mercoledì 9 aprile 2014

I MORTI NON SANNO NULLA 22




                                      VENTIDUE


Nel buio della camera oscura Dino Fabbri scrutava l'improvvisato piano di proiezione sulla parete, per assicurarsi della messa a fuoco.
All'inizio aveva pensato di sfruttare l'esperienza giovanile, fissando l'ingranditore su un praticabile con un accrocco alla Gambarino, poi si era limitato a ruotarne la testa di 90° e proiettare il raggio di luce contro la parete più lontana.
La verifica della messa a fuoco di piccole parti di fotogramma, su quella distanza, con negativi 24x36, era estenuante, sempre incerta.
Dino Fabbri, inizialmente turbato da quello che gli pareva un repentino calo di vista, ricordò poi che la maggior parte dei negativi di Gambarino erano  dei 6x6 o addirittura dei 6x9, e offrivano nitidezze e campi ben più agevoli. E ricordò anche Luong. Con un'improvvisa e intensa tenerezza, stuzzicata dalla memoria dei suoi abbracci.
Per un momento gli venne voglia di piantar tutto e precipitarsi a cercare il suo numero sull'elenco telefonico, poi pensò che di lei non conosceva che il nome.
Il giorno del suo matrimonio con Carlotta, con le poche parole che aveva scambiato con Gambarino aveva chiesto anche di lei ma quell'altro era stato laconico, aveva vagamente accennato ad uno studio di massaggi Shiatsu o qualcosa del genere, dove Luong era andata a lavorare.
Dino Fabbri non scartò l'idea di cercarla, ma decise di lasciarla raffreddare e tornò a cimentarsi con la messa a fuoco.
Stava ristampando dettagli dello sfondo della radura nel bosco di Theroux, là dove gli era parso che l'indice di Rosa avesse esitato più a lungo.
Quasi sempre però non c'era che un'indistinta macchia scura di vegetazione, oppure gli aloni sfocati dei fari delle auto, nei loro saltuari passaggi sulla strada del versante opposto.
Dino si rassegnò a sfilare la striscia di negativo dalla testa dell'ingranditore e a passare ad altro.
Con un ultimo scrupolo invece di estrarlo lo fece scorrere lungo l'invito, in modo che ogni fotogramma ripassasse proiettato sul muro di fronte, con quel taglio molto ravvicinato che stava sfruttando dopo aver sostituito l'ottica normale dell'ingranditore con una più spinta, alla ricerca di dettagli che non trovava.
Si fermò ad uno degli ultimi fotogrammi.
C'era forse qualcosa laggiù, dove la strada pareva allargarsi.
Dino Fabbri non ricordava d'essersi spostato quella sera nel bosco, anzi, nella memoria gli era rimasta impressa l'idea d'essersi immobilizzato come un animale in agguato, eppure quell'inquadratura testimoniava il contrario. Lo spostamento, anche se di pochi metri, c'era stato, e permetteva alla prospettiva di avere in campo un frammento di strada che era libero di vegetazione per un breve tratto, là dove s'intravedeva una specie di piazzola, forse un punto panoramico.
Su quella piazzola, c'era qualcosa. Verosimilmente un'auto ferma, una macchia troppo indistinta per assumere contorni precisi, nonostante gli sforzi di Dino Fabbri.
Sfilò il negativo e lo ripose, deluso, nel listello del contenitore.
Che cosa ci avesse visto Rosa era impossibile sapere; di fatto non si riusciva a ricavarne nulla.
Si risolse quindi ad affrontare i negativi del rullino dell'ultima sera senza eccessiva convinzione, già stizzito con sé stesso per essersi precipitato a verificare le illazioni dettate dai probabili vaneggiamenti di una donna di servizio.
Era anche determinato a telefonare in serata a Carlotta per chiederle chiarimenti riguardo a Rosa.
Il pensiero di sua moglie gli sollecitava sentimenti contrastanti: il distacco con cui lo aveva trattato negli ultimi momenti del soggiorno a Vaulion gli faceva desiderare di trovare un varco attraverso il quale raggiungerla per ferirla, e nello stesso  tempo la debolezza che Dino intuiva in lei gli suscitava una specie di intenerita indulgenza.
I listelli d'archivio dei negativi erano ordinati secondo una progressione numerica e in sequenza riferita alle date.
Dino Fabbri ripose quelli della radura di Theroux pensando a sua moglie.
Infilandoli nel classificatore adocchiò quelli immediatamente precedenti: sempre la radura nel bosco, ma con Carlotta seduta sulla panchina.
Li estrasse istintivamente, spinto più che altro da un sorpreso desiderio di rivedere il viso di lei. Lo ricordava con un'espressione particolarmente intensa in alcuni di quei fotogrammi.
Non modificò la posizione della testa dell'ingranditore e fece scorrere lentamente i negativi sotto il raggio di luce: il volto di Carlotta campeggiò enorme contro la parete, poi apparve in figura intera, quindi di nuovo in primo piano.
Dino Fabbri agiva delicatamente sulla rondella della messa a fuoco e l'immagine di lei, nonostante l'aspetto sempre un po' macabro della sua proiezione negativa, sembrava affiorare con una delicatezza fantasmatica attraverso la parete.
Dino decise di stampare una di quelle immagini, di cui aveva già parecchie versioni, per un accesso di sentimentalismo.
Fissò un foglio di carta sensibile 50X60 al muro con del nastro biadesivo, scelse un fotogramma in cui lei sedeva a figura intera, rivolta a lui con nello sguardo un disappunto un po' infantile, stabilì con approssimazione il tempo di esposizione e proiettò il raggio di luce che trasportava Carlotta, attraverso la stanza, ad impressionare la carta.
Se ne accorse immediatamente, non appena accese la luce, mentre ancora la stampa offriva contorni leggermente deformati dal bagno di fissaggio: dietro Carlotta, sul versante opposto al bosco, nello spazio libero di vegetazione in corrispondenza della piazzola c'era un'auto ferma. Come nella fotografia con Theroux scattata ore dopo.
Si intuiva soltanto ma c'era. Era sfuggita alle stampe precedenti, tutte di misura inferiore. La luce tersa del dopo temporale offriva forse la possibilità di vedere qualcosa di più.
Dino Fabbri ci lavorò per più di un'ora. Avrebbe desiderato una di quelle apparecchiature computerizzate che aveva visto al lavoro in un film americano, che individuavano il numero di targa di un'auto partendo da una foto scattata da un satellite.
Sfruttò comunque al meglio l'attrezzatura di cui disponeva e pur non individuando la targa, che peraltro era mascherata da un cespuglio basso, riconobbe l'auto.
Passò quindi ad analizzare i negativi dell'ultima cena, chiedendosi se davvero Rosa non avesse un "dono".

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