giovedì 7 febbraio 2013

ANNIE



La compilazione del post precedente ha aperto un varco di memoria che, come sempre, mi ha rivelato che i timori di esaurire gli argomenti del trascorso sono relativamente infondati.
Mi ero ripromesso di parlare prima o poi di Annie (non Anny, come l'ho erroneamente chiamata, fuorviato sia dal rivedere la scritta sul tettuccio dell'auto, ma anche - come più avanti si potrà constatare - da lei) ed eccola già qui.
Quel piccolo passaggio rievocativo mi ha spinto ad organizzarmi con i criteri che mi più mi aggradano: la rivisitazione delle lettere, la rilettura del diario, il rintracciare fotografie che sono disperse negli scrapbooking in un ordine emotivo che ha in un accurato disordine il proprio fondamento. 
Soprattutto mi sorprende la capacità della memoria, se adeguatamente sollecitata, di restituire vissuti solo apparentemente dimenticati, o ricordati solo nei loro aspetti gratificanti.
Le lettere ricevute, le considerazioni diaristiche adolescenziali, possono essere anche fonte di imbarazzo, ma molto salutare. Poi certi momenti specifici - quelli sì, perduti - riaffiorano snidati dalle calligrafie ancora vagamente scolastiche in epifanie di limpidezza fotografica.
Sono i momenti migliori di queste investigazioni, cui mi abbandono con la soddisfatta disposizione di un bimbo tra i suoi giocattoli, di uno scoiattolo nel suo tronco cavo, a riordinare le provviste per l'inverno.
Sfogliando i diari si divaga anche, e mi è capitato di soffermarmi in presenza di biglietti di cinema.  
Mi è tornato in mente lo stupore affettuosamente divertito che Paolo Drago, chiacchierando con Speedy tre mesi fa, ha manifestato per il fatto che ne avessi conservati alcuni. 
Beh, ce ne sono molti altri tra pagine dei diari. 
Ovviamente me li ero dimenticati anch'io, e Paolo si stupirebbe nello scoprire quante volte siamo andati al cinema insieme, e con chi, e che cosa abbiamo visto. E quante volte siamo andati e venuti da Sauze etc. etc.
Ma torniamo a noi, a quell'estate del 1970.
Fulcro dei movimenti quotidiani allora, a Benidorm, era un bar sotto una pergola piuttosto vasta, affacciato direttamente sulla strada al di là della quale si stendeva la spiaggia. 
Il nome del bar era "Miami".
Noi ci eravamo capitati per caso, in banda, e ci eravamo resi conto che era un buon punto di riferimento.
Lì eravamo stati avvicinati da un tale del Jumbo Circus, che ci aveva ingaggiati come "reclutatori" per la discoteca.







In pratica facevamo del volantinaggio personalizzato, scegliendo i destinatari, e soprattutto le destinatarie, dei nostri inviti alle serate del Jumbo.










Quello stesso tale mi aveva segnalato con noncuranza che una ragazza del Penelòpe aveva chiesto di me.




 Annie al Miami


Non ricordo come sia poi riuscito ad indicarmela, non ricordo nulla se non la vertigine dello stupore e del compiacimento.
Ma lei andava in giro con uno che avrà avuto trent'anni e guidava una Jaguar.
Dall'estasi di un istante ero precipitato all'istante in un disperato disarmo.


Il definire le ragazze "pivelle" connotava
una delle nostre tante scorrettezze da bulletti.
Buffe le considerazioni di Roby O.
Terribile la mia calligrafia di allora.
L'operazione che Speedy aveva
portato a termine con una lametta
da barba riguardava una bolla 
che mi ero procurato camminando
scalzo sull'asfalto torrido.



Avevo dovuto sbronzarmi di "perroquet" e attendere di incrociarla da sola al Miami, per trovare il coraggio di fermarla e di parlarle. 



L'appunto sull'onomastico resta un mistero.
Non ricordo d'aver conosciuto, allora, una Lidia.



E' curioso notare che la destinataria di quell'innamoramento così istantaneo e pervicace ancora non avesse un nome, e venisse quindi genericamente apostrofata come "la francese".
Quello che le avevo detto forse nella sua lingua avrà avuto un suono meno ridicolo ma, in realtà, è con un certo imbarazzo che lo riporto, spinto da mero rigore filologico. 
Va da sè che invece gli amici avevano apprezzato la strategia.
Insomma l'avevo fermata e le avevo chiesto a bruciapelo se le piacessero gli Indiani Americani, e quando lei aveva risposto di sì con una certa perplessità guardinga, l'avevo incalzata chiedendole se volesse diventare la mia squaw. Subito dopo credo d'essermi dato alla fuga.
La conseguente pietrificazione, nel ricordo, apparirebbe interminabile ma, in realtà, dalla consultazione del diario, dopo pochi giorni la situazione si era sbloccata, proiettandomi in un amoroso empireo.  



  Di fronte al Miami.
Sulla fiancata della Fulvia di Renato
l'adesivo del Jumbo Circus.




Il linguaggio è quello che è, ma la gioia è autentica.




Erano seguiti giorni sognanti coronati da una cerimonia officiata da una coppia di suoi amici molto partecipi.








Su una pagina c'è annotata anche la colonna sonora dei nostri momenti insieme.







Naturalmente è arrivata la fine delle vacanze, il ritorno a casa, l'inizio della corrispondenza, strumento principe nelle comunicazioni di allora.
Nella prima lettera lei fa riferimento a delle fotografie non riuscite.
Dice che ce n'è una sola, di me a cavallo.







Questa è la foto.
Io indosso una maglietta del Jumbo Circus.
  





E questa è Annie - che però si firma ancora Anny - subito dopo o subito prima averla scattata, immortalata a sua volta da Renato, in un'epoca remotissima in cui si tornava dalle vacanze con rullini da sviluppare e si attendeva speranzosi che le foto "fossero venute".






La doccia fredda arriva ad ottobre, con un'analisi acutamente matura per una diciottenne, in una lettera che vale la pena, secondo me, riportare integralmente.













Si firma Anny, e per me rimane tale per il periodo, che non saprei quantificare, di convalescenza sentimentale.
Spesso uno dei vantaggi di quell'età sta anche nella titanica capacità di rinnovare le destinazioni degli innamoramenti con intensità non diminuita dal frenetico susseguirsi delle destinatarie.
Con Anny avevamo comunque conservato occasionali e intermittenti scambi epistolari.
A gennaio del '73 era arrivata questa lettera.






Se affermassi che un pochino non ci abbia goduto, mentirei. 
Però, come dicevo, altri innamoramenti si erano succeduti, cristallizzando Anny in un indimenticabile angolo d'estate, di batticuore e di esotismo (ah ! les copines francaises !).
Avevo quindi risposto da amico, probabilmente suggerendole di tenere il suo cuore aperto alle sorprese.
Se questo suggerimento l'avevo dato lei lo aveva seguito scrupolosamente, perchè a distanza di appena un paio di mesi avevo ricevuto questo cartoncino.







Io, nel frattempo, ero andato a vivere e studiare a Parma, con Giorgio Mussa ( vedi post 15 e 18 dicembre 2010). 








Ed eccola diventata Annie, come recita l'intestazione del cartoncino in caratteri gotici.
Nuovamente innamorata e pronta all'avventura di una convivenza e una maternità. 
A 21 anni. 
Coraggiosa. 
Incosciente ? Chi lo sa. Questo cartoncino è l'ultimo segno tangibile che ho di Annie.
In rete si trova una persona che si chiama come lei, e che vive dalla parti di Tolosa, una scrittrice di libri per ragazzi, ma non me la sono sentita di approfondire.
Lei è là, in quell'universo parallelo dove si conservano e si ripetono i momenti irripetibili, in un appartamento all'ottavo piano di un grattacielo sul mare, con le musiche, le parole, le amicizie di allora, alla fine di una giornata di spiaggia, con il capo appoggiato au creux de mon epaule, e sonnecchia.







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