venerdì 7 ottobre 2011

MAPPAMONDO 3







 
Cile,
interminabile fettuccia dolente
tra il dorso andino e il mare scontroso.
Allende sul portone della Moneda
scruta il cielo,
con in capo l’elmetto,
il Thompson come una stampella,
e uno strano maglione da vacanza
sul petto.
Questo è quanto so, del Cile,
con la leggenda
delle ragazze di Vina del Mar,
che un amico mi ha detto
-    ma avevamo vent’anni –
son le più belle del mondo.













Gran Bretagna,
dal grugno stizzito
di pagliaccio invecchiato
che sbraita ad oriente.
La patata rubizza del naso
col porro di Norwich nel mezzo.
La bocca ubriaca di Falstaff,
dal labbro pendulo,
con su Ramsgate come un neo violaceo.
Un frusto berretto frigio
eretto sul capo:
scozzese.
Altro grugno mi han rivelato,
nel contorno a occidente,
 di maiale in corsa  all’Atlantico.
                    C’è stato un mio tempo lassù,
di solitudini,
e maliconiette,
 nel disagio
dell’idioma mai appreso,
eppure di qualcosa ho nostalgia.
D’un che di mai visto.
Della sciarpetta al vento
- Cornovaglia al collo del pagliaccio -
e dell’erica sulle colline del berretto.










New York.
E uno pensa
alla lingua di sauro protesa
tra l’Hudson e l’East,
armata in cristallo cemento ed acciaio,
irrorata d’indomite arterie
-    siano Broadway o Park Avenue –
e venuzze trasverse,
capillari infiniti,
da Bowling Green all’ 87a.
Così pensa, chi pensa N.Y.
Mica pensa allo strozzo di Yonkers,
che da lì dilaga in ventaglio
a far posto al suo stato
-    New York –
che s’arrampica ai laghi
e agli Adirondak,
in un enfasi mesta d’amiche bruttine,
Schenectady, West Seneca, Rome,
tappezzeria
al gran ballo della Mela.





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