martedì 8 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 21



                                      VENTUNO


Spedirono a casa Ferruccio che se ne andò con sollievo, soddisfatto di non dover riaccompagnare Dino.
- Lo porto io - aveva assicurato Miriam - aspettiamo solo che quel cretino si stufi e vada via.
Ferruccio aveva risposto un po' incongruentemente con un "Molto bene !" e se ne era andato.
Il fruscio discreto dell'ascensore non si era ancora attenuato che Dino  partì all'arrembaggio.
Miriam lo respinse.
Disse: "Mettiti comodo, io torno subito."
Lui si lasciò ricadere su uno dei divani.
Restò ad attendere a lungo. Stava assopendosi quando Miriam riapparve.
Indossava un equipaggiamento erotico impressionante ed aveva il corpo completamente cosparso di unguento. Azionò un interruttore che accese un disco di luce sulla parete. Cambiò musica nello stereo e fece partire un medley di brani caraibici. Si piazzò al centro del disco di luce e prese a ballare. Dino Fabbri era letteralmente basito.
Ballando Miriam non riusciva a liberarsi della legnosità caracollante del suo muoversi abituale, così che l'enfasi che ci metteva faceva pensare ad una giraffa in fuga.
L'unguento di cui si era cosparsa metteva in risalto l'abbronzatura, i seni appoggiati su due mezze scodelline di latex che lasciavano i capezzoli scoperti, il minuscolo tanga, anch'esso di latex nero.
Miriam piroettò, rivelando un posteriore stretto e piatto e lunghe gambe perfette. Si liberò con un gesto del tanga e allargò le cosce, appoggiandosi sulla punta dei lunghissimi piedi e attaccando con un movimento oscillante del bacino.
- Ti piace, eh ? - chiese. Neppure lo sgradito ritorno della voce stridula attenuò l'erezione di Dino Fabbri.
- Sì - disse - vieni qua.
- No - rispose Miriam - se ti piace fammi vedere.
Si portò entrambe le mani all'inguine. Le lunghe dita socchiudevano le grandi labbra, facendo occhieggiare una vagina purpurea.
Dino Fabbri si sentiva al centro di una situazione grottesca ma ne era completamente soggiogato.
- Allora non é vero che ti piace - stava intanto dicendo Miriam, facendo sbucare con una mossa da prestigiatore un vibratore in foggia di fallo.
Prese a strofinarselo sul corpo ripetendo con la sua vocetta: "Ma se ti piace davvero perché non mi fai vedere ?"
Dino era incerto; si sfiorò il cavallo dei jeans e Miriam gettò il capo all'indietro.
- Vedi che hai capito ? Dai che son tutta bagnata ! Dai tira fuori la bestia !
Dino sbalordì, stentando a coniugare l'eccitazione incontrollabile con l'altrettanto incontrollabile voglia di ridere. Si decise a masturbarsi e Miriam accentuò il ritmo dei suoi traffici con il vibratore.
- E adesso cosa vuoi fare ? Schizzarmi tutta ?
Dino Fabbri annuì.
- E dillo !
- Voglio schizzarti tutta.
- Dillo ancora ! Non smettere !
Miriam gli si avvicinò. Si inginocchiò di fronte a lui e ordinò "In piedi !". Dino si alzò con qualche impaccio.
- Ci sei ? - chiese lei. Lui annuì.
-  Dai, mungi! - prese allora a squittire lei.
Dino con un passo le si pose cavalcioni e l'accontentò. Squillò il telefono e non smise fino a che lei non ebbe la forza di rialzarsi per andare a rispondere.
Si detergeva le guance impiastricciate strillando "Pronto !" nella cornetta.
Dino Fabbri si lasciò cadere sul divano, cercando di architettare il modo di filarsela immediatamente. Erano le tre del mattino.
- Lo so che sei tu, faccia di culo ! - stava dicendo intanto Miriam con un sibilo acuto.
Si muoveva ancora impercettibilmente al suono del merengue; con una mano impugnava la cornetta e con le lunghe dita dell'altra si tormentava un capezzolo, come se avesse intenzione di svitarselo, con un gesto simile a un tic nervoso.
- Ho qui un bell'uccello da spompinare - disse a tradimento. Dino Fabbri sussultò. Lei gli rivolse un'occhiata rassicurante.
- Vieni ! vieni a vedere mezza sega ! - concluse, e riagganciò.
Si voltò con un'espressione trionfante.
Il suo sguardo perennemente assente aveva preso, forse in virtù degli sviluppi erotici, una lucentezza allarmante, anfetaminica.
Si avvicinò al divano. Tranne che per il reggipetto di latex dal quale sbucavano i capezzoli non indossava altro.
- Se mi siedo domani butto via il rivestimento.
Si sfiorò con le lunghissime dita i fianchi, ad indicare con un gesto sinuoso la pelle coperta di unguento.
- Facciamo una doccia ? - propose.
Dino Fabbri aveva intenzione di chiederle di chiamargli un taxi, ma chissà perché quell'idea della doccia lo attirò.
- Un attimo soltanto - disse lei,  scomparendo per tornare avvolta in un accappatoio color fuxia.
- Adesso dovrebbe essere arrivato - concluse soddisfatta.
- Chi ? - chiese Dino.
- Il cretino.
Miriam uscì sul terrazzo e fece segno a Dino di seguirla.
- Chiama da una cabina che c'é qua dietro, in piazza. Ci impiega cinque minuti a tornare. Ho già verificato.
Si affacciò al parapetto e invitò Dino a fare altrettanto.
Il ragazzo era in piedi, accanto alla portiera dell'auto.
Per Dino fu una visione inattesa e si ritirò d'istinto, senza però esser riuscito ad evitare lo sguardo lontano dell'altro. Uno sguardo di livore stralunato, patetico.
Miriam intanto, sempre affacciata, aveva aperto le falde dell'accappatoio con un gesto ridicolo, da esibizionista delle barzellette, offrendo al ragazzo in strada la visione delle sue tette parzialmente imprigionate dal latex. Come reagì lui là sotto Dino Fabbri non ebbe modo di sapere, ma lei si ritirò soddisfatta.
- Adesso vedrai che se ne torna casa - ridacchiò.
A Dino venne il sospetto che quella messa in scena, di cui si era reso involontariamente complice, fosse stata replicata altre volte in precedenza, con altri.
- Dev'essere pronto - disse lei - andiamo.
Lo precedette in un bagno pompeiano, completamente rivestito di marmo.
Dino si spogliò riluttante, dubbioso sul rischio di una congestione, ma la vasca che gli si offriva di fronte era irresistibile: una specie di piscinotta al centro dell'ambiente, anch'essa in marmo dalle venature screziate.
Un botto alle sue spalle lo fece sussultare.
Miriam aveva stappato una bottiglia di champagne. Con quella lo precedette nella vasca. Azionò un interruttore scatenando il ribollire dell'idromassaggio.
Sgusciarono l'uno contro l'altra ridacchiando e passandosi la bottiglia. Poi Miriam accostò il ventre ad un bocchettone dell'aria compressa, alzò le gambe fuori della vasca, ancorandole al bordo, e pigiandosi contro il getto forzato si procurò un orgasmo in tempo sorprendentemente breve.
Dino Fabbri aveva voglia di toccarla e lei insisteva a tenerlo lontano. Lui era di nuovo furiosamente eccitato. Aveva fretta. Voleva scoparla e voleva andarsene.
- Non hai un letto ? - chiese.
Miriam, che si stava illanguidendo dopo la pratica con il bocchettone, ridacchiò.
- Oh, abbiamo un tradizionalista qui ?
Lo precedette comunque in una camera di cui Dino percepì appena la sontuosità dannunziana. Si scaraventò sul letto sterminato trascinandosela addosso.
- Guantino - disse lei, mettendogli sotto il naso con la solita mossa da prestigiatore una confezione di profilattici. Per un attimo Dino si chiese da dove fosse saltata fuori, poi si affrettò a guarnirsene.
Mentre le stava addosso la sentì armeggiare e poi percepì una presenza rigida che gli si incuneava tra i glutei.
- Che cazzo fai ? - chiese, bloccandosi.
Miriam, che sembrava aver perso interesse alla cosa, tentò un'espressione di candore innocente sulla faccia oblunga.
- Non ti pace ? - chiese.
- Piace cosa ? - obbiettò lui con astio.
Lei, per tutta risposta, azionò l'interruttore e il vibratore frullò sulle chiappe di lui. Dino Fabbri si girò di scatto e lei alzò il braccio, a mostrargli il fallo di lattice che impugnava. Non era lo stesso dell'esibizione di prima e anche questo era comparso a sorpresa.
Lui, bloccato a metà della scopata, stava spazientendosi.
- Ma quanti ne hai ?
- Mai provato ?
- Lasciamo stare.
- Davvero, mai provato ?
- No ! - ringhiò Dino, ricominciando a muoversi su di lei.
- Non sai cosa perdi.
- Posso immaginarlo.
- Ci sei, allora ? - Miriam era improvvisamente inerte. Il suo sguardo aveva riconquistato la neutralità assente di inizio serata.
- Sì - grugnì lui, accelerando il ritmo.
- Dai così, bello - invitò lei senza muovere un muscolo - vai così che mi stai centrando in pieno ! Lo sento ! Lo sento !
Dino eiaculò e ricadde di lato, addormentandosi all'istante, come non gli era mai successo in vita sua.
Riaprì gli occhi nella luce piena del mattino.
La stanza era deserta. Dalle finestre aperte giungeva un frenetico cinguettìo d'uccelli e l'eco lontanissima del passaggio di un'autoambulanza.
Trovò Miriam in terrazzo, intenta a consumare una cospicua prima colazione. Lei lo invitò a sedersi. Una cameriera filippina si materializzò sotto il gazebo in attesa di richieste.
- Thé o caffé ? - chiese Miriam.
- Caffé, grazie - rispose Dino, e la cameriera scomparve.
- Ha già telefonato Ferruccio - disse Miriam.
Dino Fabbri la osservò senza rispondere.
- Voleva sapere com'é finita ieri sera.
Dino continuò a tacere, scrutandola, e lei abbozzò un sorriso che non alterò la sua espressione di distacco neutro.
- Gli ho raccontato della faccia che ha fatto il cretino quando ci siamo affacciati.
- Oh cazzo... - mormorò Dino.
- Prego ?
- Ma gli hai raccontato anche di noi ? Sì, insomma...tutto ?
Miriam annuì, come se si trattasse della cosa più naturale del mondo.
- E lui ?
- Niente. Ha riso.
- Come riso ? Cosa vuol dire ha riso ?
 A Dino la voce stridula di Miriam aveva ricominciato a dare sui nervi più che mai.
- A Ferruccio piacciono le storie di sesso - disse lei - ci va pazzo. Se no mica sposava quel puttanone.
- Già... - considerò Dino, vagamente perplesso - e anche le tue storie di sesso ?
- Soprattutto.
- E non ti é passato per la mente che lui é amico di mia moglie ? Che hanno lo stesso psicoanalista ! che...
- Avevano - lo interruppe lei. Dino tacque.
- Non crederai che Ferruccio vada a spifferare tutto a tua moglie ?
Lui alzò le spalle, incerto.
- Sta tranquillo.
- Sai com'é. Con questa storia dell'analisi, con sto fatto che confessano tutto... é un'ossessione.
Miriam annuì.
- Comunque Theroux é andato - disse - se fosse stato vivo il rischio c'era, ma ormai...
- In che senso - chiese Dino.
- Beh, é morto no ?
- No, voglio dire in che senso c'era il rischio ?
- Sai com'era Theroux.
- Veramente no.
- Ma scusa, tua moglie non ha fatto con lui anche la didattica ? Non era il suo pigmalione ? - Miriam ridacchiò sull'ultima domanda.
Dino non seppe come interpretarla ma non gli piacque. Annuì, in attesa che lei continuasse.
- Ho  capito - concluse lei - non sai nulla.
Dino sentì inaspettatamente un affanno allarmato attanagliargli il respiro, come presagendo che ciò di cui Miriam riteneva lui fosse all'oscuro potesse essere di capitale importanza.
- Però in fondo é normale - continuò lei - Si vede che tua moglie vuole salvare almeno un minimo di apparenza.
- Ma che cazzo vuoi dire ? Perché non ti spieghi ?
Miriam ebbe un impercettibile trasalimento di fronte alla reazione di Dino. Lo scrutò, indulgendo con il suo sguardo d'assenza all'altezza dei sopraccigli di lui.
- Nervoso ? - gracidò.
- No, scusami...ma sai com'é, con tutta 'sta storia... insomma é piuttosto esasperante.
Si sporse in avanti e le appoggiò una mano sulla coscia, scivolando sotto la gonna.
- Davvero, scusami...
- Niente, niente - tagliò corto lei - e poi non sono cose che mi riguardano.
- Comunque se c'é qualcosa che pensi che io dovrei sapere... - azzardò Dino.
Miriam sembrò rifletterci su. Lui tentò un allungo sulla coscia. Lei si voltò lentamente verso l'ingresso del terrazzo.
- Ti si é gonfiato il banano ?
Le parole di lei, pronunciate nella luce ombreggiata del sole, senza la vaghezza del recepirle in preda ai fumi dell'alcool, fecero trasalire Dino.
- Sì - accennò, anche se non era vero.
-Adesso ho un appuntamento - disse lei, cambiando all'improvviso registro - telefonami stasera e vediamo.
Dino le ritirò con sollievo la mano dalla coscia.
- Un altro caffé ? - chiese lei. Lui rispose di sì. Ricomparve la filippina.
- Allora, di Theroux ? Cosa dovrei sapere ? - tentò Dino.
Miriam snocciolò tutto dettagliatamente, con il tono col quale avrebbe letto l'elenco del telefono.
Theroux era un vizioso e un giocatore, si era indebitato per ragioni piuttosto oscure con un sacco di gente poco raccomandabile, e nonostante la cospicua consistenza dei suoi onorari pareva fosse sempre in bolletta.
- Ma risulta che Jef, il cameriere, si sia portato via un patrimonio... - la interruppe Dino.
- Quella é tutta un'altra storia - disse Miriam, che sembrava al corrente di ogni aspetto dell'inchiesta sull'omicidio.
Non gli permise più di interromperla perché pareva ansiosa di andare al suo appuntamento, ma fu esauriente.
Quando si alzò e la sua vocetta sgraziata annunciò "Adesso dobbiamo proprio lasciarci" Dino sapeva che il tesoro di Leopòld Theroux era stato accumulato all'insaputa di tutti - ma non di Jef, evidentemente -  proprio in previsione di improvvise urgenze di fuga e non per un vezzo curioso, una mania.
Miriam aveva parlato di certi ambienti legati al gioco d'azzardo, al consumo di stupefacenti, alla prostituzione d'alto bordo. Dino Fabbri aveva però prestato attenzione soprattutto alla parte finale del racconto.
- Mio padre gli ha dato molti più soldi di quanti non gliene abbia mai dati mio fratello - aveva detto lei.
Così Dino era venuto a scoprire che Theroux era foraggiato dall'anziano genitore Testoni per pilotare il rinnovamento comportamentale dell'ignaro Ferruccio. E in realtà ci era quasi riuscito. A Testoni padre premeva che il figlio si liberasse di Loretta e non si era fatto scrupolo di mettersi in contatto con il suo analista, facendo la sua proposta. Il caso lo aveva favorito mettendogli di fronte un farabutto. L'offerta era stata accettata e immediatamente il tema cruciale delle sedute di Ferruccio era diventato il suo matrimonio, il vincolo castrante che questo costituiva.
Per quanto l'opinione potesse essere condivisa, Dino Fabbri provò un improvviso afflato di solidarietà nei confronti di Loretta, inconsapevole e disarmato bersaglio di un complotto così privo di scrupoli.
- Lei però aveva subodorato qualcosa - aveva aggiunto Miriam -  Quel dottor Carso, che é il suo analista, forse l'ha messa in guardia. Non correva buon sangue tra lui e Theroux, c'erano stati degli screzi, cose di cui non siamo al corrente, comunque sta di fatto che lei qualcosa aveva capito.
- Così tuo padre pagava Theroux perché convincesse Ferruccio che il suo matrimonio era un'errore ?
Dino Fabbri era incredulo. Miriam annuì. Lui ripensò alle parole che Carlotta gli aveva riferito, dette da Theroux riguardo al loro matrimonio, poi si rivide seduto di fronte al padre di lei, nello studio rivestito di boiserie in noce, a Lugano.
Cercò di ricordare qualcosa di più del suo sguardo, del suo modo di ascoltarlo, della condiscendenza distratta con la quale aveva accolto le sue dichiarazioni di buona fede. E alla fine non si sentì di escludere che anche il padre di Carlotta avesse fatto la sua miglior offerta al dottor Theroux. La deontologia non riusciva ad entrare da nessuna parte in quella storia.
Sul portone di casa Miriam offrì le sue lunghe dita abbandonate alla stretta di Dino Fabbri e sgusciò dentro il taxi in attesa.
Lui si guardò attorno. Della Mercedes non c'era traccia.
Non si spiegava per quale ragione il racconto di Miriam gli avesse risvegliato l'istinto all'indagine, ma non vedeva l'ora di ritrovarsi in camera oscura.
Ci si ricacciò senza neppure cambiarsi, riempiendo frettolosamente le vaschette dei bagni di sviluppo e di fissaggio, sfilando negativi a caso dai listelli trasparenti dei contenitori.
Li posizionava sotto il raggio di luce dell'ingranditore ma l'immagine proiettata sul piano era immediatamente riconoscibile: scatti che aveva già sviluppato, da cui aveva tratto dettagli riquadrando,  alternati a scarti insignificanti.
Dopo aver insistito inutilmente si era arreso e aveva lasciato la camera oscura.
Semisdraiato su un divano del salone, con il solo ronzio lontano del battitappeto a tener compagnia alle sue supposizioni, Dino Fabbri rimuginava sulle parole di Miriam e rivedeva buona parte degli avvenimenti del suo soggiorno nella Vallée de Joux alla luce delle sue rivelazioni.
Aveva appoggiato sul tavolino di fronte a sé i fogli dei provini e li esaminava senza troppa convinzione, con l'aiuto di una lente d'ingrandimento.
Venne la donna di servizio e gli chiese dove volesse mangiare. Dino Fabbri la osservava perplesso, con il pensiero rivolto altrove.
- Qui - disse - non esco.
- In casa o in terrazzo ? - tagliò corto lei.
Lo fissava con subordinata sufficienza, in attesa di indicazioni. Aveva trovato il letto intatto, lo aveva sentito rientrare in tarda mattinata, rifugiarsi direttamente in camera oscura come se avesse voluto nascondersi. Lo fissava ferma sulla porta, secca e asciutta nel suo grembiuletto a fiori, osservando con distacco i fogli sparpagliati dei provini sul tavolino.
- Ah, sì, che scemo, mi scusi... allora magari in terrazzo - azzardò Dino.
- Bene, apparecchio - disse lei, girando sui tacchi.
Lui si chiese se per caso Rosa non avesse avuto istruzioni per segnalare i suoi movimenti a Carlotta, poi si rese conto che sua moglie non era il tipo da ricorrere a stratagemmi di quel genere. Provava però un vago desiderio di forzare il laconico distacco della donna.
Sul terrazzo non c'era un filo di vento. Il tavolo era apparecchiato all'ombra di una robusta tenda a righe gialle e arancione che colorava lo spazio protetto di un tiepido tono ambrato.
Rosa comparve con un cestello di frutta e l'appoggiò sul margine del tavolo. Dino Fabbri era in piedi, con il plico dei fogli di provini sotto un braccio.
- Lei ha già mangiato ? - chiese. Rosa scosse la testa.
- E non mangia ?
- Adesso. Un boccone in cucina.
Dino Fabbri tentò un sorriso accattivante.
- Non vuole farmi compagnia ?
La sorpresa di lei fu imprevedibile, vistosa, non durò che un istante ma Rosa fece in tempo ad arrossire e a confondersi prima di dire di no, che non era il caso.
Fu così categorica che Dino non osò insistere.
- Vabbe’... - mormorò.
La donna restava lì impalata, aggrondata in uno sguardo d'attesa, imbarazzandolo. D'istinto lui le porse i fogli dei provini.
- Mentre mangia, se ha voglia, dia un'occhiata qui. Se le pare di vedere una faccia da assassino quando mi porta il caffé me lo dice. Un caffé insieme alla fine lo possiamo prendere, o nemmeno quello ?
Lei questa volta contenne il proprio stupore, raccolse malvolentieri i provini ed annuì, prima di andarsene.
Per il resto del pasto Dino Fabbri non fece che chiedersi cosa potesse aver pensato la donna di quel suo comportamento bizzarro. Si diede dello stupido, convinto che lei lo avrebbe interpretato come un tentativo di rabbonirla, di farla sua complice, dichiarandosi così automaticamente colpevole di qualcosa per il solo fatto di non aver dormito a casa la notte precedente.
Quando Rosa alla fine ricomparve lui aveva deciso di dirle che aveva scherzato.
Lei portava un vassoietto con una chicchera e un paio di tazzine. Lo posò sul tavolo senza dir nulla e rientrò. Ricomparve poi con una zuccheriera e i fogli dei provini.
- Quanti ? - chiese, affondando il cucchiaino nello zucchero.
- Due, grazie - rispose Dino, leggermente stupito della flemma di lei.
Rosa gli si sedette di fronte e si accostò compuntamente la tazzina.
- Io lo prendo amaro - disse. Poi fissò i fogli dei provini.
- Allora ? - chiese Dino Fabbri, abbozzando un sorriso di distacco divertito, indicandoli col mento.
Rosa alzò le spalle, lo guardò per un istante poi allungò il braccio esile e nodoso e gli spinse di fronte un foglio.
Il suo indice leggermente deforme si posò su un primo piano di Theroux e poi si ritrasse frettolosamente.
Dino la guardò. Lei distolse gli occhi e si portò alle labbra la tazzina del caffé.
- Perché proprio lui ?
- Me lo ha chiesto lei - rispose Rosa.
- Sì, ma...
- Mi ha detto se vedevo un assassino.
- Sì, insomma, una faccia da assassino...
- Lui - disse Rosa, senza aggiungere altro.
- Lui é la vittima - si spazientì Dino Fabbri, colpito dall'improvvisa, rupestre, sicurezza della donna, che fino a mezz'ora prima non aveva rappresentato che una presenza fantasmatica, dedita a irrilevanti faccende domestiche.
- L'hanno fatto fuori ? - chiese lei. Dino annuì.
- Magari se lo meritava...
Lui trasalì.
- Ma lei sa tutta la storia ?
- Che storia ?
- Del dottore, dell'omicidio. Le ha raccontato tutto mia moglie ?
Rosa lo guardò con una meraviglia guardinga, come se all'improvviso si fosse ritrovata di fronte a un demente.
- No, io...ma la signora sta bene, sì ?
- Certo, certo. Ma davvero non le ha detto quel che é successo ?
La donna rivolse a Dino un'occhiata che gli segnalava l'enormità dell'ipotesi che andava formulando, e cioè che una signora come Carlotta potesse informare di alcunché di personale dei sottoposti.
- Così lei ci ha visto una faccia da assassino ?
Dino indicò il foglio dei provini del secondo rullino scattato nella radura. Rosa annuì.
- E in base a che cosa ?
Rosa alzò le spalle.
- Ho un dono - disse.
Dino Fabbri sorrise.
- Un dono ?
Lei assentì.
- Allora forse ce l'ho anch'io. Quello di capire chi ce l'ha, se no come mai le ho chiesto di guardare queste foto ?
Rosa sembrava indifferente all'evidente ironia del tono di lui.
- Magari sì - rispose senza scomporsi - anche se non succede mai per caso.
- Cosa intende ?
- Che non c'é niente che succede per caso.
- Cioè io le avrei chiesto di guardare questi provini pensando che fosse per gioco e in realtà non sapevo di fare una mossa predestinata, una cosa del genere ?
- Più o meno...
- Però sta di fatto che lui é il morto, non l'assassino.
- Può essere tutti e due - disse Rosa, dopo un momento di silenzio.
Dino Fabbri cercò di recuperare il controllo della situazione.
- Da quanto tempo lavora per mia moglie ? - chiese.
Rosa abbozzò il primo sorriso che lui le avesse mai visto sulle labbra. Era un sorriso bonario, sapiente, intenso anche se solo accennato.
- La signora sa - disse.
- Del dono ?
Rosa annuì con un certo compiacimento.
- Però non le ha detto nulla di quello che é successo lassù.
- Mi ha chiamata per dirmi che lei tornava.
- E nient'altro ?
- La signora sa che devo avere davanti le persone...
- In che senso ?
- Per capire. Devo vederle. - Rosa alzò le spalle come a dire che la cosa era semplice ma richiedeva elementi precisi.
- Quindi anche le foto ? - chiese lui, accennando ai fogli dei provini.
- Certo.
- Sarà per questo che Carlotta non le ha detto nulla ?
Rosa non rispose.
Dino Fabbri era così sconcertato che si era improvvisamente sentito venir meno le energie, come in vista di un inatteso assopimento.
- Prenderei un altro caffé - mormorò.
Rosa si allontanò e lui chiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale della poltroncina da giardino.
Così non era bastata l'immersione nella delirante tranquillità della Vallée de Joux, la scoperta dell'imprevedibile e polimorfa identità della donna che era sua moglie, l'esperienza straniante dell'aver fiancheggiato lo svilupparsi di un delitto, e nemmeno il grottesco erotismo della notte precedente, che se non altro aveva avuto il vantaggio di condurlo alle rivelazioni sul conto di Theroux. Ora si aggiungeva questo tocco surreale, con una cameriera insignificante che assurgeva a ruolo di veggente e che adesso ricompariva nella sua minuta austerità dolente, con una nuova chicchera di caffé.
Mai, fino a quel momento, la sensazione di estraneità della quale Dino Fabbri risentiva da un pezzo, si era coniugata così irresistibilmente con il desiderio di prendere il largo.
- ...comunque anche qui - stava dicendo Rosa.
Lui allungò la mano ad occhi socchiusi verso la tazzina di caffé.
Lei stava indicando altri fogli di provini.
- Anche qui c'é qualcosa.
Dino Fabbri si sporse in avanti con uno sforzo più mentale che fisico.
Rosa aveva isolato altri due fogli.
Tracciava con l'indice nodoso ghirigori incerti attorno ad alcuni fotogrammi.
- Qui - disse, e non c'erano che l'oscurità della vegetazione e il chiarore dei fari delle auto sullo sfondo della panca dove Theroux si teneva la testa tra le mani.
- Comunque non si capisce proprio bene. C’entra col morto, questo si.  concluse lei, raccogliendo le tazzine.
- Un solo assassino allora ? - cercò di ironizzare Dino Fabbri.
Rosa gli lanciò una breve occhiata di sotto in sù, posò le tazzine, scartabellò tra i fogli. Pareva incerta. Poi si decise, sfilò uno dei primi fogli e indicò senza esitazioni il viso adolescente di Claire Lhermann sul terrazzo dello stabilimento degli zii, a Neuchatel.

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