venerdì 18 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 30




                                         TRENTA


Dino Fabbri aprì gli occhi. 
Un fendente di sole attraversava la stanza passando per uno spiraglio tra le persiane e illuminava tiepidamente un frammento della parete di fronte al letto.
Si mosse con cautela, riconobbe la stanza dove lo aveva condotto Leila, ricordò all’improvviso la fine del colloquio con Claire. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso da allora.
Si alzò a sedere sulla sponda del letto  e fu inchiodato da un capogiro improvviso. Un vago senso di nausea lo disturbava dal momento del risveglio.
Costringendosi all’immobilità, ad occhi chiusi e con la sensazione di roteare in un vuoto plumbeo, ricostruì con un faticoso sforzo mentale tutte le fasi che avevano preceduto quel risveglio. E per la prima volta dall’inizio di tutta la maledetta faccenda, ebbe paura.
Quando sentì attenuarsi il senso di stordimento si trascinò in bagno. Vomitò e poi si cacciò sotto la doccia, con la precauzione di non chiudere le antine zigrinate. Da sotto il getto d’acqua riusciva a tenere costantemente d’occhio la porta d’ingresso della camera. Dopo alcuni minuti di immobilità si sentì meglio e cominciò a chiedersi che cosa dovesse fare. Ora era certo che durante il suo colloquio con Claire qualcuno aveva atteso il momento opportuno per aggredirlo alle spalle e narcotizzarlo. Qualcuno che era d’accordo con lei, evidentemente.
Si cercò tracce di eventuali segni di iniezioni sulle braccia e sul resto del corpo senza riscontrarne. Riusciva a dominare gli improvvisi accessi di panico, che si scatenavano ad ondate intermittenti, ma si rese conto che non era in condizioni di elaborare un piano. L’unica idea costante era quella di fuggire. Scostò leggermente le ante della persiana per dare un’occhiata all’esterno. Il giardino era deserto, inondato di sole.
Gettò alla rinfusa i pochi effetti personali che aveva estratto dalla borsa e decise che avrebbe cercato una via d’uscita attraverso il giardino. Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa che potesse fungere da eventuale arma impropria senza trovarla. Stava cercando di smontare la barra appendiabiti all’interno dell’armadio quando bussarono alla porta.
Dino Fabbri si immobilizzò con il cuore in gola, poi un accesso di insperato raziocinio gli fece riconoscere che era improbabile che chi lo aveva messo fuori combattimento avrebbe bussato prima di entrare.
- Si ? - disse, con la voce che mancò, impantanandoglisi in gola.
- Le petit dejèuner, monsieur.
Dino Fabbri si accostò al letto e posò a terra la borsa da viaggio.
- Avanti - disse con voce più ferma.
A fare il suo ingresso fu la camerierina che lo aveva servito durante la cena, e che gli rivolse un breve cenno del capo prima di posare il vassoio con la colazione.
- Quand vous aurez terminé madame vous attends dans son bureau, monsieur.
Dino Fabbri annuì e la ragazza se ne andò.
Dunque, se non aveva capito male, Claire lo aspettava nel suo ufficio.
“Di nuovo” pensò, e inaspettatamente gli venne da ridere.
Consumò la colazione con appetito. La nausea che lo aveva attanagliato al risveglio era scomparsa.
Terminò la propria toilette con calma. Cercando di immaginare come si sarebbe comportata Claire, e di conseguenza come avrebbe dovuto comportarsi lui. Quando si sentì pronto afferrò la borsa da viaggio ed uscì nel corridoio. Controllò a destra e a sinistra che non ci fosse nessuno. La luce era fioca, il profumo di detersivo stuzzicava le narici. Dino Fabbri rientrò in camera, la chiuse dall’interno lasciando la chiave nella toppa, scavalcò il davanzale della finestra e si avviò, attraverso il giardino, verso l’ingresso posteriore dell’hotel.
Leila, dietro il banco della reception, gli rivolse un sorriso smagliante, che si congelò per una frazione di secondo quando individuò la borsa che Dino Fabbri teneva in mano.
- Monsieur s’en va déjà ? – chiese con tono affabile.
Lui le sfilò di fronte senza guardarla e senza rispondere, attraversò la hall ed uscì sul marciapiede. 
Fuori c’era l’inattesa animazione di un mercatino turistico: la Volvo era incastrata tra una bancarella che esponeva parei ed espadrillas multicolori e un’altra sulla quale stavano in bell’ordine statuine e medaglioni di terracotta. Sulla ruota anteriore dell’auto spiccava una ganascia giallo ocra. La multa era sotto il tergicristallo.
Dino Fabbri gettò la borsa nel bagagliaio sotto lo sguardo ostile delle due donne delle bancarelle e si diede un’occhiata attorno, con la multa in mano, come a cercare la direzione da prendere.
Claire era sull’ingresso dell’hotel. Attraversò la strada e gli si fece incontro. Osservò la ganascia sulla ruota e scosse la testa.
- Non sapevo che avevi parcheggiato qui - disse. Lui non rispose.
Claire gli tolse di mano il foglio della multa.
- A questa ci penso io. Se vieni dentro facciamo in modo che ti liberino l’auto. E’ colpa mia, mi dispiace.
Dino Fabbri non disse nulla e non si mosse. Le due donne delle bancarelle li osservavano. C’erano buone probabilità che avessero capito le parole di Claire. Lei appariva a disagio.
- Preferisco aspettare qui, grazie - disse lui.
Lei fece una leggera smorfia di disappunto.
- Come vuoi, ma non c’è più nessun problema - sussurrò - e non c’è nessuna ragione di preoccuparsi. Di me ti puoi fidare.
Dino Fabbri scoppiò a ridere. Lei si avviò verso l’ingresso dell’hotel e lui la raggiunse. Attraversarono la strada fendendo la folla di turisti, che nel frattempo si era fatta numerosa, e rientrarono nella hall.
Leila scivolò da dietro il bancone con il suo passo sinuoso, in direzione delle scale.
Dino Fabbri non si trattenne dal darle un’occhiata.
- Chi va ad avvertire ?
- Nessuno - rispose Claire senza voltarsi. Lo precedette nell’ufficio e lui, ritrovandosi in quell’ambiente, provò una sensazione d’affanno.
- E’ tutto a posto - disse lei, come se avesse capito lo stato d’animo di Dino.
- Tutto a posto ? - chiese lui. Lei annuì.
- A me non pare - attaccò lui - a me pare invece che sia tutto da chiarire.
Si spostò dalla posizione di fronte alla scrivania e addossò le spalle ad uno dei classificatori.
- Ho dormito parecchio, mi pare.
- Si trattava di essere sicuri che non ti mandava nessuno. Che non c’entravi se non per caso, o per curiosità tua. 

- Adesso è tutto chiaro.
- Ah, sì ?
- Sì. Puoi sederti. Non corri nessun rischio.
- Preferisco restare in piedi. E vorrei che tu mi facessi liberare l’auto, se non ti dispiace.
Claire formulò un numero di telefono; parlamentò piuttosto a lungo prima di interrompere la conversazione.
- Mi dispiace. Ci vorrà almeno una mezz’oretta. Quello che si occupa delle rimozioni è fuori. Io intanto  mando qualcuno a pagare la multa. Ti va un caffè ?
- Lo prendi anche tu ?
- Sì.
- Va bene allora.
Claire si andò ad affacciare alla porta dell’ufficio e chiamò Leila, passandole la multa, poi tornò a sedersi alla scrivania.
- E Jef dov’è ? - chiese Dino Fabbri.
Claire fece un gesto vago, quasi ad indicare che si fosse volatilizzato.
- Per quanto tempo mi avete tenuto addormentato ?
- Io non c’entro. Io sono presa in mezzo come te ! Adesso ti spiego tutto…  
- Per quanto tempo !
- Da ieri.
- Ieri ?
- Sì. Ma non eri addormentato, solo assopito… hai anche mangiato.
- Vuoi dire, in pratica, due notti e un giorno ?
- Più o meno.
- Voi siete pazzi ! pazzi pericolosi !
- Jef voleva essere sicuro che tu non avessi a che fare con la Polizia, e comunque che non agivi per conto di qualcuno. E anche Eliane.
- Ma se ti ho detto che io so chi ha ammazzato Theroux !
- Lo sanno anche loro.
- E allora, se Jef comunque è scagionato perché tutta questa messa in scena.
- L’altra notte ti ho detto una cosa. Non ricordi ?
Dino Fabbri ci rifletté su prima di rispondere di no.
- A proposito di mio marito.
Dino reagì come se qualcuno gli avesse infilato un cubetto di ghiaccio nella camicia.
- Cazzo… - bisbigliò - …anche lui ?
Claire annuì - Leopòld - disse.
- C’era da immaginarselo - mormorò Dino.
- Era terrorizzato. Sapeva che Felìx si preparava a distruggerlo. E’ venuto da me una notte, passando per il giardino. Mi ha chiesto se ero disposta a rendere pubblica la nostra relazione. Io naturalmente ho risposto di sì. Fino a quel momento era stato lui a volerla nascondere a tutti i costi. Mi ha chiesto se ero disposta a farlo in ogni caso, anche in un tribunale, e io gli ho ripetuto ancora di sì. Allora mi ha detto che se fosse stato necessario, se mi avessero interrogata, avrei dovuto dire che quella notte l’aveva trascorsa con me. Non lo ha fatto, se ne è andato via calandosi in giardino e il giorno dopo hanno ripescato l’auto di Felìx nel lago. Leopòld è sparito e non l’ho rivisto per due anni.
Claire aprì leggermente le braccia con un dimesso gesto di resa
- E che cosa c’entrano Jef e l’altra, Eliane ?
- Quando lei è venuta ad abitare da me siamo diventate amiche. Col tempo le ho raccontato tutto di me. Alla fine anche la storia con Leopòld e la morte di Felìx. All’epoca non c’erano state indagini. Il caso era stato archiviato come incidente. Leopòld aveva fatto le cose per bene, pare. Probabilmente si era fatto aiutare da qualcuno, ma questo, ormai, non lo sapremo più. Comunque non era stato necessario che io “rendessi pubblica”, come diceva lui, la nostra relazione. Così se ne stava tranquillo. Probabilmente, a cosa fatta, si era pentito di avermi chiesto quella complicità. Era chiaro che potevo avere dei sospetti. Ma io tacevo, e alla fine si sarà convinto che per quanto riguardava me non doveva preoccuparsi.
- Ma tu i sospetti li avrai pure avuti , no ?
Claire scosse il capo con un gesto stanco. Dino Fabbri si accorse che il rassegnato distacco con cui lei guardava spesso ai casi della vita faceva parte della sua bellezza.
- Per me era finito un incubo – stava intanto dicendo – per il resto non volevo più pensarci. Leopòld mi aveva piantata. Avevo due figli. Ero incredibilmente stanca. Però capivo che mi si offriva un’ultima possibilità di essere libera, e allora ho deciso che non l’avrei persa, e che da quel momento in poi non mi sarei più messa allo sbaraglio. Me ne ero davvero dimenticata quando ho raccontato l’episodio ad Eliane, anni dopo, tredici o quattordici più o meno. E lei ci si è buttata. Lo odiava con una risolutezza senza cedimenti. I trattamenti con i detenuti sono continuati ancora per un paio d’anni. Quando il vecchio direttore del carcere è andato in pensione quello che lo ha sostituito ha sospeso l’esperimento, per ragioni di budget, dicono. Ma Eliane ha comunque continuato a mantenere contatti con quelli che erano stati sottoposti a terapia. In particolare con Jef, che si era fermato a Les Charbonnières, a pena scontata, e lavorava per Theroux.
Le cose non erano così rosee come potevano apparire all’esterno. Leopòld esercitava su Jef una specie di autorità da schiavista. Conosceva le sue fragilità e le sfruttava per plagiarlo. Eliane ha scoperto che Jef era praticamente prigioniero di Leopòld, sia psicologicamente che materialmente. Per anni ha dovuto accontentarsi di vitto alloggio e dei soldi per le sigarette. E questo valeva anche per Marcella. Eliane comunque gli ha passato l’informazione sul presunto omicidio di Felìx e deve avergli anche suggerito come sfruttarlo. Ha rischiato, perché Jef era una specie di marionetta nelle mani di Leopòld, ma anche lei conosce gli uomini. Ha trovato il varco e Jef  c’è stato. Da quel momento in casa Theroux le cose sono cambiate. Jef lo tormentava con lettere anonime. Lo ricattava, e Leopòld non riusciva a capire chi potesse averlo scoperto. Tranne me, naturalmente. Ma io ero stata zitta per tutti quegli anni, e poi sapeva che non ero capace di architettare una cosa del genere. Comunque un tentativo l’ha fatto. Mi ha invitata a cena, dopo tutto quello che c’era stato e tutti quegli anni. Come se niente fosse.
- E tu ?
- Ho accettato.
- Hai accettato !?
- Ero curiosa. E poi non sapevo nulla delle manovre di Eliane e di Jef. Mi chiedevo perché mai si rifacesse vivo.
- E com’è andata ?
- Mi ha fatto un sacco di domande, è stato cortese, disponibile. Non ci ha provato, non si è sbronzato. Insomma, a ripensarci dopo doveva essere molto all’erta, e che io ero ignara di tutto non ci ha impiegato molto a capirlo. Mi ha liquidata in fretta e mi ha fatta riaccompagnare da Jef. E’ stata la prima volta che l’ho visto. Comunque Leopòld a quel punto si è rassegnato a pagare, senza mai sospettare di avere il nemico in casa. Poi ha cominciato a  bere sempre di più, a tenere la situazione sempre meno sotto controllo, e a comportarsi sempre più come un vecchio satiro con tutte le donne che gli capitavano a tiro, così almeno mi hanno raccontato. Negli anni precedenti doveva aver avuto dei traffici poco puliti anche con Carso perché quello, ad un certo punto, si è fatto avanti con Jef per avere informazioni su Theroux, su cosa succedeva in casa, sui pazienti, un po’ su tutto insomma. E Jef si è procurato una seconda fonte di reddito. Poi, Dio sa come, ha avuto una relazione con la moglie di un paziente di Leopòld.
- Loretta. Loretta Testoni.
- Sì. Mi pare si chiami così. Faccio un po’ di confusione perché sono tutte cose che non so da molto. Me le hanno rovesciate addosso dopo la morte di Leopòld e io, sinceramente, se non fosse per l’amicizia che ho per Eliane….
- Non daresti ospitalità ad un ladro latitante accusato di omicidio ?
Claire fece come se non avesse sentito.
- Tu potrai anche non crederci ma io non odiavo Leopòld. Aveva fatto parte della mia vita, ma poi era diventato completamente estraneo. Persino il fatto che fosse padre di mio figlio a volte mi pare incredibile. Non so come spiegarlo, comunque non avevo del risentimento nei suoi confronti. So che lui invecchiando aveva preso sempre di più gusto ad esercitare delle crudeltà nei confronti di chi gli stava attorno. Lavori sottili, ma che alla fine ti esasperano. Per questo, credo, Jef e Marcella, ed Eliane e anche quella poveretta della moglie del suo paziente…
- Loretta.
- Sì, lei. Voglio dire che potevano odiarlo perché gli erano stati accanto per molto tempo e recentemente. Io, in quindici anni senza più avere a che fare con lui, ho potuto lasciare che tutto si attenuasse. Ho pochissimi ricordi dei momenti insieme. Comunque non lo odiavo. Quando Eliane mi ha detto come erano andate le cose ho risposto che non volevo sapere. Ma due settimane fa è arrivata qui con Jef.
- Potevi mandarli via. Perché comprometterti ?
- Non so… - Claire scosse la testa con rassegnata incertezza.
- E ora dove sono ?
- Non ne ho idea.
- Allora l’ho scampata per un pelo.
- Cosa vuoi dire ?
- Che se per caso fosse saltato fuori qualcosa, che so, se si fossero sbagliati, avessero ricevuto informazioni sbagliate sul mio conto, per me era finita.
- Oh, no ! Certo che no !
Claire sembrava essersi lasciata prendere dall’affanno.
- Sì, invece ! - replicò Dino Fabbri con veemenza.
- Ma io non avrei mai permesso che…
- Tu hai permesso che accadessero tante di quelle cose…Ti sei nascosta dietro la giustificazione dei traumi dell’infanzia e dell’adolescenza e da lì hai sempre fatto i cazzi tuoi. Sei l’unica che in tutta questa storia non solo è ancora viva, ma vive bene. Guardati. Tutti gli altri sono fuggiaschi o snaturati da odi che non riescono a controllare. I tuoi figli è un miracolo che non ti diano del lei tanta è la confidenza che vi lega. E tu te ne stai qui a potare le rose in giardino, florida come una modella di Rubens. E’ difficile credere che ti saresti lasciata disturbare da una bazzecola come un altro omicidio.
Dino Fabbri si sedette finalmente sulla seggiola di fronte alla scrivania. Claire taceva. Aveva assunto un atteggiamento di distacco pensoso. Lui la osservava e sentiva svanire dentro di sé la curiosità, l’attrazione che aveva provato per lei. Le apparve all’improvviso ordinaria, preoccupata di piccole cose, misteriosamente mutilata di quell’alone di fascino che le aveva attribuito fino a quel momento.
Venne la camerierina ad annunciare qualcosa e Claire si riscosse dalla sua fissità esausta.
- Hanno liberato la tua auto - disse, accennando faticosamente un sorriso.
- Mi sa, allora, che andrò - rispose Dino, alzandosi.
Claire fece altrettanto. Si fronteggiarono in silenzio, come in attesa.
- Brutta storia - disse lui - speriamo sia finita sul serio. Per quel che mi riguarda comunque sì. Io mi chiamo fuori. Non so nulla e non voglio sapere più nulla. Dillo ai tuoi amici. E per quanto riguarda Theroux e l’omicidio, bèh, Loretta ha fatto giustizia per tutti, no ? Io almeno la vedo così.
Claire annuiva; pareva sollevata all’idea che Dino se ne andasse, sembrava disposta ad accettare qualsiasi soluzione purché tutta la dannata faccenda venisse cacciata fuori dalla sua esistenza, e lui non poteva darle torto: provava lo stesso desiderio, con altrettanta intensità.
La osservò soffermarsi dietro il bancone della reception ad accogliere un paio di clienti olandesi. La sua bellezza, opacizzata dagli eventi di un’esistenza disorientata, tornò per un momento ad affiorarle nel sorriso, nell’obliquità ammiccante degli occhi azzurri incastonati nel viso abbronzato. I gesti misurati con cui accompagnava le parole erano inconsapevolmente perfetti. Il fisico, avviato a diventare matronale, suggeriva ancora una leggerezza giovanile. Dino Fabbri lo raffrontò a quello di Leila, che nel frattempo l’aveva raggiunta. Il corpo atletico e asciutto della magrebina era incantevole, le rotondità delle natiche e dei seni parevano bocce d’alabastro sotto la fascia aderente della maglietta e dei jeans, ma se in quel momento fosse stato costretto a scegliere tra le due per abbandonarsi su un letto, forse sarebbe stato ancora curioso di Claire, di quel che rimaneva in lei della ragazza sul terrazzo dello stabilimento di Neuchatel. Ma lei sembrava non chiedere altro che d’esser lasciata in pace, di avere accanto a sé per una volta nella vita una figura che le offrisse serenità senza sconcerti, passione magari, ma onesta solidità innanzitutto. Lui non sarebbe stato all’altezza delle aspettative. Leila forse. Un intenso sguardo inatteso che corse tra le due donne, senza che s’accorgessero che lui le stava osservando, fece nascere in Dino un sospetto, che ricacciò istantaneamente.
Claire lo accompagnò all’auto. Lo abbracciò con un affetto inatteso e lo baciò sfiorandogli le labbra.
- Non ci rivedremo, eh ?
- Perché ? Non si può mai dire - rispose lui.

- Ma io lo so. Non ci rivedremo più.
Pareva commossa. Dino Fabbri sedette al volante. Lei, all’ultimo momento, estrasse da una tasca dello chemisier di lino una busta e gliela porse.
- Leggila quando sarai a casa.
Lui le rivolse un’occhiata interrogativa.
- Solo qualche dettaglio in più su questa storia.
Dino Fabbri fece per restituirla ma lei la respinse.
- Tienila. Alla fine sarai contento di averla letta.
Lui cedette, animato anche da un afflato di curiosità. Rivolse a Claire un ultimo sguardo e un cenno del capo, convincendosi che per quanto riguardava l’eventualità di un loro futuro incontro aveva ragione lei.
Mise in moto e partì.

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