mercoledì 27 agosto 2014

FORGOTTEN FEELINGS 17




Qualche giorno fa conversando davanti a un Custoza corredato di pesciolini fritti si è venuti a parlare di films, in particolare di quelli che a suo tempo ci avevano incantati e che oggi mostrano la corda.
Easy Rider guidava la classifica ma altre pellicole di culto tenevano fieramente testa.
Tra queste Zabriskie Point.
Credo che lo abbiano trasmesso in TV recentemente e chi lo aveva visto, tra i presenti, quasi si rammaricava della fragilità dell'opera.
Io lo penso da molto tempo, e non solo di Zabriskie Point ma di un po' tutta l'opera di Antonioni, malgrado Blow Up a suo tempo per me fosse stata un'epifania, Professione Reporter e lo stesso Zabriskie Point alla loro uscita mi avessero mesmerizzato, e la poetica dell'incomunicabilità delle prime opere mi fosse parsa una strada espressiva dirompente - e certamente all'epoca lo era.
Oggi per me non è più così, e mentre ci riflettevo mi è venuto in mente Alfio Contini, che di Zabriskie Point era stato il direttore della fotografia, e degli aneddoti che aveva in serbo per noi sbarbati della troupe - eravamo sul lago di Como nel 1979 e giravamo Un Dramma Borghese di Florestano Vancini - riguardo a molto del cinema italiano che lo aveva visto protagonista eccellente.
(nel post del 1 febbraio 2011 - la seconda parte di "Un mestiere" -  c'è un'ampia rendicontazione dell'esperienza mia durante la lavorazione di quel film)




 Pit al ciak e Alfio Contini alla mdp




...con Lara Wendel...




...e sempre ciacchista appassionato 
con Franco Nero e Dalila Di Lazzaro.




E malgrado il disamore maturato nel corso del tempo devo ammettere che quando mi ci sono trovato di fronte - si era nel 1997 -  lì a mia volta come regista, l'emozione aveva fatto palpitare fino a sfiorare la commozione. 
Della mia piccola troupe ero l'unico che avesse visto il film.
C'est la vie...







venerdì 22 agosto 2014

FORGOTTEN FEELINGS 16




Una cena a base di paella e sangria al Bistrò in occasione di un compleanno della Betta.








Betta laggiù, a capotavola.
Sono trascorsi pochi anni da quella serata ma il file delle foto era sepolto tra altri e dimenticato.
E' balzato fuori inatteso e mi ha dato il segno che anche un tempo breve può sorprendere per la possibilità di apparire lungo, incredibilmente lungo.
Da quella sera di non molto tempo fa sono cambiate un sacco di cose come se fossero trascorsi decenni, almeno secondo il mio modo di vedere.
Ragazze e ragazzi fisicamente sono uguali eppure le loro vite si sono trasformate, con luoghi diversi dove vivere, nuovi amori, nuove attività, nuove prospettive, insomma sono avviati verso il loro destino come è giusto e normale che sia, disperdendosi al mondo per ritrovarsi ogni tanto a perpetrare i rituali di amicizie e affetti che parevano immutabili. Ne so qualcosa.
E la cosa buffa e un po' triste è che questo aspetto dell'esistenza, così diffuso e per certi versi inevitabile, non smette mai di sconcertarmi.
Che il Grande Spirito guidi i loro passi sul sentiero della saggezza e della felicità. 














































E infine gli unici due "adulti", anagraficamente fuori contesto ma in spirito ancora felicemente "attardati".











martedì 19 agosto 2014

REPARTO REPERTI 20



Chi se la ricorda ?









Fino a poco fa ero convinto che la foto che seguirà fosse stata scattata proprio in quel ristorante, ma improvvisamente mi ha assalito il dubbio che si trattasse invece dei "Tre scalini". Che era in corso Castelfidardo ? Boh...









Una tavolata estemporanea che forse preludeva un'andata da qualche parte, ma proprio non ricordo.
Da sinistra Roby Oggero, Isabella Clavarino, a capotavola Giuggi di cui non ho mai saputo il nome vero, il cognome doveva essere Giugiaro, poi Lellina Guidotti seminascosta dietro Patrizia Canuto e, infine, Giorgio Carezzana.
Una piccola occasione comunque per rivolgere un pensiero a Isabella, indecifrabile e indimenticata amica di una breve stagione.
















JANIS JOYCE su DOPPIOZERO







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domenica 17 agosto 2014

REPARTO REPERTI 19





Negli anni settanta mia madre collezionava scatoline.
Di ceramica, d'argento, smaltate, di forme svariate e di dimensioni che andavano, grosso modo, da quelle di una noce a quelle di un pacchetto di sigarette.
E non è che le collezionasse, che della collezionista le mancava la passione monomaniacale, l'organizzazione mentale e la costanza. Le comprava e poi le disperdeva su tavolinetti, ribalte di cassettoni, le accumulava confusamente in ciotole come frutti in una fruttiera, senza dedicare loro più attenzione di quella che avrebbe riservata, appunto, alla frutta, senza contare l'indubbio vantaggio che le scatoline potevano tendere ad accumulare polvere ma non certo a marcire, e così ce le si poteva dimenticare là dove erano state collocate.
Infatti a un certo punto ha smesso di comprarsele.
Io, che l'avevo in qualche modo investita di funzione vicaria dal momento che, al pari di lei, mancavo dello spirito giusto ma aspirava confusamente al collezionismo - di che non sapevo, mi piaceva l'idea ma ogni tentativo mi aveva invariabilmente annoiato - ogni tanto gliene regalavo una, di scatoletta.
Nell'autunno del 1971 ero in Inghilterra, vivevo in un sobborgo di Brighton, a Hove, e mi aggiravo quasi quotidianamente nelle Lines o al Royal Pavillion possibilmente da solo, senza compagni della St. Giles school spagnoli, iraniani o giapponesi, troppo facilmente individuabili dalle bande di facinorosi primi skin-heads che frequentavano, soprattutto durante i week-end, quegli stessi posti.
 







 Durante i week-end allora me ne andavo a Londra.









Un giorno, proprio in quel dedalo di viuzze e bottegucce che erano le Lines, nelle vetrina di un antiquario un po' rigattiere, avevo visto una scatoletta che mi era piaciuta molto e l'avevo comprata.
Per la "collezione" di mia madre avevo pensato. In realtà piaceva a me, ma questa è un'altra storia.










Era un portaqualcosa, e ho trovata incollata su un vecchio album di scrapbooking anche la bustina della confezione del negoziante.
La scatolina adesso è con me, salvata dalla diaspora in cui sono andate perdute quasi tutte le sue compagne di "collezione".











La storia potrebbe finire qui ma si sa, da cosa nasce cosa, e allora mi sono tornati in mente alcuni aspetti della mia vita di quell'epoca che, con l'aiuto del repertorio, sono parzialmente resuscitabili.
Intanto nel post dell'11 agosto 2011 c'è un racconto - Tea time - che rievoca l'atmosfera di certi momenti di quel periodo.
Poi va detto che, di lassù, intrecciavo corrispondenze epistolari piuttosto fitte.
Ce ne sono con Speedy, mia madre, Sara Randaccio ma due missive in particolare mi hanno restituito un'occasione di memoria intensa.
La prima è di Luisella Rossi.












Nelle sue parole c'è tutto il disagio, l'insoddisfazione e il senso di impotenza che hanno caratterizzato l'infelicità di Luisella per quasi tutto il corso della sua breve vita.










La seconda nel suggerimento del mittente avrebbe dovuto essere bruciata, però è ancora qui, a distanza di più di quarant'anni, e sono contento di averla conservata. E' anch'essa legata in qualche modo a Luisella. 
A casa di lei suonavano - lei alle tastiere, Riccardo voce e chitarra, Renato al basso e io alla batteria -  quelle stesse persone citate da Vincenzo - che si firma cautelativamente Indian Joe - nella lettera allarmata che segue.



















Il padre di Luisella era, in effetti un uomo ricchissimo, potente e spietato. A mio avviso è stato il principale artefice dell'infelicità di sua figlia e, indirettamente, della sua dipartita, ma all'epoca era soprattutto un uomo temibile, che incuteva quasi il panico tra gli amici della figlia. La lettera di Vincenzo, malgrado l'impostazione volutamente indiziaria, lascia trasparire questo sentimento di timore.
C'è da aggiungere che proprio lui, Vincenzo, era fresco reduce da un week-end londinese trascorso con me, Giorgio Mussa e Nadir Fischer all'insegna della trasgressione (a questo proposito c'è una descrizione a riguardo nel post del 15 dicembre 2010. E anche un seguito interessante al 18 dicembre).





 Vincenzo, durante la lavorazione di "Flowers & Knives"





Altri tempi.
Alcuni di noi li hanno attraversati indenni, molti altri, come Luisella o Giorgio, hanno finito col bruciarsi le ali. Sta di fatto che il padre di Luisella quella volta ci aveva visto lungo.
Noi suonavamo - io e Renato senza la minima cognizione musicale - ma ci "sentivamo" soprattutto una formazione hippie che non poteva prescindere da sussidi che aiutassero, come si diceva allora, ad espandere la coscienza. 
Quando Renato e Luisella abbandonarono la partita Riccardo ed io creammo un effimero super gruppo che provava a casa di Fulvia Magnoni e del quale faceva parte Giorgio Mussa.
Ad ogni modo quella volta all'aeroporto ad attendermi niente polizia, niente ferocissimo papà di Luisella ma solo gli amici, alcuni dei quali, da tempo, non ci sono più.




 Due dei "trasgressivi" nel 1985...
(Vincenzo e Riccardo)




...e nel 2011.
(Pit, Rossella e Vincenzo)



sabato 9 agosto 2014

TARIK & SIXTO





Se non siete tra i fortunati che sono andati a sentirlo ieri sera a Bologna o tra quelli che saranno al suo concerto stasera a Milano, e se ieri sera non siete passati su Rai 5 che mandava in onda "Searching for Sugar Man" e neppure lo avete visto nelle sale o in qualche festival, vi incoraggio in modo pressante a procurarvi un DVD di questo bellissimo documentario. Non lo dimenticherete.
E' una delle storie più incredibili e commoventi che mi sia capitato a suo tempo di orecchiare, al punto che ho faticato non poco a farmi arrivare i due dischi della produzione di Sixto Rodriguez, questo prima che il regista svedese Tarik Benjelloun della vita di Sixto ne facesse un film, e prima che questo film vincesse l'anno scorso l'oscar per il miglior documentario.
Adesso i CD si trovano, ovviamente, ma Rodriguez vive ancora nella sua casa di Detroit, senza televisione nè riscaldamento, la stessa che ha abitato per quarant'anni, devolve gli introiti dei concerti a familiari ed amici, è pacifico, un "maestro" in varie accezioni del termine.
Non la faccio lunga, guardatevi il film.




Il regista Tarik Benjelloun e Sixto Rodriguez




...ancora loro due...




Tarik si è suicidato tre mesi fa...

martedì 5 agosto 2014

FORGOTTEN FEELINGS 15





Nel post del del 1° agosto 2013 intitolato "Di tutto un po' 2" nel finale racconto qualcosa della mia evanescente relazione con una ragazza danese. Eva Lundberg.
Ora, durante il mio ozioso e sognante pascolare in rete alla ricerca di tracce del trascorso - mio o del mondo - ho trovato una fotografia.
Come sempre accade ci ho visto una somiglianza forse più sperata che reale. 
Quando si intraprendono questi "scavi" succede, a volte, di equivocare spinti dal desiderio di non lasciarsi sfuggire un residuo di sè e del proprio tempo, anche a costo di mancare di obbiettività.
E' un atteggiamento capriccioso e infantile, lo so, un poco sul genere "voglio quel giocattolo a tutti i costi", ma è anche qualcosa di più, c'è una componente di tenerezza nei confronti di quell'amico o quell'amica che sono ormai quasi vecchi, come il sottoscritto, e hanno alle spalle il percorso eroico di una vita, quale che sia stata.



...un paio di foto già postate... 




Mikonos - estate 1977




...e l'immagine trovata oggi... - 2014

domenica 3 agosto 2014

JANIS WRITER 2









Nel post del 18 gennaio 2013 segnalavo le riviste letterarie in rete sulle quali è possibile trovare racconti di Janis.
Aggiungo che sul numero 63 di NUOVA PROSA, rivista cartacea, quest'anno è comparso il racconto "Una famiglia unita" e che è tra i miei preferiti.






sabato 2 agosto 2014

Forgotten feelings 14 - POSTILLA




Mi chiedo come ho potuto dimenticarmi di questa notte del 5 luglio 1975.. 
Ecco rimediata la lacuna.








Roby in braccio a Mapi, Titti e Pit








E chiudiamo con questa, già vista ma irresistibile, di lui con Kiki, la sua morosa di quel periodo, che è "andata avanti" ormai da qualche tempo, come la Titti delle foto precedenti.
Note che irrimediabilmente ci riportano alla condizione reale, che mozzano il sorriso, che resta solo a Kiki, su quel Land Rover dei nostri viaggi di giovinezza.
So long...