giovedì 5 settembre 2013

DI TUTTO UN PO' 4



Avevo annunciato che mi sarei dedicato a rimembrare alcune "comete" che hanno attraversato i miei cieli di molti anni fa, e allora eccoci.







Avevo sentito più volte parlare di lei dalla Ciochi, che la descriveva con ammirazione come una sciupamaschi allegra e senza scrupoli.
Era sua coinquilina nella casa che Ciochi aveva in via Riva Reno, a Bologna, e che ho frequentato per anni, vuoi per lavoro, vuoi per diporto, sempre con piacere, per soggiorni  spesso animati da eventi inattesi, come ad esempio la  presenza, a quel mio arrivo nel febbraio del 1982, della suddetta coinquilina. 
Monica.
Lei era di passaggio, mi pare di ricordare che stesse decidendo di lasciare Bologna - era anche lei di Parma, come la Ciochi - che avesse una storia importante da qualche altra parte, non so.
Io mi ero fatto un'idea di lei dai racconti e osservando un paio di fotografie inserite tra altre in un collage sulla porta di un armadio, accanto all'ingresso del bagno, e che ora non riuscivo a ricollegare alla ragazza che avevo di fronte.
Sapevo che la Ciochi tendeva a descrivermi alle sue amiche come descriveva Monica ai suoi amici, per cui credo che sia stato inevitabile che trascorressimo i primi momenti a soppesarci reciprocamente, indifferenti al bailamme di andirivieni, musica, fumo e festa che erano una caratteristica abituale del domicilio di via Riva Reno ( credo che la dicitura esatta sia Riva di Reno ) e di tutte le case di universitari, da sempre e ovunque. Anche se dalla Ciochi in fatto di casino si tendeva al semiprofessionismo.





 subordinata A

Di passaggio da Via Riva Reno, oltre al gruppo degli aficionados, ho incontrato di volta in volta Bifo Berardi, Andrea Pazienza e il fondatore della casa editrice con la quale ho pubblicato 26 anni dopo, Pier Vittorio Tondelli, che non ricordavo di aver fotografato su un divano di via Riva Reno accanto alla Ciochi, e che ho ritrovato con emozione, anche perchè è una figura di riferimento "spirituale" importante per Janis.





 Tondelli e la Ciochi - 1985

 


Ma torniamo all'82.
Monica chiacchierava e rideva appollaiata su uno degli sgabelli del tavolo che separava la zona cucina dal soggiorno.  





subordinata B

Il tavolo, con due ospiti di cui non ricordo i nomi.







Mentre la osservavo di sottecchi chiedendomi come sarei riuscito ad affrontare la situazione lei mi aveva rivolto un'occhiata eloquente, più divertita che seduttrice, di quelle che ti smascherano, dichiarando che sanno cosa ti passa per la testa.









Così non avevamo seguito gli altri, che si avviavano in banda per locali nella notte bolognese del soft punk primi anni ottanta... 




 subordinata C



 habituées di via Riva Reno




 Ignazio Orlando, bassista e session man con Valeria Medica



...e ci eravamo regalati una serata a due  che credo si possa definire essenzialmente cameratesca.
Lei era molto meglio del personaggio che avevo immaginato.
Nella casa di Via Riva Reno il suo quartierino era su un minuscolo soppalco sopra la porta d'ingresso, che sarebbe  passato negli anni successivi ad Ignazio.
Lassù, alle prime luci dell'alba, ci eravamo scambiati un'occhiata molto ravvicinata e io mi ero incantato per un luccichìo nei suoi occhi che, se chiudo i miei, rivedo ancora adesso. 
Là per là lo avevo inteso come di partecipazione, ma con il passare del tempo gli ho attribuito un'infinità di ragioni, dalla malinconia al rammarico, dalla stanchezza ad un'idea che avesse consapevolezze che a me mancavano.
Il giorno dopo se n'è andata e, malgrado io abbia frequentato quella casa fino al 1986, non l'ho più rivista.
Prima di abbandonare il campo anch'io definitivamente, ho staccato le sue due fotografie dal collage sulla porta dell'armadio e me le sono portate via.
In nessuna delle due è la Monica che ho conosciuto ma per la memoria è sufficiente quel luccichìo.




  








Quasi due anni dopo, per l'esattezza il 21 dicembre del 1983, sono approdato in via Riva Reno per non so quale ritocco da apportare a non ricordo quale film.
Allora i miei lavori, tutti ancora in pellicola, li montava Paolo Cottignola nel suo formidabile studio di via S. Felice, e quindi ogni volta che c'era da andare in moviola io scendevo a Bologna da Torino o da Rueglio o da Bassano. 
Erano tempi un po' nomadi, per me.
L'ospitalità generosissima della Ciochi era provvidenziale. 
Questa volta, proprio a ridosso del Natale, sapevo che avrei trovato l'appartamento deserto.
Invece qualcuno c'era.
Questa è una storia che può apparire infiorettata di abbellimenti letterari, ma così non è. 
Ci tengo a precisarlo perchè persino per me ha conservato vaghezze oniriche, e l'assenza di immagini fotografiche aumenta la friabilità del ricordo.
Marta non l'avevo mai incontrata ma avevo sentito parlare molto di lei.
E adesso era lì. 
Eravamo lì tutti e due, anche un poco a disagio. 
Lei era venuta a Bologna per non so quale esame di abilitazione per diventare notaio, che avrebbe sostenuto il mattino successivo.
In quell'atmosfera malinconicamente prenatalizia, dopo esserci presentati, avevamo cercato un ristorante vicino a casa e avevamo trovato un posto che non conoscevo, semideserto e poco illuminato, ma in quell'atmosfera eravamo comunque riusciti a parlarci di noi, a intraprendere i passi allertati del rivelarsi con cautela.
Insomma, la notte era trascorsa e il mattino dopo lei era uscita molto presto per il suo esame.
A ripensarci ora non mi spiego perchè prima di uscire a mia volta, invece di lasciare il numero di telefono dello studio di Paolo e chiederle di chiamarmi, avessi scritto un messaggio dove la invitavo a decidere se un tentativo tra noi potesse essere fatto o se dovessimo lasciar correre, limitandoci a tenere - o abbandonare - il ricordo di quella notte.
La sera, al ritorno in via Riva Reno, non avevo trovato risposte al mio messaggio, o meglio, l'assenza di un suo messaggio era una risposta inequivocabile.
La conclusione può sembrare deludente, lo so, ma quello che è intercorso in quella manciata di ore, dal mio ingresso  in quella casa nel tardo pomeriggio senza aspettarmi lei, fino al suo allontanarsene il mattino dopo, quel tempo che mi appare separato da tutto e da tutti con noi due dediti e perplessi e soli, davvero solo noi due, come naufraghi, ancora oggi lo vivo come un bellissimo e dolente regalo di Natale. 







Mi rendo conto che queste mie rievocazioni possono essere fraintese, lette come melensaggini di uno che non fa che ripiegarsi sul trascorso, e ho il sospetto che possano anche apparire irritanti.
Quello che forse non riesco a trasmettere è che non c'è maliconia, e neppure rimpianto, ma serena constatazione, e simpatia autentica, direi affetto, per le persone che costellano questi "amarcord".
Simpatia e affetto che, per quanto occasionalmente, ho avuto modo di verificare, sono ben indirizzati.
Proprio a questo proposito chiudo così.








Per avvicinarmi al prossimo  "breve incontro" devo partire dall'immagine qui sopra.
Una Jeep Willys MB, un capriccio durato un paio d'anni, lunga come una 500 e di 2200 cmc di cilindrata, che "beveva" come una spugna ma si inerpicava su pendenze che facevano esitare gli altri fuoristrada, e a bordo della quale ero sceso a Parma nell'estate del 1977.
Avevo viaggiato nella configurazione di cui sopra, vale a dire con parabrezza abbassato, alla velocità di crociera di 70km/h (la massima mi pare fosse 90).
La jeep ritratta sopra naturalmente non è la mia, che a suo tempo non avevo fotografato, ma assolutamente identica, l'unica differenza che ci vedo, a parte i numeri di matricola, sono i manici di pala e ascia, che sulla mia conservavano il color legno.
Il viaggio era stato interminabile ma esibizionisticamente impagabile.
Poi, nella canicola agostana, avevo raggiunto un gruppo di amiche ed amici in una piscina fuori città. 
Non ricordo chi ci fosse con noi e neppure saprei dire come e perchè, ad un certo punto, ci si sia ritrovati da soli, in acqua, io e lei. 
Silvia la conoscevo poco ma mi incuriosiva molto.
A un certo punto ci siamo messi a giochicchiare in un punto dove si toccava, emergendo soltanto con le spalle e la testa. 
Certi balzelli, certe piroette di eccitazione infantile, favorivano l'avvicinamento dei corpi, il loro temporaneo aderire l'uno all'altro per poi separarsi, come se quel rituale subacqueo di corteggiamento fosse il risultato casuale di un gioco innocuo.
Poi il cielo si era rannuvolato e si era scatenato un temporale estivo coi fiocchi.
In fuga, ancora umidi del bagno, avevamo finito di inzupparci di pioggia, malgrado il parabrezza alzato.










L'approdo era stato a casa mia, in via Rismondo. 
Neppure di Silvia ho fotografie, anche se mi piacerebbe.
Ma in un vecchio post (21 marzo 2011) in un "pacchetto" di super 8 parmensi,  ci sono frammenti di "Incompiuto", un filmetto per l'appunto mai portato a termine, ispirato da ragioni di cui rendo conto in un altri due post: uno del 30 gennaio 2011, alla fine della prima parte del racconto "Un mestiere", e l'altro il 1° febbraio, all'inizio della seconda parte.
I frammenti di "Incontro" poi rititolato "Incompiuto" e infine eliminato forniscono, al termine, un'evanescente comparsa di Silvia. 
L'ho "rivisitato" rallentando l'immagine di lei.









Nella prima parte si vede qualcosa della mansarda dove vivevo, quella in cui quel giorno ci siamo rifugiati, zuppi di pioggia, Silvia ed io.
Lei aveva un musetto da bambina, occhiali rotondi da miope e una voce profonda dal tono risoluto.
Bene. Prima ho detto che ho avuto modo di verificare che l'indirizzo dell'affetto e della simpatia che manifesto nei confronti di alcune figure in questo blog è appropriato.  
Queto vale sicuramente per Silvia, perchè l'ho rivista.
Il 25 maggio 2011, a Parma, trentaquattro anni dopo quel giorno d'estate, in occasione della presentazione de "Il sostituto". 
A un tratto è comparsa, attraente, disinvolta, ironica, senza occhialini rotondi ma con quella stessa voce particolare.
Nella tavolata della cena che ha fatto seguito alla presentazione del libro è finita seduta lontana, quindi non ci siamo detti granchè, e io avevo voglia di chiederle di lei, di sapere cosa era accaduto in tutti quegli anni e - perchè no - se serbasse come me la memoria di quel temporale.
Però è andata bene così, perchè era un tipetto in gamba da ragazza e ho avuto la sensazione precisa che continui ad esserlo. C'era qualcosa che mi faceva sentire immaturo di fronte a lei quando eravamo giovani, e credo che si sarebbe fatta una sonora risata se avessi avuto modo di accennare cautamente all'idillio transitorio.



Tra l'altro ero convinto di aver fatto un post di quella presentazione a Parma, e invece no, forse perchè per me era stato particolarmente toccante, e allora chissà quando mi convincerò di saperla affrontare.
La Ciochi aveva organizzato una rimpatriata coi fiocchi.
A parte lei, Paola e Vanna che avevo rivisto in occasione di un paio di cene il 22 aprile del 1993 e il 19 marzo del 2009 ( Non ci vediamo spessissimo, lo ammetto...)




Nella foto grande Ciochi, Vanna e, in piedi, Paola
a capodanno del 1979 a Bardone nella casa di
campagna di Paola. In basso a destra loro tre dopo 
la nostra cena del 2009.




...tutti gli altri convenuti mi "mancavano" da più di trent'anni.
Di Sandra Chiari ho detto nel post "Via Garibaldi, Parma" del 23 aprile 2011 e poi ancora in quelli del 24 giugno e 15 luglio 2012. 
Cristina Bottari figura nel racconto "Un mestiere", nel quale riveste una significativa importanza Armando Chitolina








che è comparso e scomparso troppo rapidamente la sera della presentazione.  




 subordinata D


Appare in una foto nel post del 4 febbraio 2013 "Tuffi salti e capriole", poi spunta brevemente in coda alla silloge di super 8 del 21 marzo 2011, nella panoramica subito dopo Silvia e - come ho detto - nel post del 1° febbraio 2011, nella seconda parte di "Un mestiere", dove è ritratto anche in paio di fotografie.





Ecco che sono partito da un'idea e sono approdato ad un risultato imprevisto, come accade con frequenza. 
Che ci si creda o no per me queste sono vere e proprie passeggiate in compagnia delle persone di cui scrivo, dedicare loro le poche parole di questo post significa, per me,  prepararmi all'incontro virtuale, rintracciarne i segni tangibili  e quelli evanescenti, trascorrere tempo bonario e pacificato accanto e persone che non sanno che in quel momento io sono lì, con loro. 
E' una sensazione che mi piace, data da uno di quelli che Roberto Costantini - altro protagonista parmense di quell'epoca - chiamava "riti degradati".





 Roberto e Pit - Roma 1980



E allora, officio.

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