mercoledì 25 aprile 2012

LE FINESTRE DI DESTRA, PROPRIO SOPRA L'INGRESSO (terza parte)





Alle undici del mattino di quel giovedì il padre comparve socchiudendo con un accenno di fatica il pesante battente d'ingresso del vecchio palazzo del centro, dove era andato ad abitare dopo la morte della moglie.
Indossava il vecchio Burberry's color tortora elegantemente gualcito ed una coppola irlandese di tweed irsuto: perfetto per quella giornata di pioggetta nebbiosa, pensò con compiacimento Renata, che aveva sempre ammirato nel padre la discrezione naturale dell'eleganza.
Lui sedette, lei richiuse la portiera sulla sua incertezza di anziano.
 - Tempo di merda ... - considerò lei senza animosità. Lui concesse un assenso annuito, guardandosi attorno.
- Giapponese - mormorò, tamburellando sul cruscotto. Renata conosceva il principio d'autarchia quasi ossessiva cui il padre era vincolato riguardo alle automobili.
- Riccardo dice che sono più affidabili - si affrettò a replicare con il      tono di chi cerca una giustificazione. Il padre annuì ancora, con un sorrisetto di sufficienza.
- E costano anche meno - aggiunse lei. Lui tacque, saggiando l'escursione della cintura di sicurezza.
- Le piccole come stanno ? - chiese.
- Bene - rispose lei.
- E il ciula ?
Il padre di Renata aveva sempre nutrito nei confronti del genero un bonario disprezzo, irridendo con sarcasmi flemmatici quel suo affannarsi in ruoli manageriali recitati con l'enfasi di un filodrammatico e con equivalente competenza; fortunatamente il timone dell'azienda era saldamente nelle mani d'una sorella nubile e del fratellastro Gherardo, due scorbutici appassionati soltanto al lavoro e, si vociferava, a certe loro pratiche incestuose. Sta di fatto che non frequentavano nessuno, trottavano ombrosi da una parte all'altra del globo a metter su cantieri e cedevano volentieri a Riccardo, alla sua testa "piena di piume" come diceva il padre di Renata, il ruolo cangiante ed approssimativo di responsabile del settore "Aree turistiche".
- Ha un consiglio di amministrazione - rispose Renata, glissando sull'epiteto inoffensivo che il padre gli aveva affibbiato.
- Bene - concluse lui.
Imboccarono la tangenziale e viaggiarono per un po' in silenzio, circondati da un flusso di automobili ininterrotto e rallentato dalla pioggerella, che non cessava di ovattare d'umidità il paesaggio mesto della periferia.
- Ho sentito Giulio la settimana scorsa - disse Renata, cercando di farlo con entusiasmo. Il padre rispose con un silenzio distratto. Giulio aveva rappresentato per la madre, e quindi di riflesso per lui, una sconfitta cocente, un tradimento: era stato l'unico dei figli a non essersi assestato in un'area di censo e livello sociale adeguati.
Non aveva terminato gli studi, non aveva accettato prima i suggerimenti e poi le occasioni professionali che la famiglia  avevano messo a sua disposizione, inseguendo invece fole infantili d'artista, arrabattandosi prima attorno a chitarre e tastiere, poi a tele e pennelli, per approdare alla fine alla ribalta mortificante d'un cabaret troppo vicino all'avanspettacolo, esibendosi come animatore in villaggi-vacanze e su reti televisive regionali.
Come ciliegina sul gelato aveva collocato una moglie della Guadalupa, una mulatta di bellezza ferina che oltre a tenere una sconclusionata rubrica di negromanzia e divinazione per la stessa emittente per la quale lui faceva lo sciocco,  si offriva in  spogliarello per la sigla conclusiva delle trasmissioni.
Due marmocchietti, uno nero come il carbone ed uno quasi bianco, erano venuti ad allietare il menage.
Per la madre di Renata tutto ciò aveva rappresentato, fino alle fine devastata dei suoi giorni, una ferita mai rimarginata  che il padre, in memoria sua, leniva con l'uso di un'accurata distrazione, accettandone l'esistenza solo durante le canoniche riunioni in prossimità delle feste pasquali e natalizie. Si trattava di pranzi di famiglia organizzati della figlia Marina, trionfalmente accasata con uno dei più accreditati penalisti della città, cui partecipavano con sommesso entusiasmo il primogenito Carlo, primario a Ferrara, con la moglie Doretta, opulenta matrona sterile che riversava sui nipoti attenzioni soffocanti, Renata con Riccardo Ottavia e Federica e, naturalmente, Giulio con la sua squadra meticcia.
- Cosa fa ? - chiese finalmente il padre quando il traffico si fece più scorrevole, mano a mano che si allontanavano dalla città.
- In che senso ?
- Cosa fa, cosa combina ?
- Mah...credo il solito. Non abbiamo parlato di quello...
- E di cosa ?
Renata non voleva confermare al padre il sospetto che Giulio si facesse vivo solo in caso di necessità, anche se non allarmanti. Questa volta l'aveva chiamata per avere in prestito la casa al mare per una settimana.
" I ragazzini hanno la bronchite che gli diventa cronica in questo posto di merda !" aveva detto con il perenne tono di ribrezzo che adottava nei colloqui familiari.
Renata aveva naturalmente risposto di sì, pur sapendo che quella settimana sarebbe diventata un mese, che in capo a quel mese una squadra di vigorose donne delle pulizie avrebbe avuto un gran daffare per vincere le incrostazioni in cucina, le macchie sui divani, le ditate sugli stipiti, gli odori impregnanti di zuppa creola; ma non era mai stata capace di dirgli di no, come sapevano fare Carlo e Marina, che si limitavano a passargli un assegno due volte l'anno rifiutando ogni suo tentativo di ottenere colloqui od incontri, in ossequio all'ostracismo imposto dalla madre, quando ancora era in vita.
- Mah... abbiamo parlato dei figli, cose così... - rispose al padre, che per parte sua tacque.
- Sai cosa si fa ? - aggiunse lei simulando un'intuizione improvvisa - Facciamo il giro dalla parte del lago ! - concluse con un eccesso di entusiasmo.
- Perché ? - chiese il padre con la consueta indifferenza.
- Come perché ? Così, un'idea... facciamo il giro del traforo e passiamo dalla strada di sopra. Sarà un'eternità che non la faccio.
Il padre abbozzò un gesto d'assenso perplesso.
- E' più lunga... - si limitò a mormorare.
- Vabé chissenefrega no, papà ? Mica nessuno ci corre dietro. Pensavo che ti facesse piacere ripassare dal quelle parti...
- Perché ?
- Ma come perché ! Ci sei stato tanto di quel tempo laggiù !
Renata attenuò l'irritazione che era affiorata di fronte all'irriducibile indifferenza del padre. 
Si voltò a studiarne i lineamenti, sperando di scoprirvi un segno d'emozione dissimulata all'idea di ripercorrere l'itinerario che aveva contraddistinto la quotidianità della sua vita di lavoro, ma lui manteneva uno sguardo neutro sul parabrezza crivellato di goccioloni.
- Preferisci che non ci passiamo ? Se preferisci dimmelo, non voglio mica metterti a disagio...
- A disagio ?
Questa volta fu il padre a voltarsi verso di lei per scrutarla.
Renata aveva avuto per un momento il sospetto che quel percorso per suo padre potesse essere legato a ricordi dolorosi, alla memoria della scomparsa della moglie, ai fantasmi di un mondo di lavoro che, a quel che le risultava dai sentito dire, era gremito di invidie, sgambetti, crudeltà e meschinità frustranti, e si diede della sciocca per non esserci arrivata prima. Per un'egoistica idea di nostalgia stava per coinvolgerlo in un percorso a ritroso che forse lo avrebbe addolorato, o anche peggio, tenendo conto dell'età.
- Perché disagio ? - insistette lui - Mi fa piacere, solo pensavo che con la pioggia tutto questo giro... per te che devi guidare, intendo. Per me é lo stesso.
Renata si sentiva disorientata.
-  Ma figurati ! E' che pensavo di passare davanti allo stabilimento, a casa nostra... saranno vent'anni che non li rivedo. E tu ?
- Più o meno ...
-  E non é che poi ti emozioni ?
Il padre sorrise scuotendo la testa.
- Se mi portassi a pranzo alla Tour d'Argent e ci ritrovassi tua madre e gli amici d'allora sì, ma qui...
E fece un gesto modesto con la mano, ad indicare genericamente quella periferia che rimaneva tale pur essendo già campagna, appiattita sotto la pioggia come un animale esausto.
- Già... non é un granché - ammise Renata, vagamente delusa dall'emotività controllata di lui.
Seguirono per un tratto il lungolago deserto osservando distrattamente le barche capovolte sulla riva, gli hotels chiusi per il fuori stagione, la linea della sponda opposta confusa tra i canneti.
Renata sfrecciò lungo il rettilineo della provinciale senza neppure un accenno a rallentare in prossimità del bivio che introduceva al viale dove c'era la loro vecchia casa.
Non sapeva dirsi se quell'opaca reattività del padre la irritasse o la tranquillizzasse, poi si rese conto che ambedue gli stati d'animo convivevano, alternandosi.
Lo avrebbe scosso volentieri dicendogli -  Ma come ? Io ti porto in punta di piedi, piena di riguardi e di cautele, sulle tracce del tuo passato, unica tra i tuoi figli ad avere questa sensibilità, dopo essermi tormentata nell'indecisione se farlo o no, terrorizzata all'idea che l'emozione ti potesse ferire e nello stesso tempo eccitata come una bambina che fa il primo regalo con i soldi del salvadanaio, e tu mi ricompensi con un menefreghismo totale, con i tuoi sorrisetti di compiacenza e le battutine brillanti, come se di qui ci fossi passato ieri, come se qui non ci fosse sepolta metà della tua vita. Ma come ? -
E nello stesso tempo il fatto che lui non fosse scoppiato in un pianto imbarazzante, non si fosse fatto venire le palpitazioni, non si fosse neppure chiuso in un bozzolo di tristezza malinconica l'aveva risollevata.
Al bivio il padre si era sporto un poco in avanti dicendo "Era lì ?" e Renata aveva fatto cenno di sì, chiedendo con una risatina forzata se volesse andare in pellegrinaggio.
- No, no - aveva risposto lui; e a lei era parso che lo avesse detto con un accenno di delusione infantile. Alla fine si risolse a considerare che gli ottant'anni fossero l'anestetico che lo salvaguardava dagli affanni della nostalgia; non arrivò a credere che si trattasse di un'avvisaglia di rimbambimento ma si preparò all'idea.
Passarono di fronte allo stabilimento e lui disse che sapeva che c'era stato un cambio di gestione; disse che lo aveva letto sull'Informatore Industriale. Renata rispose che l'insegna era orribile e lui alzò le spalle. Lei aggiunse che illuminata era ancora peggio e lui chiese " E tu che ne sai ?"
 - Lo immagino - aveva risposto lei dopo un istante di smarrimento. Rallentando di fronte all'ingresso si chinò un poco in avanti gettando uno sguardo attraverso il parabrezza.
- Il tuo ufficio era quello no ?
- Sì.
Il padre aveva alzato un dito con un impercettibile tremito senile.
- Quelle due finestre a destra, proprio sopra l'ingresso.
- Me lo ricordo benissimo. Vuoi fermarti ?
- No, no, non é il caso. Grazie comunque...
Il padre rispondeva con un tono di scusa che commosse Renata, costringendola al silenzio. Poi gli anni trascorsi e i pensieri di ambedue su di essi restarono indietro, più o meno al limite del muro in cemento che delimitava l'area dello stabilimento.
Renata per un attimo ebbe la tentazione di chiedere al padre di parlarne, di ripercorrere un poco insieme quel tempo che per lei era confuso dalle dimenticanze dell'infanzia ma che per lui doveva essere limpido nel ricordo.
Per una di quelle infinitesimali frazioni di tempo di cui approfittano le intuizioni per manifestarsi pensò che era l'ultima occasione per sapere qualcosa di più di sé e della sua famiglia. E la chiarezza inesorabile dell'eventualità la fece soccombere, costringendola a ricacciare tutto frettolosamente sotto un affanno di pensieri banali chiamati in soccorso, come quello di ricordarsi di telefonare al dentista per un appuntamento per Federica, di invitare a cena la cugina Ale con il nuovo fidanzato, combinare di vedere Corrado, e Del Poz; farsi scopare da Del Poz pensò con chiarezza, senza vergogna anche se accanto a quell'idea restava il pensiero vago, ora spogliato della pena, che quell'occasione di sapere di suo padre, di sua madre, dei suoi fratelli, di dialogare e scoprire piccole basilari verità, sfumava definitivamente.
-Ma guarda che stronzo ! - imprecò rivolta al conducente di un motocarro che svoltò a sinistra davanti a loro senza segnalare.
Il padre si era leggermente irrigidito nel gesto della frenata ma lei era sgusciata via con manovra agile, senza neppure sollevare il piede dall'acceleratore.
Arrivarono alla “Aquila Reale” mentre uno squarcio di cielo limpido si incuneava tra la nuvolaglia gravida d'acqua. Erano i primi, vuoi per l'orario - era da poco passato mezzogiorno - vuoi per via del giorno feriale e piovoso.
Ebbero il tavolo migliore, accanto ad una vetrata affacciata verso le montagne che erano completamente occultate dal grigio nebbioso, e attesero pazienti l'avvicendarsi delle portate chiacchierando indifferentemente delle loro lineari quotidianità; il padre seppe farla ridere descrivendo con pacata ironia le piccole manie della signora Chiamberlando. Renata si chiese come avrebbe reagito se all'improvviso lei gli avesse confessato " Ho un amante, anzi da ieri sera due. E mi servono solo per il sesso. Sono una specie di ninfomane, non so controllarmi."
Lui assaporava i cibi con calma, osservando in modo saltuario i rappresentanti di commercio che erano entrati rumorosamente in sala quando loro due erano già a metà del pasto, e che ora manifestavano a tratti la loro presenza con esplosioni di risa.
Renata cercò d'immaginare se lui, o addirittura sua madre, avessero potuto avere un amante.
Per quel che ne sapeva dovevano aver vissuto una fase fiammeggiante nei primi anni di matrimonio -  lo testimoniavano i primi tre figli nati in poco più di due anni e mezzo e le foto d'allora che li ritraevano sempre accanto, sempre illuminati da sorrisi di beatitudine: lui un bell'uomo con un'allure anglosassone e lei una bella donna, carnosa e lattea come richiedeva l'estetica dell'epoca.
Il seguito era stato contraddistinto da una pacificata comunione di radicali differenze caratteriali.
Forse più lei di lui poteva aver cercato in altri uomini uno sfogo, la soddisfazione di sentirsi corteggiata, lei sempre così ansiosa di piacere, di ricevere consensi.
Se qualcosa era accaduto era comunque ormai impossibile venirne a conoscenza: quasi certamente neppure lui avrebbe potuto rispondere.
- Da quant'é che la Chiamberlando si occupa della casa ? - chiese soprapensiero.
- Da quando é mancata la mamma - rispose lui.
- Accidenti ! Così tanto ? Non mi ricordavo che ci fosse fin dall'inizio - disse Renata cercando di ricapitolare quegli anni senza riuscirci.
- Anche da prima - aggiunse il padre - Era stata mia segretaria per un certo periodo, più o meno quando abitavamo in corso Cavour, non so se ricordi...Io allora durante la settimana stavo alla Betulla.
Renata annuì. La Betulla era il nome de loro cottage. Lei non l'aveva mai chiamata così; non le era mai piaciuta l'idea di dare dei nomi alle case.
- Allora era molto giovane, molto diversa da come la vedi adesso.
- Chi ? la Chiamberlando ?
Il padre annuì sorridendo.
- Che tipo era ? - chiese Renata.
- Mah... un po' confuso direi... si vestiva in modo appariscente, sempre molto truccata, con abiti aderenti, tacchi alti, sai, cose così.
- La Chiamberlando ? - Renata era sbalordita.
- Già. Mi rendo conto che oggi può sembrare impossibile, ma ostentava proprio. Gli impiegati le ronzavano tutti intorno, anche se va detto che lei era assolutamente irreprensibile... Le piaceva esibire...
- E tu ?
- Io cosa ?
- Bé, era la tua segretaria...
Il padre tacque, e questo Renata non se l'aspettava; aveva immaginato una risposta ironica, un cenno di sufficienza, avrebbe accettato con liberatorio entusiasmo un "Io me la scopavo", ma quel silenzio, che avrebbe potuto dirsi d'imbarazzo, imbarazzava lei.
Venne il cameriere con il carrello dei dolci ma il padre optò per una macedonia. Renata ordinò un caffé.
- La sua passione era cantare  - disse il padre.
- La Chiamberlando ?
- E lo faceva anche bene. Si é licenziata per cantare.
- Ma no ? E come ?
- Ha avuto una lunga carriera  - disse lui sorridendo.
- Mi prendi in giro.
- No, no. Cantava sulle navi. Sai le orchestrine delle crociere. Lo ha fatto per più di vent'anni. E ha anche inciso dei dischi, uno in Venezuela  un altro a Lisbona mi pare... Li ho a casa.
Renata pensava alla signorina Chiamberlando: a quella sua facciona sempre un po' imbronciata, e cercava di immaginarla truccata, sorridente, ammiccante nell'interpretazione di un cha cha cha.
- Non me lo avevi mai detto...
Il padre alzò le spalle.
- Mi ha telefonato per farmi le condoglianze quando é mancata la mamma. Era sbarcata da poco... - Renata indagò con affetto il sorriso del padre.
- E' stata gentile, é venuta a trovarmi, ci siamo rivisti, il resto lo sai.
Renata annuì.
- Ma pensa un pò...la Chiamberlando che canta sulle navi, magari tutta in paillettes, cotonata, truccata da maliarda, e poi con quelle tettone che ha. Da giovane doveva essere notevole.
Il padre fece cenno di sì due o tre volte, con un mezzo sorriso distratto. Renata rise.
- Andavate a letto insieme ? - chiese a bruciapelo.
- Sì - disse il padre guardandola, e lei abbassò gli occhi sulla tazzina del caffé.
- Ah però...e adesso ?
- Adesso ? - rispose il padre, ridendo sommessamente.
- La Chiamberlando... - mormorò perplessa Renata.
- E' una bravissima donna. Molto triste, proprio di carattere. Non c'é nulla da fare - disse ancora il padre.
- Si vede... - Renata cercava di immaginare come doveva esser stato tra loro due all'inizio.
- Ma quando é successo ?
Fu la volta del padre d'avere un istante d'imbarazzo.
- Prima - disse però con fermezza.
- Prima che andasse a cantare ?
Lui annuì.
- E com'é allora che se n'é andata ? Amante del direttore generale non era mica male no ?
- E' una donna complessa. E' sempre stata difficile da capire.
- Mhm... - Renata si ostinava sul pensiero della Chiamberlando senza riuscire a sgusciarla da quell'immagine austera che aveva di lei, a metà tra l'infermiera e la dama di compagnia, silenziosamente assidua, pallida ed energica, con quei seni esorbitanti che ora scopriva essere non solo l'ingombro pesante di oggi ma, nei loro tempi migliori, esser stati certamente un notevole trastullo erotico per gli occhi, le mani, la bocca di suo padre.
- E la mamma ? - chiese sperando che il padre non credesse che stava cercando di manifestargli ostilità.
- La mamma non ha mai saputo nulla. Neppure sospettato. E del resto é stata una cosa di pochissimi mesi. Una primavera. Poi lei con l'arrivo dell'estate si é licenziata e ha iniziato il suo nuovo lavoro.
 - Così di colpo ? Come mai ? Eravate innamorati o cosa ?
Il padre accennò un diniego.
- Una cosa di sesso allora ?
Il padre scosse ancora la testa con lo sguardo che sembrava cercare immagini precise di quel tempo.
- Eravamo soli. Parlavamo di cose che ci piacevano e ci pareva di capirci, di capire con facilità delle cose complesse l'uno dell'altra...
Lei, ad esempio, aveva questa passione per il canto: aveva un repertorio notevole ed erano quasi tutte le mie canzoni preferite nonostante la differenza d'età. Forse ci é sembrato un segno ulteriore...
- Ma cosa faceva, te le cantava in ufficio ?
Il padre rise.
- No, no... C'era stata una piccola festicciola di commiato per un collega che andava in pensione. In quelle occasioni io ho sempre partecipato, fatto atto di presenza... una consuetudine. Gli hanno offerto una pergamena e qualcuno ad un certo punto ha cominciato a dire " Dai Chiamberlando, canta !" e lei a dir di no, quasi risentita. Io ero stupito, non capivo, poi i nostri sguardi si sono incrociati ed io ho fatto un cenno del capo: era una specie di saluto, nient'altro, ma lei, probabilmente confusa, deve averlo inteso come un invito, non so... Insomma ha cantato "J'ai deux amours" e l'ha cantata benissimo. Il resto...
Il padre fece un gesto vago.
- Ma perché é finita ? - chiese Renata con accanimento, come se la cosa la riguardasse personalmente.
- Non poteva durare, lo sapevamo - rispose il padre - Io avevo voi, lei nessuno. Un giorno mi ha detto che essere un amante non le bastava, che non riusciva neppure ad apprezzare il sesso alla giusta maniera. Non che mi abbia mai chiesto altro, anzi. Non ha mai fatto scene del tipo: lascia la famiglia, scegli me o loro e cose del genere. E' sempre stata molto dignitosa, ma determinata. E così ha deciso che non potevamo più stare nello stesso posto e ha chiesto un trasferimento all'interno dell'azienda che però in quel momento non era possibile. Allora si é licenziata, su due piedi. Senza nulla in prospettiva. Io mi sono deciso a parlarne con zio Stefano e lui le ha trovato quel primo ingaggio sulle navi da crociera: doveva essere una soluzione transitoria e invece... Quando ci siamo ritrovati lei mi ha detto che era stata un'esperienza molto bella: che grazie a me aveva potuto fare nella vita quello che le piaceva di più e visitando un sacco di posti. Per me, che in tutti quegli anni mi ero sentito colpevole come se per causa mia lei fosse stata messa al bando, é stata una notizia molto confortante -.
Renata seguiva il padre con un'attenzione vagamente assopita, come una bambina che ascolti una fiaba prima di addormentarsi.
La figura della Chiamberlando si andava trasformando rapidamente nei suoi pensieri: recedendo dalla dimensione dimessa e domestica che le aveva sempre attribuito si conquistava una statura d'avventuriera, permeandosi di mistero. Si rese conto di non conoscere neppure il suo nome di battesimo.
- Com'é che fa di nome la Chiamberlando ? - chiese.
Il padre sorrise.
- Deianìra - disse. Renata rise e lui con lei.
- Accidenti ! Deianìra ?
- Sì - rispose lui.
- Ma che razza di nome...
- Mitologico - disse il padre - ma si é sempre fatta chiamare Nira. Anzi, sui cartelloni d'annuncio nei saloni delle navi il nome d'arte era scritto all'inglese, con due e: Neera. Neera e Los Rumberos e poi ci sono stati i Samurai e poi i Bubbles e non so quanti altri, ma lei é sempre stata Neera... Splendida voce, se fosse stata spregiudicata e ambiziosa oggi potrebbe essere chissà dove...
- E tu come fai a sapere tutte queste cose ?
- Trascorriamo tutte le nostre giornate insieme, da dodici anni. Non ho mai passato tanto tempo accanto ad una persona con questa continuità, e lei, anche se mi rendo conto che a vederla non sembrerebbe, sa raccontare in maniera molto suggestiva.
- Ah si ?
- Davvero.
- E la mamma, in tutto questo ?
- In che senso ?
- Sì, voglio dire, non ci pensi mai ?
- Tutti i giorni. Molte volte al giorno.
- Ma in che modo ? Voglio dire visto che c'é stata la Chiamberlando e magari anche qualcun'altra...
Renata lo suggerì cercando di sottolineare il tono di mondana complicità che avrebbe dovuto toglierlo dall'imbarazzo, se mai avessero dovuto fronteggiare nuove confessioni, ma lui scosse il capo con una veemenza infantile, turbata e cocciuta, che la stupì e intenerì, mostrandoglielo vecchio, disarmato,  orgoglioso e tremulo.
- Mai - disse. La voce gli si incrinò leggermente, un po' chioccia per l'agitazione.
- Mai - ripeté - Tua madre é stata la cosa più grande... la cosa più bella che io ho avuto in tutta la mia vita. E non credere che io non ne conoscessi i difetti…certa superficialità, quel po' di esibizionismo sociale. Si poneva sempre al centro del suo universo e si stupiva e rammaricava  quando si accorgeva che tutto il resto non le ruotava attorno. Eppure sapeva essere di una generosità assoluta, persino allarmante, e comunque...Sai io credo che la vita, la mia, la tua, ha un suo tracciato e su quel tracciato, se hai fortuna, ad un certo punto quando meno te l'aspetti trovi qualcuno che é lì fermo, diciamo a lato del cammino. E basta uno sguardo per capire che é lì per te anche se non succede mai che lo capisci subito, occorrono magari anni, e poi un giorno all'improvviso ti rendi conto che quel tuo sguardo d'allora sapeva già quello che tu non sapevi ancora...
- Accidenti, persino la rima... - ironizzò Renata, sorpresa però dalla poetica speculativa del padre.
Cercò con un po' d'affanno di individuare nella memoria sguardi così definitivi che fossero intercorsi tra lei e Riccardo, o Corrado, o addirittura Del Poz. Niente.
- Ma é una fortuna enorme, che non capita a tutti - stava concludendo il padre - anzi a pochissimi credo...
Renata sospese la ricerca e lo osservò come se lo vedesse per la prima volta.
- Sì, sì, ma intanto con la Deianìra...
Lui alzò le spalle con un cenno di fastidio.
- L'uomo é schiavo della propria natura...in varia misura. Il maschio intendo. Deve combattere contro le pulsioni animali che gli si agitano dentro. Io ho ceduto loro una volta, moltissimi anni fa. In Maggio - concluse pensoso.
Renata annuì.
- ...E sono contento d'averlo fatto, perché pur non avendo sottratto assolutamente nulla a tua madre ho offerto mio malgrado, malgrado le ragioni assolutamente egoistiche di quel momento, un'opportunità imprevedibile ad una donna che rischiava di invecchiare in un ufficio, dietro una macchina da scrivere, magari in balìa di qualche altro dirigente con meno scrupoli di me. E  comunque tua madre é stata l'unico vero amore della mia vita, questo é indiscutibile.
I suoi occhi erano umidi, la sua commozione senile imbarazzante. Renata ebbe per un istante il sospetto che lui avesse atteso per anni il momento di quella confessione.
- E Carlo e Marina sapevano ?
Lui fece cenno di no.
- E nemmeno voglio che sappiano.
 - Va bene, sta tranquillo - disse Renata.
Fuori il cielo offrì una schiarita improvvisa, tersa, con la limpidezza di un'alba.
Lasciarono il ristorante e raggiunsero la macchina aggirando le pozzanghere che costellavano il parcheggio.
- Cosa ti va di fare ? - chiese Renata. Il padre alzò le spalle.
- Sei stanco ? - chiese ancora lei.
- No, no...
- Sono appena le due. Ti va di tornare in centro e fare due passi visto che ha smesso di piovere ?
- E' un'idea - disse lui con distrazione.
- Proprio solo due passi, senza stancarci. Poi ti riporto a casa.
- Va bene.
Sfilarono davanti alla palazzina degli uffici e lui alzò gli occhi ad osservare quelle sue finestre proprio sopra l'ingresso senza dir nulla. Renata se ne accorse ma non proferì parola, non volle cercare di sapere nulla e non volle offrire spunti che potessero ancora riguardare quel passato.
Aveva immaginato quella giornata nei momenti che l'avevano preceduta figurandosene i dettagli fino ad avere la certezza che non potesse che andare così come l'aveva prevista, ed invece questa si era imbizzarrita, prendendole la mano e diventando incontrollabile, rivelatrice, pericolosa nell'esubero della sua portata emozionale.
La presunta tranquillità, pacatamente commossa delle tappe del pellegrinaggio, era stata travolta da una rincorsa senza pause ed ora lei si sentiva in debito d'energia, ma soprattutto privata dalla compiaciuta mollezza della malinconia.
Se suo padre, con quell'occhiata alla finestra del suo ex ufficio, avesse provato un brivido di commozione, un batticuore di rimpianto o la semplice curiosità di immaginare che faccia potesse avere quello che ora sedeva al suo posto, non voleva sapere. E del resto lui ora sedeva tranquillo accanto a lei, e non pareva tormentato da emozioni affannose.
La tangenziale era semideserta e la percorsero senza dover affrontare i rallentamenti dell'andata. Lontano, verso est, il cielo era di un nero bluastro, cupo d'uragano, mentre sopra di loro si striava di sole con raggi obliqui, che foravano nubi in rapido scorrimento.
Per tutto il tragitto restarono in silenzio e Renata rifletté sulle parole del padre a proposito delle pulsioni animali, chiedendosi se la sua non fosse un'anomalia, addirittura una perversione. Si ripromise di costringersi a rivedere la sua condizione, si immaginò anziana e confessante di fronte ad Ottavia e Federica esterrefatte e abbandonò frettolosamente l'idea con imbarazzo, poi ipotizzò che per una qualche eventualità Riccardo venisse a conoscenza di quelli che lei, in tutta onestà, non riusciva a considerare dei tradimenti ma che lui certamente avrebbe ritenuti tali, e ancora una volta dovette ricacciare l'idea con un briciolo di panico.


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