venerdì 25 marzo 2011

CARTOLINE

Fanno parte di quello sterminato quantitativo di cose inutili che sono patrimonio di ogni casa.
C'è chi le colleziona, chi le insegue nei mercatini raccogliendole per argomenti. Spesso finiscono nella spazzatura. A volte, conservate, acquisiscono con il tempo il fascino dell'epoca in cui sono state scelte e spedite.
Forse una parte di quest'ultimo aspetto riguarda il mazzetto di quelle che ho salvato dai ciclici e spietati repulisti cui mi accingo con una certa frequenza, con inspiegabile senso di liberazione.
A suo tempo tutte hanno sortito su di me lo stesso effetto: mi hanno mesmerizzato, come accade per certe fotografie, costringendo ad un'indagine minuziosa ed incantata.
Sono le cartoline che tengo come segnalibri, e dal momento che ho la bulimica abitudine di leggerne diversi contemporaneamente occorre che siano in numero adeguato. Ce ne sono di relativamente recenti, nel senso che le ho scelte io, magari in un museo di Londra o di Parigi, oppure ricevute da amiche scomparse o amici perduti molti anni fa. E poi ci sono quelle cui intenderei fare riferimento in questa cosa che sto scrivendo e non ho la più pallida idea di dove mi porterà.
Sono le cartoline di un tempo più remoto, meno consapevole.
Provo a spiegarmi.


Questa ad esempio.
Apparentemente non si differenzia dalle molte altre arrivate in casa mia dall'America Latina negli anni '50.
I miei nonni materni vivevano là, mio padre, in seguito, ci andava per il suo lavoro.
La cosa curiosa è che avevano tutte la stessa struttura: quasi sempre in bianco e nero, con la cornicina bianca, e le indicazioni di località e stampatore a volte in grafia manuale, anche sul fronte, come in questo caso. Sia che arrivassero dall'Argentina, dal Brasile o dal Cile.
Molte quindi, e relativamente indifferenziate.
Ma com'è allora che, ad esempio, su questa mi sono fermato, me ne sono lasciato sedurre ?
Ricordo che cliccandoci sopra si ingrandisce, lo faccio perchè adesso ci andiamo dentro.
La cartolina, come vedremo, è stata spedita a mio nonno probabilmente in una busta - non è affrancata -  nel settembre del 1955. Si usava così, credo, quando la comunicazione si preferiva restasse personale.


E qui c'è il primo arcano irrisolto. Chi sarà questo Gianni che nella firma elegante però impedisce la decifrazione del cognome ?
Da ciò che scrive, tra l'altro in un italiano corretto e, per certi versi, anche ricercato ( vedi ad esempio  l'uso del termine disorientato ) sembrerebbe trattarsi di una specie di emissario d'affari di mio nonno.
Ma i miei nonni allora vivevano a Buenos Aires, cosa c'entra Sao Paulo ?
Torniamo alla fotografia.
Sembrerebbe essere stata scattata da una posizione rilevata e terrazzata. Dove ?
San Paolo in quegli anni si apprestava a diventare una metropoli molto importante, gli edifici sullo sfondo lo dichiarano inequivocabilmente, ma qui dove siamo c'è assenza di spirito convulso urbano, c'è pace. Viali alberati, lampioni eleganti, una rotonda con palmetta al centro, una geometria sinuosa ma confortante.
Dov'è questo posto ?  A distanza di più di cinquant'anni cosa si conserva di allora ?
Sicuramente la strada a doppia corsia che sembra comparire da un sottopasso, se è ancora lì sarà zeppa di traffico. Qui di auto ne conto tre, un paio quasi sotto il cartello pubblicitario della GoodYear. E' tutto come sospeso, in uno stato di solo apparente abbandono.
Dietro la facciata dell'edificio sulla destra, nello stesso istante in cui il fotografo della Fotopostal Colombo scattava, decine di persone di cui non saprò mai nulla vivevano. Per ovvie ragioni anagrafiche la maggior parte di loro saranno probabilmente morte, ma ci saranno stati anche dei bambini, delle mie coetanee e miei coetanei oggi sessantenni, con i quali non ho mai giocato.
Conto i piani, scruto finestre e balconi, so di loro, so che sono lì. Sono libero di immaginare gioie e drammi, quotidianità ed eventi, abiti, stoviglie, poltrone e soprammobili in una sequenza senza fine e senza che mai tutto ciò abbia la benchè minima possibilità di una verificabilità.
Non so perchè lo faccio. Il rammarico così simile ad una specie di ansia di non sapere di loro - e di conseguenza di tutti e di sempre - sembra attenuarsi nel pacificare lo sguardo su quel palazzo e sulle esistenze irrintracciabili che racchiude.
Il gioco dei rimandi è infinito. Chi era il fotografo ? Quali erano i suoi sogni, le sue aspirazioni ? Era buono o cattivo ? Quelle nuvole del cielo promettevano pioggia ?
Giro la cartolina e torno a rileggere le parole di Gianni.
Mio nonno, dopo il suo ritorno in Italia, è vissuto fino al 1970. Ciò significa che quando ha ricevuto questo messaggio gli restavano 15 anni. Lo avrà immaginato ? Se lo sarà chiesto in quei giorni argentini "Quanto tempo ho ancora ? Magari solo quindici anni ?".
Per un uomo di circa sessant'anni è una domanda comprensibile, io ad esempio me la pongo con frequenza per certi versi eccessiva. Ma il verdetto ? Quello lo conoscono solo i sopravvissuti, ma non conoscono nient'altro. Intendo dire che io so in che anno è morto mio nonno ma non ho la più pallida idea di che cosa facesse in Argentina. 
Potrei chiederlo a mia madre ma mi mentirebbe, perchè sono certo che neppure lei sa per certo, però non lo ammetterebbe mai, e allora inventa.
Ci sono frammenti di vita delle persone di cui si ha documentata conoscenza e poi questi buchi, che stranamente non si è spinti a colmare. In fondo era mio nonno, perchè solo adesso mi chiedo quale potesse essere la sua vita a Buenos Aires ?
Mia madre, che non ne sa molto più di me, in un articolo di qualche anno fa che faceva parte di una sua serie sull'emigrazione,  ne aveva tracciato un ritratto di cui mi sono accontentato, e adesso che vorrei sapere chi era Gianni e di  che genere erano le sue "cognizioni" che aumentavano, resto lì, e posso solo girare la cartolina ed osservare il viale, il palazzo, e supporre vite sconosciute dietro le finestre, nei confronti delle quali provo un'inspiegabile empatia.










Così  si apre un gioco di scatole cinesi che è poi quello che contraddistingue il mio percorso di scrapbooking, ma quello che più mi piacerebbe sapere è quanti bambini o bambine che abitavano in quel palazzo - quello della cartolina, intendo - oggi stanno facendo altrettanto per altre cartoline, spedite da altri Gianni ad altri nonni. Perchè è possibile. Che lo stiano facendo, voglio dire. E allora si finisce davvero con l'essere sempre solo tra gli altri. E provare, confusamente, a dirlo.
Dall'Argentina ricevevo formidabili biglietti d'auguri, di un genere ancora inedito in Italia.










Si cercano strumenti per fronteggiare l'indicibile, per pensare l'impensabile, come queste figurette che riconducono pacatamente al verificabile . 
Un'ultima pagina di scrapbooking mostra una busta che rassicura per i suoi indirizzi e mittenti, anche se arriva da Caracas e non più da Buenos Aires, e dice anche che cosa ci faceva là mio nonno. 
Il timbro postale indica che siamo nel 1958, tre anni dopo Sao Paulo, e io ricomincio: e Gianni, intanto, che fine avrà fatto ?...



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