sabato 1 ottobre 2011

ETEROGENESI DEI FINI (MAPPAMONDO 1)

Mi sono messo alla ricerca delle fotografie che corredavano la parte scomparsa - e ripristinata solo nella sua componente scritta - di "Sei giorni fuoristrada",  il racconto in un vecchio post del 20 novembre 2010.
Non le ho trovate né sull'hard disk interno né in quelli esterni, e allora mi sono messo a indagare tra i CD sui quali ho archiviato vecchio materiale.
Io ho la presunzione di essere una persona piuttosto ordinata, ma l'esplorativa tra i CD mi suggerirebbe il contrario. 
Naturalmente di quelle foto non c'è traccia, e allora dovrò cercare le stampe e scansionarle. Insomma, affrontare un impegno degno di miglior causa. Vedremo.
Però, in uno di questi CD ho trovato "Mappamondo".

Come tutti, credo, ho avuto in adolescenza una mia breve stagione di "pruderie" lirica, inanellando composizioni fortunatamente irrintracciabili. Poi, nei primi anni 2000, ho subito un rigurgito di urgenza poetica. E' durata un mesetto, più o meno, tra contagio, fase acuta, convalescenza e guarigione, mi auguro definitiva. 
Il risultato è tutto raccolto nelle 21 composizioni di "Mappamondo" e nelle 5 di "Mappe catastali". Giunte assopite, indenni e ignorate fino ad oggi pomeriggio.
L'intenzione efferata è quella di centellinarle nel mio blog.

Soprattutto per Mappamondo il tenersi a portata di mano un Atlante secondo me può aiutare parecchio (ammetto ovviamente di essere stato influenzato, al limite del plagio concettuale, dalla lettura de "Il mio primo atlante" di Primo Levi).
Ho anche intenzione di corredare il tutto con fotografie che, ovviamente solo a me e a pochissimi altri che forse mai passeranno di qui, risultano pertinenti.
Vado.



AMERICHE




 

 

Il Nord, un gran trofeo
dall’alto bordo di cristallo,
ghiaccio canadese silente
e sferza di neve al vento
e poco popolo appartato.
La base della coppa
è argento di quarantotto Stati,
che splendeva dei lucori
amabili e abbaglianti
dei sogni
-    di molti dei loro e nostri sogni –
ora ossidato d’alterigia,
opaco,
da chiedersi se quel che pareva argento
altro non fosse
che ferro temerario
che non sa della ruggine.
Lo stelo è fragile,
creta rossastra
di Messico corrotto e brulicante.
Un picciolo di nazioncine bistrattate
lega al Sud,
carnosa foglia lanceolata,
pendula sull’aggriccio
scheletrico
d’un antartico dito.
Il perenne presagio
d’un’intrusione che incombe,
un’ombra dal nord,
gl’ impoverisce il sole.
 L’America disprezza le Americhe,
è questo il gran peccato.










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