giovedì 18 ottobre 2012

ATTI MANCATI 8



Non ho mai realizzato un lungometraggio di fiction.
Questo è un dato che, più avanti, ricorderò quanto in una particolare occasione sia stato determinante.
Ho girato cortometraggi fiction e documentari che in termini di minutaggio sono lungometraggi (90'). Uno addirittura - "Lungo viaggio verso casa" - nella versione originale dura 5 ore. Però non ho mai realizzato un lungo di fiction.
Questo non significa che non abbia tentato. 
Non moltissimo, devo ammettere, e senza una gran determinazione, ma quella mi ha sempre fatto difetto.
Ci ho provato in due occasioni.
Provarci significa che prima scrivi il film, poi cerchi qualcuno che te lo produca. 
Ciò presuppone una serie di passaggi che a molti dei non addetti ai lavori sicuramente sfuggono, e dal momento che i miei due tentativi sono stati connotati da vicende particolarissime credo che meritino il racconto che se ne può fare in un paio di "Atti mancati".
Un film, quando nasce sulla carta, parte in genere da un cosiddetto soggetto - qualche cartella - in cui si riassume l'intera vicenda.
Il passo successivo, che molti saltano, è quello che riguarda il "trattamento": una lavorazione più lunga e articolata, in cui la vicenda si dipana corredata dai particolari, dal carattere dei protagonisti, da tutti gli elementi che ne fanno una specie di racconto lungo.
La sceneggiatura vera e propria suddivide quel racconto in scene, con le caratteristiche di luminosità (interno giorno, esterno tramonto, interno notte etc.) e lo arricchisce dei dialoghi.
E' un bel lavoro, impegnativo e piuttosto lungo, a seconda della chiarezza che chi scrive ha in testa riguardo all'avvicendarsi degli episodi della storia che intende raccontare.
Nei miei cassetti giacciono soggetti e trattamenti, ma ho scritto in tutta la mia vita solo 4 sceneggiature, e se si escludono le prime due, scritte una nel 1979 e l'altra nel 1980 e ambedue cestinate volontariamente pochi anni dopo, ne restano due, e sono quelle di cui vorrei raccontare.
Per questa puntata di Atti Mancati comincerò dalla seconda.
Nel 1990 ero ancora ad Ipotesi Cinema. 
Come è noto ai più, là l'argomentare riguardava soprattutto la relazione con il reale, con il quotidiano, che non è mai stato il mio forte, così quando Olmi insisteva perchè si scrivessero storie che avessero una vigorosa e originale inclinazione in quel senso, io mi ci sono messo più per scommessa con me stesso che con passione.
Ho deciso di scrivere la storia di un impiegato, e non avendo mai avuto esperienze del genere  ho sottoposto il mio amico Pierangelo ad un lungo interrogatorio sui ritmi, le caratteristiche, i vezzi, e i paradossi di un lavoro di ufficio in una grande azienda.
Lui si è prestato, e da quel notevole affabulatore che è mi ha indottrinato anche più di quanto mi aspettassi.
Per il resto, gradualmente, il mio protagonista, Aldo Liranzi, ha cominciato a diventarmi simpatico, e alla fine gli ero proprio affezionato. 
I luoghi della sua vita, che avevo solo e sempre immaginato, diventavano reali, mi convincevo che esistessero davvero. Insomma una lunga e comprensiva coestistenza che alla fine aveva avuto come risultato "Un febbraio di trenta giorni".
Ho portato la sceneggiatura a Bassano, e a questo punto vorrei saltare un passaggio, anche piuttosto lungo, perchè ancora adesso mi mette a disagio. 
Dopo mesi di attesa, ho scoperto che la mia sceneggiatura era "scomparsa".
Non saprò mai quali siano state le ragioni di quell'imboscamento nè a chi imputarne la responsabilità. 
Là per là non ne avevo sofferto, tenendo conto che tra il '90 e il '94 ho avuto un'attività piuttosto frenetica che mi aveva quasi fatto dimenticare quella sceneggiatura.
Quando mi sono finalmente deciso a fare le mie rimostranze ho dovuto consegnare una nuova copia e assicurarmi che venisse presa in considerazione. 
Olmi ne ha affidato la lettura a Toni De Gregorio, però io nel frattempo - e sinceramente non ricordo come - l'avevo inviata per partecipare al Premio Solinas.
Da quel momento tutto ha cominciato a filare. Ho superato la selezione e, nel 1996, sono stato invitato all'isola della Maddalena per partecipare alla consegna dei premi.





Allora il Solinas era non solo il più prestigioso premio di sceneggiatura del nostro paese, ma credo che fosse anche l'unico,  e la giuria era composta da un parterre de roi del nostro cinema che oggi sarebbe impossibile raggruppare (anche perchè certe figure eminenti sono nel frattempo decedute).




Questa è stata scattata l'ultimo giorno. Se ne erano andati
quasi tutti. Nella terza fila dal basso, a sinistra, il secondo è 
Rogerto Galante, che con me e Giovanni Fasanella, secondo e primo 
a destra in seconda fila dal basso, componeva la triade
dei secondi premi ex equo, o menzioni che dir si voglia.
In prima fila, tra Maurizio Nichetti e Andej Longo, c'è
Giorgio Arlorio. Andrej l'ho rivisto un anno fa.
Lo abbiamo invitato a presentare i suoi libri (Adelphi) in biblioteca.



Ho conosciuto persone simpatiche, ho goduto di seminari con alcune tra le figure leggendarie della sceneggiatura, ho rivisto vecchie amiche ed amici del tempo di Roma, sono stato lusingato dai giudizi dei giurati.








la scheda di Leo Benvenuti




Leo Benvenuti e Giorgio Arlorio


Piero De Bernardi e Giorgio Arlorio


la scheda di Giorgio Arlorio



Non ho tutte le schede dei giurati, ma quelle che ho le posto. Mi sento autorizzato a pavoneggiarmi un pochino. 
Non a tutti è accaduto di venir giudicato per la propria abilità narrativa con parole che ancora oggi mi rincuorano.


la scheda di Sandro Petraglia



la scheda di Paolo Virzì




la scheda di Maurizio Zaccaro



Dunque una settimana di vacanza, con gli ultimi bagni in mare, serate con liquore di mirto e rock and roll, una chiacchieratina con Procacci che, se non fossi stato sbronzo, forse avrebbe sortito risultati meno evanescenti.











Ho incassato il mio assegno e mi sono preparato a tornare a casa nella convinzione che, ormai, la cosa fosse fatta.







Il ritorno ad Ipotesi Cinema con un premio all'attivo modificava l'atteggiamento nei miei confronti. 
L'allora capo struttura di Raiuno per il cinema, Alessandrini, un giorno che era venuto in visita, mi aveva invitato a passare da lui a Roma per parlare del mio film.
Da questo momento in avanti gli eventi si accavallano nella mia memoria in maniera confusa.
La decadenza di Ipotesi Cinema, la morte di Alessandrini, il mio emanciparmi produttivamente trovando altri interlocutori nell'ambito del documentario, hanno fatto sì che, di nuovo, io abbia dimenticato il "Febbraio", finchè un giorno del 1998 ricevo una telefonata da Stefano Rulli, della coppia Rulli/Petraglia, giurati del Solinas. 




le due facciate della scheda di Stefano Rulli



Lui ricordava la mia sceneggiatura, e mi segnalava un bando di concorso per un un laboratorio internazionale di specializzazione per sceneggiatori varato da Scuola Nazionale di Cinema e Cineteca Nazionale.
Una cortesia che, ancora oggi, mi meraviglia. 
Alla Maddalena non avevamo scambiato che poche parole, erano passati due anni e quest'uomo mi rintracciava per segnalarmi un'opportunità.
Mi auguro di aver, almeno una volta nella vita, saputo fare altrettanto per qualcuno.








I miei appuntamenti a casa di Suso Cecchi d'Amico con Francesco Bruni per "lavorare" sulla mia sceneggiatura conservano il sapore di un tuffo in un mondo fatato dove lei ci parlava del cinema dei giganti con i quali aveva lavorato.
Sedevamo ad un tavolo in un bow window affacciato su via Paisiello, e io ancora non sapevo che a pochi metri da dove ci trovavamo si era schiantato, all'alba di molti anni prima, sulla sua Thunderbird, Fred Buscaglione, e neppure sapevo che entro poco più di un anno avrei trovato un produttore per il mio film proprio su Fred.
Terminata questa fase inizia quella conclusiva.
Francesco Bruni mi aveva messo in contatto con Donatella Botti e la sua Bianca Film.
A lei il "Febbraio" interessava, e ci siamo messi a lavorarci su.
Siamo arrivati addirittura al casting. 
Ricordo una lunga chiacchierata con Roberto Citran, che sarebbe stato un Liranzi molto convincente.
Quello che è successo in seguito è che Donatella ha intrapreso i passi per coinvolgere nella produzione Raiuno. 
La responsabilità di decidere, dopo la scomparsa di Alessandrini e dopo Cereda, era stata suddivisa tra due figure, una che si occupava degli esordienti e l'altra del resto.
Responsabile degli "altri" era Cecilia Valmarana, amica di Olmi e Alessandrini, figlia di quel Paolo che aveva contribuito a creare Ipotesi Cinema, nonchè mia vecchia fidanzata (vedi "Un mestiere"). Questo non significa che ci avrebbe semplificato la vita, ma almeno sapevo che la mia sceneggiatura le era piaciuta.
Ad occuparsi degli esordienti era tal Brancaleoni, che non ho mai incontrato.
E torniamo a riferirci a quello che dicevo all'inizio. 
Pur avendo alle spalle una sessantina di regie ero, per ciò che concerneva il lungometraggio fiction, da considerarsi un esordiente.
Brancaleoni si dichiarò incerto sul mio film. 
Non lo convinceva. 
Io non ho mai avuto modo di parlargli, ma dubito che avrei saputo fargli cambiare idea.
Così dopo anni, con soprassalti di delusioni ed entusiasmi, attestati di stima e lunghi interregni di silenzio, montagne russe di emotività cimentata dalle concomitanze più imprevedibili ( ho cercato di essere possibilmente sintetico, saltando dei passaggi, vuoi per amore di brevità, vuoi perchè tendo a dimenticare le cose che non hanno funzionato, così che questa sequenza di "atti mancati" è un bell'esercizio di vigilanza mnemonica, anche se in parte spiacevole ) "Un febbraio di trenta giorni" si è arreso, nel senso che io mi sono arreso per lui.
So che molti miei "colleghi", con quelle credenziali, non si sarebbero dati per vinti. Ma io sono fatto così.
A un certo momento individuo una cesura, un limite oltre il quale mi sembra superfluo andare. In fondo somiglio, per certi versi, al mio personaggio Liranzi.
C'è un verso di una poesia di Sandro Penna che recita così (più o meno. Se sbaglio una parola i suoi estimatori mi assolvano. Lo amo almeno quanto lo amano loro) 
"Vivere vorrei addormentato nel dolce rumore della vita".
Un ambizione condivisibile. Condivisa.

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