giovedì 26 aprile 2012

LE FINESTRE DI DESTRA, PROPRIO SOPRA L'INGRESSO (quarta e ultima parte)




Del Poz era attraente ma non al punto da permettergli di far correre rischi alla serenità della sua esistenza.
Decise con fulminea risolutezza di liberarsene, troncare, dissuadere. La figura di Corrado veleggiò opaca sul suo burrascoso orizzonte immaginario, ma a lui riservò una possibilità. In fondo aveva da perdere quanto lei, e più di lei era terrorizzato dall'idea che qualcosa della loro relazione dovesse minimamente trapelare, senza contare l'incommensurabile vantaggio dell'assoluta assenza di coinvolgimento affettivo da parte di ambedue.
- Sono una troia - pensò di sé con coraggiosa allegria e decise che all'indomani sarebbe passata in agenzia all'ora di colazione, e se fosse stata un'altra giornata di pioggia avrebbe indossato l'impermeabile senza nulla sotto, come gli esibizionisti delle barzellette illustrate in quei vecchi numeri di Playboy che Riccardo collezionava fanaticamente.
Lo avrebbe spalancato davanti alla scrivania di Corrado; da fargli venire un colpo.
Mentre Renata si trastullava con questa fantasia spingendosi pigramente verso ipotesi impraticabili, fino a scopare in vetrina, suo padre si era assopito.
Anche nel sonno il suo viso mostrava i lineamenti di un sereno distacco aristocratico, lo stesso di sua sorella Marina, che del padre era una fedele replica al femminile, così come del resto Carlo era la copia della madre e Giulio, indeciso, precario, altalenante, non era che l'ibrido meno riuscito. La composizione dei caratteri dei genitori nel suo caso si era squilibrata, seguendo un disegno balzano.
Renata prese a riflettere su quest'aspetto: sull'incontrollabilità dell'indirizzarsi dei patrimoni genetici, sul caotico e microscopico andirivieni del loro coniugarsi. E come per assecondare un richiamo si sporse un poco di lato a guardarsi nello specchietto.
Ciò che era sempre stato noto, e considerato blandamente da tutti come una piacevole stravaganza, si rifletté ora nel rettangolo del retrovisore come una rivelazione.
Lei non assomigliava né a suo padre né a sua madre.
Dicevano che della madre avesse le famose invidiabili gambe. Per il resto nulla.
Quand'era bambina amici e parenti dicevano " Ma guarda come assomiglia allo zio Vittorio " che poi non era davvero uno zio ma un amico di famiglia, morto in un incidente quando lei era ancora adolescente.
Dalla sua morte, probabilmente nel timore di incorrere in accostamenti macabri, tutti avevano smesso di sottolineare quella somiglianza.
Renata si riosservò con l'attenzione che si riserva ad uno sconosciuto attraente: il taglio un po' obliquo degli occhi che garantiva quella sua perenne espressione di vulnerabile stupore, l'accenno di efelidi su una carnagione lattea, un nasetto all'insù che non si rintracciava neppure risalendo ai bisnonni, i capelli biondi in una famiglia di castani irriducibili. E rivide su quel terrazzo a Santa Margherita lo zio Vittorio seduto sul muretto che sorridendo diceva:
- Non é nulla, non dar retta. Stasera ti porto io a una festa - a lei decenne, in lacrime per una delle rarissime occasioni di contrasto con padre e madre.
Non ricordava le ragioni del pianto, ma quella serata sì.
Lo zio Vittorio si era imposto con facilità sui genitori: la mamma aveva tentato un po' di disorientata resistenza, suo padre si era rapidamente disinteressato della cosa.
Renata rivide all'improvviso, o comunque ebbe la pretesa assoluta di ricordare, lo sguardo che era intercorso tra lo zio Vittorio e sua madre.  Mentre in uno stato vagamente ipnotico seguiva il flusso di auto che si irreggimentava in direzione del centro, vide che tra loro due era passato qualcosa che conosceva: uno sguardo che lei e Corrado si erano scambiati nei momenti in cui, in mezzo agli altri, non potevano permettersi che quel frammento clandestino per comunicarsi il reciproco desiderio.
- Porca puttana... - pensò, osservandosi ancora con un'occhiata fuggevole nello specchietto e rivolgendola poi al padre, che con un sussulto si svegliava.
- Sarebbe pazzesco... - pensò Renata.
- Mi sono addormentato - disse il padre.
 - Ah si ? - rispose lei fingendosi sorpresa - Non me ne ero accorta. Senti, qui mi sa che é in arrivo un altro temporale. Forse é meglio se rimandiamo la nostra passeggiata.
- Certo, certo - disse lui come rincuorato.
Arrivarono sotto casa e lei lo accompagnò al portone.
- Domani ti chiamo - disse. Lui la guardò tenendole una mano, senza rispondere.
- E' stata una bella giornata -  disse lei  - istruttiva - e rise.
Rise anche il padre e soggiunse " Mi raccomando ".
- Sta tranquillo. E' un segreto.
- Brava.
- Salutami Deianìra - disse ancora Renata con una smorfietta d'ironica complicità. Lui fece cenno di sì con una risatina e scomparve oltre il battente che si richiuse pesantemente.
Renata osservò perplessa il cielo e tornò alla macchina con un vago senso di languore.
L'intero pomeriggio era in attesa di essere affrontato con un impegno qualsiasi e lei non aveva voglia - in realtà le pareva di non avere soprattutto la forza -  di prendere non una decisione, ma almeno una direzione.
Si sentiva svuotata, tranquilla: avrebbe potuto dormire, ma non certo lì, in macchina, sotto casa di suo padre.
Girò la chiavetta d'accensione e con un sospiro di volonterosa rassegnazione si avviò.
 Raggiunse il centro e parcheggiò nel cortile interno dell'agenzia di viaggi di Corrado. Era l'ultimo posto dove avrebbe voluto andare ma era anche l'unico verso il quale si era sentita sospinta, dopo aver tentato svogliatamente la strada di casa.
Mirella sedeva sul bordo della scrivania, con la cornetta del telefono ancorata alla spalla e lo sguardo fluttuante sul monitor di un computer sul quale digitava complessi spostamenti di tabelle e diagrammi.
Rivolse a Renata un cenno ed un sorriso ammiccante e le fece un gesto per invitarla a sedere. Rimase ancora in ascolto poi concluse la telefonata con un'incomprensibile frase di commiato in tedesco e riagganciò.
- Racconti prima tu o racconto prima io ? - attaccò, rivolgendo a Renata uno sguardo da lupa.
- Che cosa ? - chiese Renata con stupore fiacco.
- Be' l'altra sera no ? Daniele ! Da Agostino, e dai !
- Daniele ? Chi é Daniele ?
- Ma come chi é! Quel tipo che lavora da voi ! Cos'é che é...un ingegnere mi pare no ?
- Del Poz ?
- E che ne so ! Sì... mi sa di sì, mica gli ho chiesto la carta d'identità.
Renata ricapitolò gli avvenimenti della serata e dubitò per un attimo della discrezione di Del Poz, ma il dubbio sfumò sulle parole roche di Mirella.
- Era rimasto in terrazzo con te no ? Ma non ti ricordi ? Vabbe' che eri un po' bevutella, ma insomma...
- No, no, ho capito. Del Poz. E allora ?
- Be', non so se avevi colto la situazione...-
- Sì, c'ero arrivata.
- Ecco. Poi lui é rimasto lì basito. E quando é rientrato sembrava uno zombie. Ho faticato per convincerlo a salire a bere una cosina quando mi ha accompagnata a casa. Deve essere uno di quelli non scopare dove mangi e quando s'é visto la moglie del capo che lo beccava in flagrante é andato in confusione. Cosa t'ha detto ?
- A me ? E quando ?
- Ma mentre eravate là fuori no ! Dopo che io sono rientrata. Siete stati lì almeno mezz'ora !
 - Mah...nulla. Si é scusato.
Mirella se ne uscì con una delle sue risate profonde.
- Buona prestazione comunque - disse accendendosi uno di quei sigaretti lunghi e striminziti che fumava in continuazione.
- Ma cos'é, ebreo ? - chiese sbuffando il fumo di lato.
- Boh... - a Renata la domanda parve incongrua.
- No...siccome é circonciso, e ha sto cognome.
 - E' valdostano - disse Renata - credo sia un cognome valdostano.
- Ah... - concluse la Tazzòli.
 - Che fosse circonciso invece non lo sapevo - disse Renata ridendo.
- Notevole... - ammiccò Mirella con un distaccato assenso d'apprezzamento - ...veramente notevole. E tra l'altro deve essere un sentimentalone. Cos'é ? Sposato ?
- Non mi risulta - rispose Renata, distratta dal pensiero di zio Vittorio che si riaffacciava alla memoria.
- Perché io li riconosco subito quelli che schiattano dalla voglia ma si reprimono perché i sensi di colpa poi se li mangiano vivi. E lui é uno. Se non é sposato avrà una fidanzata da qualche parte. Tu non ne sai nulla ?
- Mirella io proprio non lo conosco. So che lavora da poco in azienda da Riccardo, ma l'avrò visto due volte nella vita. Cosa vuoi che ne sappia ! - mentì Renata.
 La Tazzòli alzò le spalle sfumacchiando.
- Perché é un tipo che mi piace. Uno che quando si decide a mollare gli ormeggi é sfrenato, non so se mi spiego...
- Mah...a me pare una specie di culturista timido. Non capisco cosa ci trovi - mentì ancora Renata.
- E no cara! La prossima volta guardalo bene. Ha un culo splendido, due spalle così, ma é un fondant. Tenerissimo. Quando ce l'hai sopra abbracci un... non so...e ti tira su con due dita, ti mette dove vuole, ti infila con una delicatezza che non sai nemmeno tu...
Renata la interruppe con uno sbuffo.
-  Sì, si, ti seguo, ma i dettagli un'altra volta eh ? Oggi proprio non é giornata...
La Tazzòli tacque, leggermente stupita, abituata com'era all'ascolto incondizionato che Renata offriva ai racconti minuziosi delle sue avventure.
- Scusami ma ho avuto una giornataccia. Prima o poi te la racconto, ma adesso vado...Corrado non c'é ?
- No, é fuori  - disse Mirella.
- Salutamelo - concluse Renata. Si sporse a baciare la Tazzòli su una guancia ed uscì.
Seduta in macchina decise di tornare a casa, ingoiare un Tavor - cosa che non aveva mai fatto -  e sistemare così la giornata. La prospettiva la incoraggiò e si mosse addirittura con un accenno d'allegria.
C'erano state le emozioni notturne di cinque giorni prima e quella cosa con Del Poz, che lei aveva provocato come un'indemoniata, e poi oggi, con suo padre: una giornata che avrebbe dovuto essere come scovare in fondo a un baule gli orsetti di pelouche dell'infanzia e che si era tramutata invece in un ginepraio, con la storia della Chiamberlando e quel tarlo che lei ora ricacciava in continuazione, dello zio Vittorio. Insomma, era esausta.
- Figlia dello zio Vittorio...- mormorò a bassa voce, guardandosi per l'ennesima volta, fuggevolmente, nel retrovisore.
All'improvviso vide nitidamente sua madre tuffarsi dagli scogli con quel bel volo pulito, ad angelo, che aveva imparato bambina, diceva lei, guardando i film di Esther Williams.
Sua madre era stata un'eccellente tuffatrice ed una nuotatrice da traversata della Manica.
Renata ricordò che se li trascinava appresso, lei e i fratelli, in nuotate interminabili, anche temerarie, e che loro seguivano come anatroccoli, fiduciosi e fierissimi.
Dopo quel tuffo sua madre era riemersa come una sirena e lo zio Vittorio l'aveva raggiunta. Renata rivide la loro risata muta, che scintillava d'acqua sotto il sole accecante che inonda il ricordo di tutte le giornate dell'infanzia.
Quei brandelli di memoria di loro due ora li ricuciva in un insieme che sembrava legittimare il suo sospetto.
Li ricordò uno accanto all'altra a bordo di un motoscafo, in un vecchio filmetto a 8 millimetri, che rivolgevano smorfie all'obbiettivo e si muovevano con gesti accelerati.
Il seno generoso di mamma, evidenziato dalle coppette a balconcino guarnite di pizzo dei bikini d'allora, premeva contro il braccio abbronzato dello zio Vittorio, e lei nascondeva il viso tra le mani, ridendo.
E ancora quella foto/cartolina in bianco e nero, con il rilievo, sul margine inferiore, della scritta che indicava nome e indirizzo del laboratorio fotografico.
Una foto notturna, scattata sulla terrazza di un locale affacciato sul mare.
In altre fotografie della stessa serata i suoi genitori, schierati con un gruppo d'amici, ridevano troppo con lo sguardo all'obbiettivo, ma in quella c'erano soltanto loro due. Ballavano uno slow
Di sua madre non si vedeva che la schiena, lasciata nuda dall'abito da sera, e un frammento di profilo, ma lo sguardo dello zio Vittorio - quello che chiaramente le rivolgeva e lei accoglieva - quello era uno sguardo d'amore.
E Renata scoprì con meraviglia non solo d'averlo sempre saputo, ma di aver saputo forse, per un impulso del sangue, anche qualcosa di più.
Di quella fotografia infatti, di cui esisteva un'unica copia, abbandonata in fondo a un cassetto della casa di Santa, lei si era appropriata alla fine dell’estate successiva, conservandola e scrutandola ogni tanto senza sapere perché.
Campeggiava ora al centro della pagina di un album che lei aveva realizzato con scrupolo compositivo, con tanto di indicazioni di date e luoghi.
Quella famosa sera poi lo zio Vittorio l'aveva davvero portata ad una festa.
Qualcosa come il compleanno di un amico, in un affollamento mondano dal quale Renata s'era lasciata al'inizio un poco intimidire, ma che poi le aveva offerto lo spunto d'inorgoglirsi per quegli sguardi e quei sorrisi che tutti riservavano a loro due: a quell'uomo biondo e abbronzato, con il fisico asciutto di un'adolescenza superata da poco, e a quella bambina con gli stessi capelli scandinavi di lui, gli stessi occhi dallo sguardo vulnerabile e misterioso.
Renata allora aveva sperato che molti di quelli che erano lì e non li conoscevano li scambiassero per fratello e sorella.
Lui l'aveva persino fatta ballare, su una pista che pareva di smalto, sotto lampade cinesi e luna, tra profumi di Guerlain e di macchia mediterranea.
- E' incredibile... - rimuginava Renata; ma se fosse stato vero, cosa di cui ormai si dava per certa, che cosa pensare di sua madre ?
Vada per l'amante, anche se lo zio Vittorio era molto più giovane di lei, ma farci addirittura un figlio. Che cosa voleva dire ?
Un giorno Benedetta Rimoldi, che era una moglie irreprensibile, madre di ben cinque marmocchi e, per quel che ne sapeva Renata, senza grilli per il capo, chiacchierando con lei a proposito di quella sua un po' anacronistica fertilità le aveva confessato che ne avrebbe desiderati almeno altri due.
" Ma mi piacerebbe farli con altri uomini. Che avessero padri diversi insomma".
Renata le aveva rivolto uno sguardo sbigottito e Benedetta aveva riso  fino alle lacrime.
Proprio lei, innamorata di Guido da quando aveva quindici anni, e che probabilmente non era stata a letto con nessun altro uomo in vita sua.
Aveva detto che non sapeva perché ma che le sarebbe piaciuto.  Renata si era insospettita, aveva indagato con buona dissimulazione per scoprire se ci fosse qualcuno in particolare con il quale intendesse generare, ma Benedetta si limitava a ridere, indifferente agli uomini tranne che a Guido che restava la luce dei suoi occhi, eppure tentata virtualmente di farsi possedere da un altro non per amore o per piacere ma, apparentemente, per mero istinto riproduttivo.
Arrivò a casa a pezzi, si scalzò nell'ingresso proiettando le scarpe con calci a parabola verso l'office e si lasciò cadere all'indietro su un divano del salone.
Gianna venne a sentire se ci fosse bisogno di qualcosa e Renata chiese di prepararle un caffe' all'americana.
Restò immobile per un po', le gambe allungate sui cuscini, le braccia intrecciate dietro il capo, a contemplare il soffitto, invitandosi ad alzarsi ed intraprendere qualcosa e rifiutando immediatamente l'invito, abbandonandosi sempre di più alla soddisfazione del sentirsi inutile.
Con il caffe' vinse l'abulìa che la inchiodava e si costrinse a cercare negli album che teneva impilati nei cassetti di un secretaire.
Trovò la fotografia che cercava e stette lì ad osservarla con occhi nuovi, incerta tra la commozione e l'incredulità.
- Altro che Sissy Spacek ... - pensò tra sé guardandosi sorridente a cavalcioni sulle spalle dello zio Vittorio, che rivolgeva l'identico sorriso alla macchina fotografica.
Era difficile escludere che quei due volti fossero la combinazione di elementi di uno stesso patrimonio genetico.
Del resto per Renata una conferma al dubbio non sarebbe venuta più: si rese conto di essere - contrariamente ai suoi fratelli - orfana, e da molti anni ormai.
Non poteva certo mettersi a progettare la riesumazione dei resti del povero zio Vittorio, per una di quelle cose tipo la prova del DNA come nei film americani, e tantomeno sconvolgere la vita della sua famiglia e di suo padre, sì, insomma, di quello che lei aveva sempre considerato e amato come suo padre.
Si trattava di un vero uragano cui lei stava facendo fronte immobile, con una tazza di caffe' in una mano e l'altra appoggiata su una fotografia che assurgeva ad intensità epifanica.
Non seppe spiegarselo ma si rese conto che il giorno dopo avrebbe probabilmente cercato di rintracciare Del Poz, contrariamente a quanto si era ripromessa, e che sicuramente avrebbe estromesso dalla sua vita Corrado, e che senza ombra di dubbio sarebbe stata per Riccardo la moglie esemplare di sempre e per sempre.
Avrebbe sottoposto Del Poz ad un'indagine che le permettesse di capire se avrebbe potuto provare per lui qualcosa che mettesse d'accordo il sentimento che doveva aver provato sua madre per lo zio Vittorio e quello ecumenico di Benedetta.
Se Del Poz non si fosse rivelato all'altezza avrebbe cercato altrove, sapendo esattamente, ora, chi stava cercando.
Perché anche a lei sarebbe piaciuto avere un figlio - un maschio questa volta - e da qualche parte nel mondo ci doveva essere il padre, ignaro ancora di entrare in quel momento in un progetto così singolare.
Dubitava, ma non si sentiva di escludere, che potesse trattarsi di Del Poz.
Corrado aveva fatto il suo tempo; fiacco e passivo aveva ricoperto con ammirevole discrezione il ruolo di una specie di vibratore, null'altro.
Renata si osservò con affetto nell'immagine che la ritraeva bambina sulle spalle di suo padre: considerò le mani di lui strette con delicatezza intorno alle sue caviglie esili; con un fremito d'imbarazzo pensò a lui e sua madre in un letto, intenti ad inventarsi lei.
Riccardo non avrebbe assolutamente potuto entrare in questo disegno: era l'uomo che aveva sposato quando non era che una ragazzina e cui riservava l'affetto incondizionato che si nutre per un fratello. Era il marito accanto al quale si sentiva con grande serenità d'invecchiare, padre affettuosissimo di due figlie invidiabili. Ma ora Renata doveva fare i conti con due giovani, dietro quella finestra di destra proprio sopra l'ingresso d'un edificio che pareva avere solo facciata.
Due che si erano ritrovati vecchi a finire quel lavoro che non avevano avuto  il coraggio di ultimare - o che avevano avuto il buon senso di non ultimare, chissà - quando era il momento.
E doveva misurarsi con sua madre che al contrario si era tuffata in un'avventura dalle conseguenze definitive.
Con comportamenti diversi si erano concessi qualcosa per sé soltanto, ambedue però con l'accortezza che quella concessione non divenisse ragione di sofferenza per i familiari.
Renata non ricordava un litigio tra i suoi genitori: a pensarli uno accanto all'altra non aveva che il ritratto di un affiatamento che aveva sempre cercato di replicare con Riccardo.
Eppure.
Chiuse l'album pensando che sarebbero partiti la settimana successiva per la loro vacanza "da sposini", come diceva lui facendole montare il nervoso.
Là, o altrove, dopo, avrebbe dovuto mettersi a disposizione, annusare l'aria, aprire il cuore, essere pronta.
- Pronta per cosa ? - rimuginava tra sé in attesa che l'acqua raggiungesse nella vasca il livello sufficiente per azionare l'idromassaggio.
- A innamorarsi, suppongo - rispose dopo un po', rivolta a sé stessa nello specchio che si andava appannando. E fece in tempo a sorridersi soddisfatta.





                                                                         dicembre 1995

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