sabato 15 dicembre 2012

11 SETTEMBRE 1972


da sinistra: Guido, Riccardo, Pit



Silverio mi ha spedito un nuovo malloppetto di fotografie.
Testimoniano una specie di jam session tenuta da Stefano Namari, a casa di sua madre, a Torino, l'11 settembre 1972.
Stefano ci aveva registrati su un Sony verticale a bobine - ne avevo ed ho tuttora uno identico, inutilizzato - ma di quella incisione si è perduta presto traccia.
Già molti anni fa avevo cercato di ottenerne una trascrizione, senza risultati.
Non ricordo assolutamente che cosa avessimo suonato, sono soltanto certo che dobbiamo aver sviluppato un baccano infernale, ad un pianterreno in una via pacificissima del quartiere delle villette della Crocetta, anche in ragione della formazione piuttosto eterodossa, che vedeva due chitarre e due batterie, mah...
Non ci avevo più pensato e mi ero anche dimenticato chi fosse presente.
Avevo da sempre, di quel giorno, solo un paio di fotografie.
In una io, un po' triste, alla batteria...






...e accanto ad una finestra, con Valeria, di fianco a noi Luisella...







Penso che ci fosse anche Speedy, che non mancava quasi mai.
Gli scatti di Silverio però mi hanno restituito qualcos'altro di quel giorno. 
Proverò a spiegarmi anche se sono quasi certo che sarà possibile fraintendermi. Pazienza.
Perchè improvvisamente, di fronte a quelle immagini, ho provato una specie di disagio. Ovviamente a posteriori.
Guido De Petri era un bravo batterista, sicuramente molto più bravo di me, ma non lo conoscevo quasi per nulla, la rete mi dice che oggi è così.





Guido quel giorno



Joe Zangelmi era un buon chitarrista solista, per me rimasto sempre indecifrabile.



Joe



Stefano Namari è stato per un certo tempo il mio commercialista. 
Detta così può apparire normale, ma se si va al dettaglio - con lui che già allora si impegnava in un'irresistibile ascesa socio economica pienamente realizzata, e io che già allora manifestavo una definitiva incapacità a dare peso al censo e al ruolo sociale - suona decisamente grottesca.



 Da destra: Stefano, dietro di lui il Sony,
Joe e, un po' sfocata, Menena



Riccardo Donna suonava la dodici corde e, probabilmente, cantava.


Riccardo e Joe



Solo ora mi accorgo di Menena sullo sfondo. Mi ero davvero dimenticato che ci fosse, anche se era normale, perchè allora stava con Stefano.



Menena sullo sfondo e Joe



Non erano trascorsi che sette mesi da questo nostro momento, a Sauze, al Charlie Brown.
 

Menena e Pit - 19 febbraio 1972.
C'è una foto molto simile
nel post del 21 dicembre 2010.



Pero' in lei la diversità dalla foto precedente, pur se sfocata, è palpabile.
Così come, del resto, anche la mia.






Che faccia, eh ?
E allora ho cominciato a chiedermi come mai, e mi sono reso conto che non poteva solo trattarsi dell'improvvisa rivelazione di essere un batterista mediocre (una sindrometta alla Pete Best, e vada pure per la relativa omonimia).
Io quel giorno, sicuramente senza esserne consapevole, sapevo di essere tra persone con una visione della vita e della relazione con gli altri diversa da quella che ho citato nel post precedente, prendendo a pretesto Garcia Marquez.
Il mio non è un giudizio, perchè alcune di quelle persone mi vanno bene anche così, ma è un'inevitabile constatazione.
Perchè o si è in un modo o nell'altro.
Io sono nell'altro, tutto qui.
Cresciuto tra persone che, per la maggior parte, non erano così, nel senso che trovavano naturale guardare qualcuno dall'alto in basso. 
Erano state addestrate a quel tipo di visione.
Come dicevo non so come sia oggi Guido, ma se guardo Luisella, che non c'è più da tanti anni, non posso impedirmi di pensare a quel suo padre terribile, arrogante e anche, credo, sadico, che del guardare gli altri dall'alto in basso, e possibilmente ferirli, aveva fatto uno stile di vita, secondo me in qualche modo non estraneo alla prematura scomparsa della sua tenera, disarmata, tormentata figlia.
So di Joe, e immagino che questi non siano più problemi che lo toccano, se mai lo hanno toccato, e vedo alle cene di rimpatriata Valeria, di cui in quei giorni ero innamorato, e  con la quale oggi mi riesce difficile  comunicare in un modo che non sia superficiale, mondano, un po' artefatto, come se l'esercizio più elegante di attività relazionale dovesse necessariamente limitarsi a una risatina di sufficienza. E chissà, forse ha ragione lei.
E poi Stefano, Riccardo, Menena.
Trovo sempre comunque affascinante che si possa essere così. 
Non so esattamente cosa siano adesso perchè non li vedo da tempo ma, in particolare di Stefano e Riccardo, ho il ricordo preciso di una determinatissima aspirazione all'affermazione di sè, che non prescindeva dalla sottovalutazione degli altri, ma in alcuni casi forniva il piedistallo su cui collocarsi. 
Sono due tipi sicuramente molto in gamba, molto bravi nel loro mestiere e probabilmente sui campi da golf, ma Garcia Marquez insegna all'università dell'Avana e loro mi sembrano più adatti alla Florida.
La distanza è questa. Poche miglia ma di mare insidioso, fitto di squali. Milioni di miglia che separano modi di sentire coltivati da ambedue le parti con convinzione.
E affetto, malgrado tutto, che su quel tratto di mare insidioso può, in qualsiasi momento, lanciare un ponte che conduca ad una veranda, dove bere una birra insieme e ricordare quella jam session,  di quando tutto doveva ancora avvenire. Almeno così la vedo io.
E poi Menena.
L'ultima volta che l'ho incrociata, di sfuggita, era molto distaccata, con una specie di austera distrazione sul viso senza sorriso.
Non ricordo dove fossimo, ma si è trattato solo di un passaggio, di un'immagine che, chissà perchè, come altre e per le stesse imperscrutabili ragioni, si è trovata una nicchia nel magazzino della memoria e lì sta.
Ovvio che per me, accanto a quel viso che quasi non riconoscevo, risulta inevitabile associare quello delle due fotografie del 19 febbraio 1972, che ritraggono due che sentono che c'è qualcosa nell'aria - e si vede - e che prendono la cosa con allegria.
A volte, si sa, il ricordo di un'unica notte definisce un criterio di complicità, di tenerezza, di nostalgia che si alimenta proprio della sua unicità. 
Per concludere, ho continuato a cercare di trovare il mio strumento musicale ideale senza riuscirci (la cativa lavandera trova mai la buna pera). 
Ho strimpellato, ritmato, soffiato e, infine, ragionevolmente rinunciato, anche se non è da molto.
Ai concerti vado ancora, e i musicisti - tutti - mi fanno sentire un grande invalido. 
Nella prossima vita mi ci metterò d'impegno.





Nessun commento:

Posta un commento