tue intenzioni ? Non è che voglia spaventarti ma Jef può rivolgersi a persone che non hanno scrupoli, e adesso ha i soldi per pagarli bene.
Dino Fabbri realizzò all’improvviso quanto la sua posizione stesse diventando rischiosa.
- Un momento ! un momento ! – ansimò – Io a Jef l’ho salvato    dalla galera ! Quando alla Polizia Cantonale mi hanno chiesto il rullino delle foto dove c’erano lui e Marcella ho detto che era sparito. E adesso sono anche in grado di scagionarlo. Non scherziamo…
Claire lo ascoltava, ma il suo sguardo non rivelava se gli stesse credendo oppure no.
- …Ti assicuro che se avessi immaginato…Tu devi dirglielo, devi dirgli che se mi vuol parlare io posso spiegargli tutto, e anzi gli posso fornire le prove che l’assassino è un altro !
Claire annuì impercettibilmente.
- Sai davvero chi ?
- Certo.
- Io lo conosco ?
- No. Almeno non credo…Ma no, non l’hai mai vista, e se l’hai vista non te ne puoi ricordare.
- Una donna ? – chiese Claire con un filo di stupore.
- Senti, ti posso anche raccontare tutta la storia, ma adesso l’importante e far saper a Jef che io non ho intenzione di nuocergli.
- Io non sono in grado di mettermi in contatto con lui.
- Ma insomma ! Non è qui ?
Lei non rispose. Dino Fabbri si agitò sulla sedia.
- Proprio qui dovevo venire. Accidenti ! Del resto come potevo sapere…Ma come facevate a conoscervi ?
- Te l’ho detto. L’ha portato qui una mia amica. Io non l’avevo mai visto. Lei, onestamente, mi ha detto chi era ma mi ha assicurato che non era stato lui ad ammazzare Leopòld.
- E come faceva a saperlo ?
Dino fissava dubbioso il volto di Claire, che si teneva un poco in ombra.
- Dovremmo smetterla di girarci attorno annusandoci come cani spaventati, eh ? – disse lei all’improvviso.
- Già.
- Didier Lagonegro o Jef, chiamalo come vuoi, non ha ucciso Leopòld. Non è stato lui e non è stata la sua donna.  Del resto anche tu un attimo fa dicevi lo stesso.
Dino annuì guardingo.
- E allora perché gli stai alle costole ?
- Ma non gli sto alle costole ! Ti giuro, è stato un caso !
- Per i soldi ? Dicono che si è portato via parecchio. Comunque la cosa non mi riguarda. Conoscendo Leopòld Theroux, se quei due sono stati costretti a lavorare per lui per anni, qualsiasi cifra non sarà mai un risarcimento adeguato.
Claire tacque un istante.
- E’ per quelli ? Per i soldi, che sei qui ? - chiese ancora.
- Adesso basta ! - esplose Dino Fabbri - O mi credi oppure me ne vado !
- Allora sei qui per una vacanza ? - Claire rise.
- Chiamala come vuoi - disse lui, senza tener conto del sarcasmo nel tono di lei.
- Non mi va di parlare dei miei casini. Tutto qui. Ti ho detto di Carlotta… Non sapevo dove andare e mi sei venuta in mente tu.
Claire sospirò.
- Vengo in mente a un sacco di gente in questo periodo.
La testa di Dino Fabbri lavorava vertiginosamente.
- La tua amica. Quella che ha portato qui Jef. Non è che per caso è Carlotta ?
Claire scoppiò a ridere. Poi si ricompose.
- Mi dispiace per te e tua moglie, ma lei davvero non c’entra. Cosa ti viene in mente ?
- Di tutto ! Mi hai detto che la tua amica era convinta dell’innocenza di Jef e siccome anche Carlotta ne era convinta per un attimo ho pensato che …  
- E’ una mia vecchia amica, che conosceva abbastanza bene anche la mia storia, oltre che quella di Leopòld. Ha collaborato per qualche tempo per un progetto di riabilitazione nel carcere di Losanna e lì…
- L’antropologa ! - la interruppe Dino.
Claire gli rivolse un’occhiata di bonario compiacimento per la sua intuizione. Lui si stava di nuovo lasciando agguantare dalla smania.
- So la storia, almeno per come me l’ha raccontata Carlotta. Che Jef era dentro e Theroux lo ha preso come paziente. Una specie di esperimento…
- Più o meno…

- Certo non sapevo che la fidanzata di un tuo vecchio amante finito sgozzato si portasse in giro  quello che si ritiene sia l’assassino e che te lo portasse qui, perché per di più è anche una tua vecchia amica.
Claire accusò impercettibilmente il colpo.
- Questa è una parte che quella notte abbiamo tralasciato – disse.
Dino capì che si riferiva alla sera della lunga confessione nell’appartamento di Vaulion, e si augurò che tra loro due tutto finisse col chiarirsi. Lo desiderava almeno quanto il garantirsi l’incolumità.
…Eliane era sorellastra della prima moglie di Leopòld – stava dicendo Claire – per questo dopo  che lui ha abbandonato moglie e figlia lei si è occupata di loro. La moglie di Leopòld era una donna molto fragile, quasi quanto Eliane è forte.
- Eliane è l’antropologa ? - chiese Dino.
- Sì. La bambina aveva bisogno di una presenza rassicurante. La madre non aveva le capacità di occuparsene. Dopo che Leopòld se ne è andato è precipitata in una depressione senza scampo e alla fine…
Dino Fabbri la guardò incredulo.
- Si è…?
- Con acido muriatico. Una fine spaventosa. Così Eliane ha tirato su la piccola come se fosse stata sua figlia. Sapendo che aveva il sangue dell’uomo che aveva in pratica ucciso sua sorella.
- Sorellastra, hai detto.
- Era più piccola, figlia del secondo matrimonio del padre. Una famiglia importante. Eliane comunque l’amava come una vera sorella. E’ una donna particolare.
- Non c’è bisogno di dirlo. Ho sentito una voce che dava lei e la figlia di Theroux come una coppia gay.
- Lo so. Eliane del resto lo é. Non ne ha mai fatto mistero. A volte si concede degli uomini ma credo che lo faccia perlopiù a scopo, direi, scientifico.
- Scientifico ?
- Ed è stata la sua arma contro Theroux.
- Ma di cosa stai parlando ? 
- Dopo il suicidio di sua sorella ha deciso che lo avrebbe scovato. Non aveva ancora idea di che cosa avrebbe fatto ma intendeva fargliela pagare.
- E poi ?

- E poi sono passati degli anni, Geraldine è cresciuta e Eliane non ha più pensato a Leopòld fino a che quello che allora era il direttore del carcere di Losanna non l’ha chiamata per una consulenza. Lei aveva fatto degli studi sui comportamenti coatti, cose di questo genere. Insomma quest’uomo la chiama ed è proprio allora che torna fuori Leopòld, nella sua nuova veste professionale. Nei quindici anni che intanto erano trascorsi lei se lo era immaginato chissà dove, lontanissimo, e invece era sempre stato lì, a due passi. Pensa un po’.
Claire congiunse le mani con un leggero schiocco ed abbozzò un sorriso.
- Il direttore voleva tentare, per alcuni dei suoi ospiti più disturbati, una nuova via terapeutica, niente più elettroshock, farmaci eccetera. E’ stato allora che, non so dirti perché e come, l’intera comunità terapeutica della Vallée de Joux si è messa a disposizione. Probabilmente Carso era amico del direttore, chissà, forse avrà pensato che tutta la faccenda potesse riservargli un ritorno di pubblicità positiva. Insomma c’è stato un accordo e l’esperimento ha preso il via. Eliane era tra i responsabili della selezione dei detenuti e coordinava gli affidamenti. Avevano calcolato di scegliere due pazienti per un primo tentativo pilota. Quando Eliane ha scorso la lista e si è trovata davanti il nome di Leopòld Theroux, dopo la sorpresa, e la rabbia, ha intravisto una via per saldare i conti.
Ha scelto per lui un senegalese, che era dentro per spaccio e Jef, che invece aveva una condanna per estorsione.
Eliane era al corrente di un fatto che non era trapelato all’esterno. Durante un regolamento di conti erano stati uccisi due detenuti. Erano stati evirati, sventrati, gli avevano stappato il cuore e se lo erano palleggiato. Due di loro ne avevano anche strappato dei frammenti a morsi. Uno era il senegalese, che mi pare si chiamasse Nar, e l’altro era Jef.
Dino Fabbri era senza parole.
- Jef ?
- Proprio lui. Era in uno stadio molto avanzato di dipendenza da cocaina ed eroina. Sia lui che Nar avevano bisogno di farsi quattro, cinque volte al giorno. Nar in carcere aveva un suo canale privilegiato, forse guardie, non so. Ma riuscivano ad avere la roba. E quando non riuscivano dovevano legarli da qualche parte. Dopo un trattamento di disintossicazione hanno organizzato un confronto per un colloquio preliminare. E’ stato in quell’occasione che Eliane e Leopòld si sono ritrovati faccia a faccia.
- E lui come ha reagito.
- Eliane mi ha raccontato che è stato controllatissimo. Ha finto di non sapere del suicidio di Chaterine. Ha chiesto della bambina, che intanto ormai aveva quasi vent’anni, altro che bambina. Ha ammesso d’esser stato il peggior padre e marito che si potesse immaginare e ha detto che si rendeva conto che era impossibile rimediare ai suoi errori, ma che se c’era qualcosa che lei riteneva che dovesse fare, l’avrebbe fatta.
- E lei ?
- Nulla.
- Come nulla !
- Era pietrificata. Leopòld stava sfoggiando quel suo talento incantatore, quel cuscino di Valium su cui sapeva costringere la gente ad appoggiarsi. Io ne so qualcosa. Ma Eliane è una dura. Ha tenuto le distanze e si è limitata a trattare l’aspetto professionale. Gli accordi prevedevano che per la prima settimana lei fosse presente, naturalmente non durante le sedute ma sul posto, con una paio di agenti di custodia di supporto, in caso di necessità. Così la comitiva si è trasferita a Les Charbonnières.
- Pazzesco…
- E sì. Direi proprio. Sono le cose che si nascondono tra le pieghe della rigorosa normalità svizzera.
- E poi ?
- Leopòld ci ha provato la prima sera.
- No ! Vuoi dire con Eliane ?
Claire annuì con un sospiro.
- Piedino sotto il tavolo e robaccia del genere.
- Ma era un malato !
- In un certo senso…
Dino Fabbri si appoggiò con i gomiti al piano della scrivania, osservando Claire da sotto in su nella luce marezzata della lampada opalina.
- E tu con un tipo così ci hai fatto un figlio. Te ne eri addirittura innamorata.
Dino era impreparato alla reazione di Claire. Lei taceva ma le lacrime all’improvviso le scendevano copiosamente lungo le guance, senza che lei muovesse un muscolo. Lui cercò di rimediare.
- E’ vero che è impossibile mettersi nei tuoi panni d’allora…
- Lascia perdere. Io dentro sono morta da tanto di quel tempo che niente mi può fare più molto male, neanche la verità sbattuta in faccia così.
Si asciugò le lacrime con un fazzolettino di carta. In tutto quel tempo non s’era accesa neppure una sigaretta.
- Non fumi più ? - chiese Dino, cercando di aggrapparsi ad un argomento qualsiasi.
- Ho smesso - Claire tentò un sorriso - sono abbastanza fiera d’esserci riuscita.
Lui annuì. Lei ripiegò il fazzolettino e lo infilò in una tasca del cardigan di cotone che indossava su una maglietta da marinaio.
- E poi lei c’è stata - disse senza guardarlo.
- Cosa ?!
- C’è andata a letto. Lui era un po’ sbronzo, ha incontrato qualche difficoltà, lei lo ha preso in giro, è riuscita ad umiliarlo, lui si è bloccato e lei se ne é andata a dormire. Il giorno dopo, alla fine della seduta di Nar, hanno avuto un incontro nello studio di Theroux per valutare i primi risultati.
Leopòld parlava e parlava seduto dietro la scrivania. Eliane dice che non sa per quale impulso ha allungato una mano tra le cosce di Nar, spostandosi in avanti sulla sedia in modo che Leopòld non se ne accorgesse. Dice che quel negro non ha mosso un muscolo, ma ha avuto un’erezione immediata. Non toccava una donna da quattro anni. Si è alzato con uno scatto e l’ha stesa in avanti, sul piano della scrivania che ha sgombrato con un gesto del braccio. Leopòld era terrorizzato. Apriva la bocca ma non usciva suono. Sembrava che volesse chiamare aiuto. Nar ha detto se urli vi ammazzo tutti e due. Non era particolarmente prestante ma c’era da credergli. Eliane ha detto lascialo fare. Aveva avuto modo di vedere in precedenza le sue analisi del sangue, sapeva che era pulito, incredibilmente sano come un pesce.
Dice che all’inizio era stato un istinto, l’idea di contrapporre a Leopòld la potenza di quell’altro. Aveva capito che quel genere di confronto era il tallone d’Achille di Theroux, ma mentre Nar le stava addosso aveva capito che c’era anche la possibilità di una resa dei conti definitiva. Leopòld era seduto sulla sua poltrona di pelle, aggrappato ai braccioli. Lei, piegata in avanti, lo fissava, scossa dai movimenti convulsi di Nar. Le loro facce non distavano più di trenta, quaranta centimetri. Eliane ha capito che il senegalese non ci avrebbe messo molto e allora, fissando Theroux negli occhi, ha simulato un orgasmo. Ci ha dato dentro. Quando Nar si è tirato via lei ha detto: “non è successo niente, stai tranquillo, l’ho voluto io, stai tranquillo, né io né il dottore diremo nulla, va tutto bene”. Dice che la faccia di Leopòld era indescrivibile. Questo non ha impedito che la sera a cena ricominciasse con le sue manovre sotto il tavolo. Lei gli ha solo sussurrato “Lascia perdere, come hai visto ho di meglio”, ed è bastato per metterlo definitivamente fuori combattimento.
Il giorno dopo, nello studio, si è ripetuta la stessa scena, con molta più calma. Lei si è lasciata stendere sul lettino delle sedute. Contava sulla perdita di controllo di Leopòld. E infatti mentre Nar ci dava dentro lui ha gridato aiuto. Il negro gli è arrivato alla gola in un attimo ed Eliane si é lasciata scivolare sul pavimento e ha gattonato fino alla porta, chiudendola a chiave. Gli agenti di custodia cercavano di abbatterla e la faccia di Theroux era sempre più stravolta. Poi là fuori una delle guardie ha fatto come nei telefilm americani, ha sparato contro la serratura. Nar ha mollato la presa. Eliane ha visto sfumare per un pelo la sua vendetta.

Si pensava poi che l’esperimento sarebbe stato sospeso ma inaspettatamente proprio Leopòld ha insistito perché proseguisse. Nar era stato ricondotto a Losanna, in isolamento, ma restava Jef.
Eliane è stata richiamata e quando è tornata a Les Charbonnières, per  un controllo della situazione, Jef era addomesticato. Se si era illusa di usare anche lui contro Leopòld doveva rassegnarsi. Theroux era in gamba. Questo bisogna ammetterlo. Dice che se ne stava là, seduto dietro la scrivania, con un collare rigido che lo impediva nei movimenti, e anche con una certa sofferenza perché Nar gli aveva spostato un paio di vertebre, e diceva “tutto bene, sto ottenendo ottimi risultati con il soggetto J”. Così chiamava Jef nei rapporti ufficiali.
- E tu ? Come sei entrata in questa storia ?
- Oh, io ormai ero fuori  dai giochi di Leopòld da più di dieci anni. Mi capitava di incontrarlo, devo dire molto raramente, tenendo conto che vivevamo a pochi chilometri di distanza, ma lui era molto formale, distaccato, e a me ripugnava un po’. Lui forse temeva che, ora che era ricco, io avanzassi delle pretese per Jean-Claude, che potessi scatenare uno scandalo. Io, per parte mia, volevo solo buttarmi alle spalle tutto quello che era successo, insomma una situazione molto sgradevole…
- Ma lui non ti ha mai detto, che so, come sta il bambino, hai bisogno di qualcosa…
Claire scosse la testa.
- Aveva paura.
- Paura ? E di che ?
Claire non rispose. Era evidente che si stava tormentando per decidere se affrontare l’argomento oppure no. Dino Fabbri la tolse dall’imbarazzo.
- E con l’antropologa invece com’è andata ?
- Oh, Eliane, e beh, in quegli anni io facevo dei viaggi, mi concedevo delle vacanze anche abbastanza lunghe. In media per quattro o cinque mesi l’anno riuscivo a starmene lontana. Solange era cresciuta ormai e Jean-Claude era un ragazzino tranquillo. Sua sorella sapeva badare a lui meglio di me. Con loro la partita ormai era persa. Erano affiatati, complici, e io poco meno che un’estranea. Comunque è stato in quel periodo che ho iniziato ad affittare l’appartamento. Quando Eliane è tornata da Losanna dopo l’incidente con Nar, Leopòld non le ha più concesso di restare a Les Charbonnières. Dopo un paio di mesi si è anche assunto la responsabilità di rinunciare agli agenti di custodia. C’è un decreto, un cavillo, qualcosa che gli permetteva di farlo legalmente. A Eliane era solo concesso di avere regolari colloqui con il paziente. L’esperimento tra l’altro sembrava dare risultati e così, malgrado la falsa partenza, altri due analisti avevano preso altri detenuti. Comunque lei non intendeva farsi avanti e indietro da Losanna, forse sperava di trovare il modo di usufruire di Jef contro Theroux, insomma si è cercata una sistemazione. Non le andava di cacciarsi in un albergo per dei mesi, qualcuno le ha detto ce c’era un appartamento da affittare non molto lontano da casa di Theroux ed era casa mia.
- Però tu eri via, no ?
- La prima volta sì. Poi è tornata e io non ero ancora ripartita, adesso non ricordo esattamente, mi pare che ho dovuto rinviare, insomma, lei intanto si era comunque sistemata da me.
- Ma per quanto tempo ?
- Oh, beh, quella volta poi non sono partita e così…
- Come mai ?
Claire alzò le spalle.
- Sono andata via qualche mese dopo.
- Qualche mese ? Avete vissuto sotto lo stesso tetto per qualche mese ?
Claire annuì, come se si trattasse di una cosa assolutamente irrilevante.
- E lei ti ha raccontato tutto, è così ? Voglio dire i precedenti di Theroux, il suicidio della moglie e tutto il resto ?
Claire tornò ad annuire. Sviava ogni tanto lo sguardo nonostante la complicità della penombra, e lo rivolgeva verso la finestra. Dall’esterno penetrava un intenso profumo di pitosforo.
- Devo ammettere che l’intreccio è notevole. E Theroux sapeva che lei abitava da te?
- Lo ha scoperto dopo molto tempo. Lui tendeva a non occuparsi degli altri per quanto riguardava gli aspetti pratici. Ti dovevi arrangiare, per quel che poteva dipendere da lui. Quindi non si è mai chiesto dove stesse Eliane. E lei, naturalmente, quando ha saputo di me e lui, si è guardata bene dal dirglielo.
- Ma la figlia ?…
- Geraldine ? La figlia di Theroux ?
- Sì. Cosa sa di tutto questo ?
- Eliane l’ha messa al corrente qualche anno fa, quando era già grande.
- E lei ?
- Puoi immaginare…Io non l’avrei fatto, ma Eliane diceva che non era giusto nasconderle la verità. Questione di punti di vista. Se la verità è un colpo al cuore meglio una bugia, no ? - Se poi basta solo star zitti, senza neppure dover mentire…Ti pare ?
- Sì. Credo di sì.
- Ma Eliane è fatta a modo suo, e comunque per me è stata la salvezza.
- In che senso ?
- Mi ha scrollata. Mi ha dato fiducia nella possibilità di venirne fuori, di decidere di nuovo della mia vita. Di liberarmi di qualche senso di colpa. Mi ha fatto da madre, da sorella. Tutto.
- Quella notte a casa tua non mi avevi detto…
- Non credevo che sarebbe venuta al funerale, che avresti avuto modo di vederla. Preferivo tenerla fuori dalla storia.
- Lei no però.
- Cosa vuoi dire ?
- Ti ha portato qui Jef. Lei non mi pare che ti voglia tener fuori, anzi.
Claire abbozzò. Dino Fabbri provava la sgradevole sensazione di vedersi sfuggire il bandolo della matassa ogni  volta che gli pareva d’averlo a portata di mano. Non capiva se dipendesse dalla complicata rete di relazioni tra tutti i protagonisti di quella vicenda o dalle improvvise ritrosie di Claire, o forse soltanto dalla sua incapacità di individuare i nessi, le spinte inconfessate che avevano animato i comportamenti di tutti nel corso pluriennale degli eventi.
- Quello che alla fine sembra è che sia tutta una storia dove domina il sesso - disse, come riflettendo tra sé.
Claire lo osservò con curiosità.
- Voglio dire che tutto parte sempre da questioni che riguardano il sesso. Un sesso incontrollato. Pulsioni poco ortodosse.
Ridacchiò con sarcasmo e Claire non reagì.
- Una specie di mandria infoiata. E ci deve anche essere della perversione se una come l’antropologa per anni frequenta l’uomo che ritiene sia il responsabile della morte della sorella, e permette addirittura che in giro si dica che sono fidanzati. Magari ci avrà pure scopato, un tentativo c’era stato, no ? Perché non offrirgli una seconda chance ?
- Non l’ha fatto. E aveva le sue buone ragioni per andare ogni tanto da Leopòld. Del resto mai più di un paio di volte l’anno.
- Ma perché ?
Claire si ostinava in un mutismo strano, come d’attesa.
- Aveva le sue buone ragioni - ripeté - e questo non c’entra con la storia che vuoi conoscere tu.
- Io voglio conoscere quello che vogliono conoscere tutti ! Sono venuto apposta per dirti che avevo scoperto chi ha fatto fuori Theroux. Da quando te l’ho detto non mi hai fatto una sola domanda a riguardo !
- Le domande le stai facendo tutte tu.
- Non essere ridicola.
Dino Fabbri scosse la testa con rassegnazione.
- Sono stato uno stupido. Sono venuto convinto di dirti qualcosa di importante e probabilmente era qualcosa che sapevi, o sapevate già, chissà come, da chissà quanto tempo. In effetti era meglio se me ne stavo fuori dal vostro gioco. Siete tutti iscritti al club da troppi anni. Io non conosco le regole. Vaffanculo. Il fatto è che la vostra merda è schizzata fuori, in qualche modo ha fottuto anche il mio matrimonio.
- Non mi era parso un granché come matrimonio – disse inaspettatamente Claire.
- E tu che ne sai ?
- So riconoscere quando due persone non c’entrano nulla l’una con l’altra. Ho esperienza in questo. 
- E’ vero, dimenticavo - disse Dino Fabbri col tono più urtante che gli riuscì di esprimere - ciò non toglie che l’antropologa…
- Si chiama Eliane.
- Ma sì ! Chi se ne frega ! Eliane, va bene. Ti porta qui il presunto assassino, frequenta per una vita un uomo che desidera morto, è una lesbica che scopa con i negri. Ce n’è per un romanzo d’appendice. Se non fosse per un morto ammazzato sarebbe ridicolo.
- Due - disse Claire. Dino Fabbri interruppe la sua sfuriata.
- Due che ? - chiese, sospettando quale fosse la risposta.
- Due morti - bisbigliò Claire. Poi si alzò e andò a chiudere la finestra.
- Come sarebbe due ?
Claire tornò a sedersi dietro la scrivania.
- Leopòld e prima Felìx.
- Tuo marito ?
Claire annuì.
- Ammazzato ?
Claire taceva.
- E da chi ? - chiese Dino Fabbri.

Sentì un fruscio alle sue spalle e l’ultima immagine di cui ebbe coscienza, prima che il tampone imbevuto di etere facesse effetto, fu il ricordo della faccia imbronciata di Rosa e del suo indice nodoso appoggiato sulla fotografia di Claire in risposta alla sua domanda stupita “Un altro assassino ?”

mercoledì 16 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 28




                                       VENTOTTO




La sala da pranzo era sul retro dell’edificio: una lunga manica che correva lungo il lato nord del giardino. Quest’ultimo terminava con una balconata a strapiombo sulla piana sottostante, offrendo un panorama inaspettato. In lontananza si indovinava, per un breve tratto, la linea dell’orizzonte marino.
Dino Fabbri cercò con discrezione Jef tra i commensali, senza trovarlo.
Una giovane cameriera lo condusse ad un tavolino d’angolo, contrassegnato da un segnaposto con il suo numero di camera.
Gli altri ospiti erano perlopiù coppie, apparentemente affiatate tra loro, come ospiti abituali. C’era una sola famiglia con un paio di ragazzini. L’età media era sui sessant’anni.
“ Una pensione – pensò Dino Fabbri – alla fine, dagli e dagli, eccomi qui, in una pensione, tra gente alle soglie dell’anzianità, ad inseguire chissà che. Una pensione. Adesso arriverà la minestrina e poi forse mi inviteranno a giocare a scarabeo.”
Si rimpinzò invece di una paella valenciana come non aveva mai assaggiato, neppure durante le sue giovanili estati da globe trotter a Formentera o sulla Costa del Sol. Il piatto era accompagnato da una sangria blanca che lo condusse rapidamente ad una benevola disposizione d’animo.
A metà del pasto chiese alla giovane cameriera che serviva al suo tavolo se il signor Didier non cenasse in albergo.
- Monsieur Didier ? – chiese lei, apparentemente senza capire.
- Oui.
- Quelle chambre ?
- Non so… - mormorò Dino Fabbri.
La ragazzina si allontanò e quando più tardi tornò con il dessert inaspettatamente si chinò verso di lui.
- Monsieur Lagonegro a quitté l’hotel, monsieur – disse, senza che Dino Fabbri capisse o potesse ribattere qualcosa.
Claire era sulla porta della sala e lo stava guardando.
Dunque non si era sbagliato. Quel Didier era davvero Jef.
Dino sorrise in direzione di Claire ma lei si limitò ad osservarlo. La camerierina venne di nuovo a chinarsi verso di lui con un po’ d’affanno.
- Madame vous attends dans son bureau quand vous aurez terminé, monsieur.
Dino la guardò senza capire. La ragazza sembrava aver percepito che qualcosa non andava tra la padrona e quell’italiano appena arrivato, ma gli apprendimenti del corso non ancora ultimato alla scuola alberghiera di Nizza la costringevano a sorridere impeccabilmente, mentre nella memoria cercava affannosamente le parole italiane che la togliessero dagli impicci.
Dino Fabbri attendeva, impugnando le posate appoggiate al piatto. Guardò in direzione di Claire che scomparve, allontanandosi dall’ingresso della sala.
- Nel suo ofìccio, quando terminato monsieur, prego – disse intanto con sollievo la ragazza.
Dino Fabbri annuì e chiese un caffé.

martedì 15 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 27




                                   VENTISETTE



- …Tua maman…Claire…yes, the address…
Alla fine Solange capì che Dino voleva il recapito di sua madre a Tourrette St.Loup e glielo compitò più volte, con il numero di telefono che lui era certo di star riportando sbagliato, nonostante ripetesse un inutile “très bien” ad ogni numero.
Fece capire a Solange che intendeva prendersi una piccola vacanza e gli pareva una buona idea quella di andare a trascorrerla nell’hotel di Claire. Solange ascoltava senza aggiungere nulla. Ebbe la sensazione che lei desiderasse affrettare la fine della conversazione, ma non ne fu certo. In fondo lei, tranne che quando aveva bevuto, era un tipo di poche parole. Forse conosceva l’uomo di Carlotta, forse era stata testimone dello svilupparsi della storia. Probabilmente non gliene importava granché e voleva solo tenersi lontana dai coinvolgimenti.
- Ogni tanto penso a quel mattino…a noi due – accennò Dino.
Dall’altro capo del filo venne un suono aspirato, incerto e tenero, una specie di brevissimo sospiro: il “oui” di Solange in risposta a quello che Dino Fabbri cercava di dirle senza riuscirci.
- Non bere troppo – si raccomandò lui nel salutarla, e lei rise con un po’ di incertezza.
- Un giorno o l’altro ti vengo a trovare – disse ancora lui. Lei non rispose nulla. Si salutarono tentando ambedue di farlo nella lingua dell’altro, confondendosi.
Dino Fabbri cominciò ad ammettere con sé stesso che stava provando il bisogno di rifugiarsi da qualche parte, di trovare qualcuno con cui parlare davvero.
Nel corso della sua esistenza era sempre riuscito a controllare emergenze di questo tipo. Abituato alla solitudine un po’ per vocazione un po’ per autodisciplina aveva sempre tenuto duro, fin dall’infanzia, ritagliandosi ricoveri magari angusti ma sicuri per spirito e corpo, in margine al resto del mondo. Ma proprio ora che si sentiva temporaneamente impreparato a resistere da solo gli toccava una prova particolarmente dura. Le incertezze rispetto al futuro non lo avevano mai spaventato ed era sempre riuscito a prendere il largo senza rimpianti, eppure adesso un filo sottile d’angoscia stava dipanandosi attorno al suo territorio protetto.
Per un momento aveva pensato di andare da sua madre, poi la consapevolezza del loro dolente desiderio di comunicare senza mai riuscirci lo aveva dissuaso.
I fantasmi confusi che gravitavano attorno all’omicidio di Theroux insistevano a tormentarlo. Rievocava episodi, li analizzava con incessante inutilità, cercando ragioni che andassero al di là di quelle che parevano evidenti.
Perché, ad esempio, Saveriano era sparito proprio il mattino del ritrovamento del cadavere ?
Era ammissibile una semplice coincidenza ?
E come aveva fatto Carlotta ad essere immediatamente certa dell’innocenza di Jef e Marcella ?
E come aveva potuto innamorarsi di un altro – proprio lei, così rigidamente etica – in pochi giorni ?
C’erano troppi conti che non tornavano, perlomeno nel quadro ordinato che Dino Fabbri aveva bisogno di darsi per poter buttare tutto alle spalle e filare.
Invece gli avvenimenti della Vallée de Joux gli si aggrovigliavano attorno. Gli anni dell’adolescenza di Claire. Felìx e Leopòld. Che razza di rapporto doveva esserci stato tra loro? E la sorella di Claire, Odette, nel suo bordello di Zurigo, che cosa sapeva di tutta questa faccenda ?
Dino Fabbri li allontanava, animato nei confronti di tutti da una curiosa forma di risentimento, poi balzava fuori Noemì con la madre lesbica, o Loretta in quella maledetta radura e la giostra dell’immaginare riprendeva a girare.
Fin dall’inizio, non appena trasferito al residence, aveva capito che l’unica persona con la quale eventualmente cercare di parlare era Claire. Dopo la telefonata a Solange tergiversò per alcuni giorni, rimandando quotidianamente il proposito di chiamarla.
Non sapeva da che parte cominciare, non era neppure sicuro che il rivelarle ciò che sapeva non potesse essere compromettente. Poi decise. Con un bagaglio esiguo ed un improvviso buonumore si mise al volante della Volvo e partì senza annunciare il suo arrivo. Non tornava in Francia dai tempi della sua precipitosa fuga da Lione.
Il viaggio fu inaspettatamente breve. Dino Fabbri ebbe qualche difficoltà solo verso a fine, nel rintracciare la località.
L’hotel Bonlieu era un piccolo edificio, stretto tra altre case lungo una strada leggermente in discesa che dalla piazza principale conduceva verso l’anello esterno dell’abitato. Questo si sviluppava concentricamente, con costruzioni recenti lungo le falde del rilievo sulla sommità del quale s’appollaiavano pacificamente le case di pietra del vecchio centro.
L’hotel aveva un ingresso stretto tra due finestre e protetto da una cupoletta di tela gialla. Tutto, nel complesso, pareva in miniatura. La facciata, di due soli piani sopra quello terreno, era intonacata di bianco, i telai degli infissi, le persiane, i balconcini di legno erano verniciati di celeste.
Dino Fabbri aveva parcheggiato la Volvo di fronte all’ingresso e per un po’ era rimasto al volante, indeciso se scendere.
Nella luce del tardo pomeriggio un passeggio discreto sospingeva con morbida indolenza i vacanzieri verso la piazzetta del centro, in vista dell’aperitivo dopo la giornata trascorsa sulle spiagge della costa, che distava una decina di chilometri, o in escursioni tra le colline distese tutt’attorno. L’atmosfera era invidiabilmente familiare. Dino Fabbri se ne era lasciato catturare e sedeva con le mani in grembo, il capo adagiato al poggiatesta, ad osservare quel domestico andirivieni incorniciato nel finestrino abbassato.
Si decise a scendere quando un tale, salutato amichevolmente da un gruppetto di passaggio col nome di Didier, si era fermato un istante prima di varcare la soglia dell’hotel e scomparire all’interno.
Il taglio dei capelli era militaresco, un paio di baffi e un pizzetto gli ombreggiavano appena il labbro e il mento. Il fisico pareva più asciutto ma i gesti erano gli stessi.
Anche senza riccioli e senza il viso paffuto di prima Jef era pur sempre riconoscibile.
Di fronte a quell’apparizione Dino Fabbri aveva avuto come primo istinto quello di mettere in moto ed andarsene, poi gli si era attanagliata dentro una specie di rabbia, come se si sentisse l’unico tenuto all’oscuro di qualcosa che si sentiva in diritto di conoscere.
Che Jef fosse un ex legionario, comunque in qualche modo implicato nell’omicidio di Leopòld Theroux, non lo trattenne dallo scendere dall’auto, afferrare la sua borsa da viaggio, attraversare la strada e – con una certa emozione – varcare a sua volta la soglia d’ingresso. Pensò che se si fosse ritrovato di fronte Carlotta, o magari Miriam, o addirittura Theroux redivivo si sarebbe fatto una risata prima di perdere i sensi.
L’interno era fresco e ombroso. La hall era civettuola e ordinata, con poltroncine di midollino coperte di cuscini a disegni provenzali. Il banco della reception era l’unico punto dell’ambiente pienamente illuminato. Sul fondo, opposta all’ingresso, si intravedeva una porta a vetri affacciata su quello che pareva un giardino di dimensioni insospettabili.
Una coppia di ospiti di mezza età sedeva nella penombra della hall sfogliando riviste. Per il resto non si intravedeva anima viva.
Dino Fabbri si accostò al banco della reception e posò a terra la borsa. Nel risollevarsi si trovò di fronte una giovane donna sorridente, probabilmente una magrebina, con occhi neri scintillanti, carnagione olivastra e corti capelli crespi.
- Parla italiano ? – chiese Dino.
- Si – rispose lei.
- Vorrei una camera.
- Mi dispiace signore, ma siamo al completo.
Dino Fabbri non aveva previsto quell’eventualità. Tacque imbarazzato mentre la giovane nordafricana lo osservava con perplessità.
- Per questa stagione è normale. L’hotel non è molto grande e dunque..
Dino Fabbri annuiva senza dir nulla.
- Comunque c’è un albergo più grande non lontano, dove probabilmente troverà posto.
La ragazza fece un gesto ad indicare la destra, fuori dell’ingresso. Cercò tra i depliants che occupavano una parte del bancone.
- Qui c’è una cartina, così le faccio vedere la strada…
- La signora Claire non c’è ? – chiese lui interrompendola. La ragazza lo fissò un istante, prima di rispondere.
- Si - disse poi.
- Vorrei salutarla.
- Deve essere in giardino, vuole che gliela chiami ?
- Se non le dispiace.
La giovane rispose con un sorriso d’assenso. Le labbra color lavanda si dischiusero su una chiostra di denti perfetti, poi scomparve oltre la porticina che era alla spalle della reception.
A Dino l’attesa parve interminabile. Si guardava attorno aspettandosi da un momento all’altro di trovarsi di fronte a Jef e Marcella e si chiedeva che atteggiamento avrebbe saputo tenere.
Dall’ingresso sul fondo venne invece Claire.
Avanzò attraverso la hall scrutando verso il bancone, che dal suo punto di vista era in controluce, senza riconoscere immediatamente Dino.
Indossava un lungo abito di lino scolorito, abbottonato davanti e con larghe maniche corte, un paio di zoccoli aperti e guanti da giardiniere.
- Sì ? - chiese, detergendosi un velo di  sudore dalla fronte con un rapido gesto dell’avambraccio.
- Sono io - disse Dino.
Quando gli fu di fronte Claire lo riconobbe. Per una frazione di secondo lui notò lo sguardo di lei attraversato da un lampo di smarrimento, poi ne percepì l’immediato attenuarsi e il sorriso di divertito stupore che lei gli offrì gli fece capire che Claire aveva ripreso il controllo della situazione, qualsiasi fosse.
- Come mai qui ? – chiese, e si sporse in avanti a baciarlo sulle guance, come non aveva mai fatto.
- Avevo bisogno di una piccola vacanza tranquilla e mi è venuto in mente il tuo albergo. Però mi dicono che non c’è posto.
- Già - disse Claire riflettendo - Quanto intendevi fermarti ?
- Non so. Una settimana più o meno.
- Che giorno è oggi ?…Non so mai in che giorno vivo…
- Giovedì. Sì, giovedì mi pare.
- Ecco. Mi si libera una matrimoniale domenica. Prima purtroppo…
- Comunque sono solo – disse lui.
- Ah…e tua moglie ?
- E’ ancora in Svizzera.
Dino Fabbri non capì che cosa fosse stato a fargli sospettare per un momento che Claire fosse al corrente della situazione tra lui e Carlotta. Lei si sfilò i guanti da giardiniere e si rivolse verso la porticina che era dietro il bancone: di là arrivava l’ovattato ticchettio dei tasti di una macchina da scrivere.
- Leila, s’il te plait.
Comparve la ragazza nordafricana con il suo sorriso smagliante. Lei e Claire parlarono sottovoce e alla fine la ragazza annuì.
- C’è una stanza qui sul retro, a pianterreno – disse Claire rivolgendosi a Dino – Non è una buona stanza, ha un bagno minuscolo, è molto piccola, ma è l’unica singola che abbiamo, se ti accontenti.
Dino Fabbri, nonostante fosse vagamente allarmato da una sensazione di disagio, accettò l’offerta. Si sentiva inspiegabilmente desideroso di abbandonarsi a quel luogo.
- Adesso Leila ti accompagna. Io vado a darmi una sistemata e ci rivediamo dopo. Mangi qui, no ?
Dino annuì. 
- Grazie. Non sai quanto avevo bisogno di prendere fiato – disse.
- Lo immagino - rispose Claire.
Per Dino quelle parole suonarono strane. La fissò per un momento come ad attendere che proseguisse ma lei si limitò a sorridergli. Il taglio dei suoi occhi azzurri restava malinconico; i corti capelli grigi incorniciavano il volto abbronzato e segnato da rughe sottili come fili, le braccia nude erano carnose e robuste.
A Dino Claire ricordava una divinità ancestrale, una sorta di Grande Madre, legata a riti di fertilità, una domestica Ishtar babilonese un’Afrodite provocatoriamente invecchiata.  Pensava a lei mentre seguiva Leila e si chiedeva cosa ci facesse lì Jef.
La ragazza lo guidò lungo un breve corridoio che odorava di lavanderia.
Leila indossava un paio di jeans elasticizzati e una maglietta aderente. Aveva spalle larghe, vita stretta, un passo leggiadro e un culo che a Dino Fabbri parve uno dei più attraenti che avesse mai visto.
- Merci - le disse sulla porta della camera. Lei gli regalò un altro dei suoi sorrisi contagiosi e se ne andò.