lunedì 11 maggio 2015

CARTOLINE 16 o FOREVER GIRLS 5





Antì e Lauretta ad Arles



Dopo aver trascorso il capodanno in Camargue con Antì, Giulia, Renato, Fulvio Tasso e Lauretta Rognoni, io Lauretta e Fulvio ci eravamo separati dagli altri, che tornavano a Torino e il 2, o forse il 3, gennaio 1976 avevamo preso un treno per Parigi, dove sapevamo che avremmo incontrato Buky e Roberta Barberini.




Pit, Fulvio ( post "Noi Quattro" del 30.12.10 e nelle foto di classe
 di alcuni degli annuari rosminiani ) Lauretta ( "A proposito di pretesti"
del 7.2.12 dove si accenna anche a questo viaggio a Parigi,
"Forever girls 2" del 20.11.14 e "Cartoline 5" del 27.11.14)



Ci eravamo sistemati provvisoriamente in una stamberga vicino alla gare de Lyon.
















Avevamo rintracciato le sorelle Barberini e io avevo telefonato alla mia amica Virginie.
Lei non è mai comparsa in questo blog tranne che nel racconto di Whittling "Sei giorni fuori strada", postato il 28 novembre 2010, in un ruolo marginale, ancillare a quello di Caroline, che compare invece com maggior frequenza e con dovizia di particolari in "Sei giorni..." e poi nella seconda parte di "Un mestiere" del primo febbraio del 2011 e ancora con un raccontino dedicato proprio a lei,  "Caroline", al 14 luglio del 2011.
In realtà se mentre con Caroline i contatti sono stati sporadici e altalenanti, con la sua amica Virginie hanno avuto una considerevole continuità epistolare, dal 1969 fino al 1974.
Nel corso di questo periodo lei mi aggiornava sulla sua vita sempre con un tono piuttosto mondano e vagamente distratto, indiscutibilmente snob e io, senza chiedermi o comprenderne il motivo, mantenevo con lei una relazione d'amico di penna, e attribuendole gradualmente qualità che non avevo visto quando l'avevo conosciuta e che forse non aveva. 
Le tessevo attorno un ricamo fantasioso che, pur nella laconicità di una  corrispondenza più informativa che emotiva, mi aveva spinto ad invaghirmene.
Di lei, come del resto di Caroline, non ho fotografie. 
Non so mai decidermi se dispiacermene o invece compiacermi d'essere costretto ad evocarle in modo sempre più nebuloso anche se costante.







Aveva questo vezzo di usufruire di buste e carta intestate, che a me pareva una debolezza ma nello stesso tempo mi intrigava, come del resto la sua mobilità compulsiva.








Saint Tropez nel '71




 ...Londra...
















Una ragazza di poco più di vent'anni a metà degli anni settanta, giramondo apparentemente non tanto per diporto ma perchè là da dove spediva le sue cartoline si preparava ad altre partenze che nelle sue lettere avevano sempre il sapore di una missione, peraltro imprecisata ma sicuramente brillante.




E poi di nuovo Marie Claire...





...o Ungaro...








...o il Messico...









...o la Costa Smeralda...
Le sue lettere le ho rilette. 
Hanno lo stesso tono asettico e informativo delle cartoline, però mi piaceva che fosse così.
Cosa le scrivessi io non so, ma certamente, conoscendomi, devo aver avanzato piccole e aggraziate mosse di seduzione, così impercettibili da poter essere negate a fronte di un eventuale rifiuto, di cui però nelle sue lettere non c'è traccia.
Insomma un quinquennio di tergiversazioni finchè in quel gennaio del 1976 le ho telefonato.
Mi ha dato appuntamento a casa sua il giorno sette e ci sono andato da solo. 
Con il resto della combriccola - nel frattempo ci eravamo trasferiti nello stesso hotel delle Barberini e di altri che erano lì, ma di questo aspetto non ho nessuna memoria - si era d'accordo che ci saremmo trovati in un ristorantino greco della rue Descartes.
Virginie abitava con la madre in un piccolo appartamento elegante vicino all'Etoile.
Quando sono arrivato a casa sua stava ricevendo un gruppetto di amiche e amici che si preparavano ad una serata senza di lei. 
Si erano dati la briga di simulare una cortesia frettolosa nei confronti dell'italiano che arrivava a sottrargliela per l'occasione, erano  tutte e tutti blasè e altezzosetti, e nel campo i francesi sanno essere insuperabili, saldi fino al ridicolo.
Virginie non era come loro ma quasi.
Il cospicuo scambio epistolare di un lustro non aveva permesso alla mia  accondiscendente miopia di sospettare la trasformazione della ragazzina conosciuta a Sauze d'Oulx, una biondina delicata ed evanescente che si muoveva nell'orbita dell'amica Caroline.
Biondina era rimasta, ma delicata no, e tantomeno evanescente. 
Era brillante, con un piglio mondano decisamente sofisticato e risvolti di sussiego. 
Ad un certo punto, presentandomi, aveva accennato a quella lontana vacanza di Natale durante la quale ci eravamo conosciuti e a quella tipa che si chiamava Caroline, una stronzetta insopportabile, che si era ritrovata tra i piedi per tutto il soggiorno e della quale aveva faticato a liberarsi dopo il ritorno a Parigi. Una che abitava in banlieu, capirai. E gli amici avevano capito, sorridendo con sufficienza. 
Poi se ne erano andati ed eravamo rimasti io lei e un suo amico, un tipetto magro, occhialuto, simpatico ed eccentrico, frocissimo, che portava al collo un collare per cani di Vouitton, naturalmente senza guinzaglio, e che sarebbe venuto a cena con noi.
Lui ci caricò sulla sua Morris 1300, che era un'auto che mi era sempre piaciuta e che aveva avuto anche un mio zio, e su quella eravamo arrivati al ristorante greco.
Che va detto era poco più che una bettola, dove la mia banda si era già insediata, monopolizzando l'ambiente. 
Il titolare aveva sfoderato una chitarra e mi pare fosse Buky che stesse suonando.
Quello era un anno  che si cantavano canzoni da barricata e Buky, che per origine e censo avrebbe potuto essere alla stregua di Virginie e dei suoi amici, era al contrario, per l'appunto, barricadera.
Mi sono affrettato a sbronzarmi conscio del fatto che sarebbe stato difficile se non impossibile rendere la situazione omogenea, e invece poi tutto è filato liscio, abbiamo mangiato, bevuto, cantato e poi siamo finiti tutti in questo posto che suppongo fosse il nostro albergo senza che mai smettessi di corteggiare Virginie con esaperante discrezione.
C'erano delle scale in legno, una specie di atrio in penombra, questo lo ricordo con chiarezza, al punto che spesso sospetto che si tratti di un sogno, comunque è lì che ci siamo baciati. 
Il resto, oblio.




Buky Barberini, Fulvio Tasso, Pit, Lauretta Rognoni
Roberta Barberini e in basso Claudio Caudera
credo nel nostro hotel.



Dopo un lungo silenzio epistolare al quale non avevo dato peso un giorno nella buca delle lettere ho trovato una busta che ci era entrata a malapena. 
Conteneva un annuncio.







Era il '77 e là per là mi ero chiesto che genere di giovanotto nel '77 potesse essere un luogotenente di vascello,  un titolo altisonante e vagamente ridicolo, come del resto la partecipazione.
Però Virginie era così, me lo ero nascosto in tutti quegli anni, e lei ci era passata sopra per il tempo di una pomiciatina con un italiano sbronzo, uno che era stato fidanzato con quella stronzetta che viveva in banlieu. 
Una concessione.
Eppure non mi è mai riuscito di volergliene, mi faceva sorridere tutto quel suo sforzo di esibire un alto profilo anacronistico ma capivo che per lei non poteva che essere così. 
La sua famiglia, la sua storia avevano congiurato con successo per farne la moglie di un luogotenente di vascello che si chiamasse Cristoforo.







Naturalmente non sono andato al matrimonio e temo di non essermi neppure felicitato con un biglietto o un telegramma.
Ci avevo però scritto una canzone su tutta la faccenda - allora mi capitava di fare anche questo genere di sciocchezze - ma contrariamente ad altre non credo di averla mai suonata e cantata in pubblico.
Era una ballata malinconica, ispirata allo stile di Leonard Cohen - una palla mortale in realtà - che accompagnava lentamente l'uscita di Virginie dal mio orizzonte, come una peniche sull'acqua pacifica di un canale.

 

 Una peniche fotografata su un quai
proprio in quei giorni di gennaio del '76 

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