domenica 10 luglio 2011

Festival




Ci ho pensato a lungo prima di decidermi a postare questo racconto. 
Come siglato in calce risulterebbe scritto a Parma nel 1979, cosa piuttosto improbabile dal momento che io, da Parma, me ne sono andato alla fine del '78. E' plausibile che lo abbia iniziato là, durante uno dei miei saltuari pellegrinaggi nostalgici, ospite di quel tesoro della Sandra Chiari - che tra l'altro mi ha inviato un prezioso SMS proprio oggi (e mi è parso un segno) - e che lo abbia ultimato chissà dove.
Parlo di una breve sequenza di episodi della mia vita - come al solito - citando persone che forse preferirebbero essere lasciate fuori dai miei ricordi frammentari, tra l'altro forse non corrispondenti con i loro.
Coraggio. Tra un po' avrò dato fondo ai residui, di cui riconosco il dubbio valore letterario ma che titillano la mia nostalgica tenerezza vagamente senile.



 Pit Formento e Florestano Vancini




 

FESTIVAL

1
             

- Venti settimane di lavorazione ?
Lo chiedo con stupore, curiosamente senza invidia, e Signetto annuisce, agguantando i wurstels ed intingendoli abbondantemente nel vasetto di senape.
- Anghelopulos é una belva ! - dice a bocca piena scuotendo la grossa testa.
Aggiunge che ora sta dai suoi, in attesa di un nuovo ingaggio.
In birreria c'é poca gente. Per Ivrea é già tardi. Gli amici mi aspettano impazienti sulla porta, così ci scambiamo i numeri di telefono e Signetto smette per un momento di maneggiare sapientemente i suoi wurstels.
Questo averlo incontrato per caso in un posto dove non me lo sarei aspettato, a ricordarmi altri posti e tempi che fanno parte di un passato irrisolto, mi ha messo fretta di tornarmene alle montagne.
Mentre guido lungo la strada stretta che sale tra i vigneti ripenso alla prima volta che l'ho visto.
Era ubriaco, seduto sui gradini del Palazzo del Cinema al Lido, a parlare ad alta voce, con arroganza, a gente come lui: cinefili sotto i trent'anni.
Cippo si era avvicinato al gruppo e Signetto lo aveva accolto con la sua allegria barcollante.
Ci eravamo seduti allora anche noi sui gradini ed avevamo lanciato sguardi di bellicoso disprezzo agli abiti eleganti che sfilavano sopra di noi per la Prima di quella sera. Un diritto sacrosanto per i giovani talenti temporaneamente misconosciuti che tutti eravamo convinti di essere.




2



- Il traghetto parte solo tra un'ora.
Cippo mi guardava perplesso, senza capire perché io ridessi di quel contrattempo, ed io non avevo voglia di spiegargli che quando sono stanco per un viaggio, e quando la fine del viaggio é Venezia dove c'é un'amica da ritrovare che conosco appena, anche se già immagino l'avventura che avrò con lei prima ancora di sapere se vorrà ospitarmi per questa notte oppure no, allora mi lascio andare a questo ridere fragile.
Lui si era voltato verso l'imbarco con aria un po’ offesa, come se pensasse che stavo ridendo di lui.
- Allora prendo una camera a due letti ?
Era ancora dubbioso. Non riusciva a spiegarsi perché, dal momento che eravamo venuti per il Festival, io volessi restare a Venezia per quella notte, andare all'appuntamento con l'amica che temevo di non riconoscere.
Poi finalmente si era deciso e mi aveva lasciato libero.



3


Alla fermata galleggiante ero rimasto ad attendere per una mezz'oretta prima che Gianna arrivasse.
Avevo colto quella sera calare e sgombrarsi il canale di vaporetti; avevo spiato le luci accendersi nelle case sull'acqua e immaginato storie di gente là dentro, ripensato ai giardini che sapevo nascosti dietro certi muri fatti per incuriosire: teneri giardini silenziosi e serali, rubati al mare sciabordante, deserti.
Poi Gianna era sopraggiunta da un portico, avanzando verso di me con un sorriso incerto, mentre io superavo il timore di non riconoscerla.
Tornai a guardare quelle gambe, che avevo seguito con un'occhiata avida sul traghetto che portava alle Eolie un mese prima. Provai lo stesso affanno desideroso nel ritrovarle ancora abbronzate, muscolose e forti d'un passo ballato, come nel momento in cui mi erano sfilate davanti, mentre me ne stavo sul mio sacco a pelo, a leggere sotto una scialuppa sospesa.
Lei si era chinata ed era apparso il viso, il naso aquilino, le mani abbronzate, la voce con accento veneziano a stupirmi per quella richiesta formulata dopo un rapido sguardo valutativo.
- Mi fai un po’ di posto ? Qui é tutto pieno.
Non avevo ancora risposto di sì timidamente e già immaginavo di farci l'amore con Gianna; un amore turbolento che quello spazio esiguo al riparo della scialuppa avrebbe certo reso impraticabile.
Infatti non facemmo altro che parlare, scivolando attraverso la notte sul sussurro del mare confuso nel buio. I baci e le carezze che tentai furono respinti con cautela. Sfiorai quelle gambe, mi lasciai raccontare le sue nevrosi, mi addormentai.
Scesi a Panarea, stordito dalla prima luce del giorno con il suo numero di telefono in tasca.
Lei mi cercò poi a Stromboli dopo che io già me ne ero andato, ramingo e senza pace, e Giorgio, che era rimasto, la conobbe per caso e le raccontò di me quello che lei voleva sapere.
Poi venne il Festival.
Ero stato segretario di edizione per Florestano Vancini durante le riprese di "Un dramma borghese" e il film era stato selezionato per la rassegna.
Cippo mi aveva parlato di Cannes dell'anno prima, io non ero mai stato ad un Festival di Cinema, l'estate finiva e così mi lasciai convincere.


4



La casa della sorella di Gianna é in un vicolo che pare disegnato da un bambino: un po’ sghembo, incompleto. Le scale sono ripide, gli alti gradini logori si avventurano in una penombra tiepida.
Gianna mi precede e parla di Stromboli e di Giorgio, mentre io fingo di stupirmi, di non sapere.
L'appartamento é sotto i tetti, accogliente. Al di là d'una finestrella un'altana, più in basso, mi fa ripensare agli spazi nascosti dove Venezia é deserta, senza intrusi.
Gianna mi offre da bere e si accoccola sulla poltrona di giunco, appoggiando i piedi nudi sul tavolino di fronte.
Si parla di noi, riprendendo guardinghi certi discorsi lasciati a metà, quella notte sotto la scialuppa.
Io mi distraggo, lascio fluire le mie parole esponendole al rischio di essere senza senso, aggrappandole ogni tanto alle sue che ascolto con distrazione, perché sto guardando le sue gambe e concentro, senza poterne fare a meno, tutta la mia attenzione su quelle, spudoratamente.
Gianna non finge di non accorgersene. Parlando muove le sue mani forti con eleganza distratta. Tutto in lei dà un'impressione di forza agile: le spalle larghe, i muscoli abbronzati che disegnano la curva attraente dell'ascella, quel naso aquilino.
Sono quasi certo che quelle mani chiuse saprebbero diventare pugni temibili anche se lei, con tutte le sue incertezze, i suoi affanni, non li userebbe mai.
Si alza e va alla finestrella. Guarda sull'altana aspettando che io la raggiunga, che la tocchi, che le accarezzi i fianchi sotto la gonna, che le cerchi con i denti la nuca sotto il groviglio biondo dei capelli.
Non si volta. Solleva le braccia con un gesto lento e stringe le sbarre della finestrella. Un modo di offrirsi che non potevo immaginare, così come quello di piegarsi un poco a porgere quella parte di sé dentro la quale voglio entrare. E non distoglie lo sguardo dal cielo che si prepara alla notte.



5


Il sole é come caduto dall'altana e scivolerà presto in mare, dietro le case silenziose.
Gianna non ha detto nulla, ha chinato la testa e inarcato la schiena, tenendosi aggrappata all'inferriata. Così ora che mi lascio cadere esausto sulla poltrona di giunco lei resta là, e il mio desiderio soddisfatto con furia, impoverito da quell'assenza di lei, diventa una stanchezza umiliante, una voglia d'andarmene.



6


Signetto parlava d'una riduzione da Bataille.
Aveva appena finito d'interpretare la particina d'un barista in un film di Straub.
Quella sera nella trattoria c'era un'atmosfera febbricitante. Si galoppava tutti quanti contro i nostri mulini a vento in una confusione apparentemente lucidissima.
Signetto, ubriaco, se la prendeva con Cippo.
- Allora il super 8 lo usi come una Bic o come una Parker d'oro ?
Cippo perdeva le staffe a modo suo, in un'incontrollata successione di tic nervosi mentre altri incalzavano, compresa quell'amica che lui cercava sempre di evitare e che quella sera era riuscita ad aggregarsi. Sedeva alla mia destra e l'afrore sottile che emanava dal suo corpo mingherlino mi procurava una specie di assurda ebbrezza.
Quando arrivammo all'Arena lo spettacolo era appena iniziato ma la maggior parte rinunciò di entrare, rifiutando di  perdere i titoli di testa, così ci dividemmo.
Io trovai posto accanto a Evelina.
Allora credevo di amarla.
Andavo pazzo per la sua imperturbabilità.
Scivolai sulla poltroncina scomoda ed appoggiai le ginocchia al sedile davanti. Rimasi tranquillo e immobile nonostante il freddo che arrivava dal mare con folate di vento umido.
Evelina sbadigliava con adorabile delicatezza, il capo appoggiato alla spalla del fidanzato romano, che non era antipatico come dicevano tutti.
Il film era francese. Bello.
Si intitolava "Passemontagne" e mi fece venir voglia di tornarmene a casa.
Così il giorno dopo scappai a Venezia ma perdetti l'ultimo treno praticabile per le coincidenze, così tornai al vicolo dipinto.
Risalii i gradini nel buio e quando suonai non sapevo ancora che cosa le avrei detto di quel mio ritorno.
Venne ad aprire Laura, la sorella che non conoscevo.
Disse che Gianna era a Mestre.
Io ero fermo sulla porta, con la borsa da viaggio il mano e un sorriso sciocco sulle labbra.
Lei mi invitò ad entrare un momento.
Sedette sulla poltrona di giunco con gli stessi gesti della sorella.
Bruna quanto Gianna era bionda.



7



Ho lasciato questa storia a languire per qualche giorno ed ora che l'ho ripresa in mano capisco che non voglio raccontare, come ero certo che avrei fatto, di quell'ultima notte a Venezia con Laura.
Forse perché fu una bellissima serata e lei salvò un tempo che é diventato ricordo e che vorrei tenere per me. Una cosa che faccio di rado.
Così chiudo qui, con un briciolo di rimorso ma nello stesso tempo con la sensazione di conquistarmi qualcosa di ancora indefinito nel saper tacere almeno una volta, cogliere un'occasione d'essere parsimonioso della mia memoria, scrivere che non scriverò.

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