sabato 22 settembre 2012

CANTI D'INFERMITA'




Nell'autunno del 1990 Francesco Antonioli, che allora era il responsabile delle produzioni della Nova T, mi aveva chiesto di accompagnarlo ad un incontro.
Al Politecnico di Torino quel giorno veniva consegnata una laurea Honoris Causa a una figura imponente, David Maria Turoldo.
Alla Nova T avevano una sua pièce teatrale su Francesco d'Assisi, una specie di drammatica interrogazione al santo che, dal punto di vista dell'ortodossia, si avventurava su ghiaccio sottile, o almeno così mi avevano fatto capire.
Il progetto che accarezzavano, con la prudenza con la quale si può accarezzare un cucciolo di tigre cresciutello, era quello di una trasposizione filmata dell'opera. Quali fossero gli accordi tra loro non mi è mai stato dato di sapere. Io ero quello che avrebbe dovuto girarlo, tutto lì.
Di Turoldo sapevo che era un poeta. Francesco mi aveva spiegato che apparteneva all'ordine dei Servi di Maria.
Eravamo arrivati al Politecnico in tempo per assistere all'abbraccio tra padre David e Norberto Bobbio. Non so se il secondo fosse lì per ricevere anche lui un'onorificenza o in veste di anfitrione, in ogni caso quell'abbraccio senile tra i due mi aveva impressionato. Scintillava.
La presentazione tra noi era stata frettolosa e severa. Francesco faceva del suo meglio, Turoldo ci indagava con uno sguardo non molto convinto. Probabilmente per lui rappresentavamo due ragazzini impreparati ad affrontare il suo lavoro e trasporlo. 
Aveva grando mani nodose e una voce da profeta. Ci eravamo lasciati senza che avessi capito come stavano le cose.
In realtà, che l'Ordine dei Cappuccini, che costituiva il CdA della Nova T, nutrisse delle forti perplessità sul lavoro di Turoldo, su domande che potevano suonare quasi come blasfeme ad orecchie meno laiche delle mie, mi si chiarì molto tempo dopo.
Per il momento sapevo che ci sarebbe stato un lavoro da fare. Nessuna indicazione sul quando.
Nel frattempo ce n'erano altri da girare. 
Poi un giorno mi chiamano, ancora dalla Nova T, per propormi la regia di un documentario istituzionale per l'Ordine Camilliano, da realizzarsi in una loro clinica d'avanguardia, la Pio X di Milano.
Tra il 26 ottobre e il 1° novembre del 1991 sono così finito ad installarmi là dentro con una piccola troupe.
L'idea era quella, per me ancora vaga, di costruire qualcosa sul dolore e la speranza, e non solo uno spottone sull'eccellenza medico tecnologica della struttura.




Pit in sala parto







Dopo un paio di giorni, durante un pranzo - mangiavamo con i religiosi che lavoravano alla clinica, pasti eccellenti, e dormivamo in un'ala che fungeva da foresteria, senza mai uscire se non per riprese esterne - qualcuno ha citato padre Turoldo e mi ha incuriosito, così ho scoperto che era ricoverato proprio in quella clinica, e che non gli restava molto da vivere.
Dunque quando lo avevo conosciuto era già malato e lo sapeva.
Ho chiesto di poterlo vedere.
Può sembrare crudele ma la prima cosa che ho pensato è stata che, se si fosse reso disponibile, il mio film avrebbe preso l'indirizzo che cercavo di dargli ancora confusamente.
Quando sono entrato nella sua stanza me lo sono trovato di fronte così come poi l'ho ripreso, drappeggiato in una vestaglia, il viso scarno, gli occhi febbrili, la flebo che gli gocciolava nelle vene un cocktail di farmaci tra i quali la morfina era la primadonna.
Si ricordava vagamente di me e di quel giorno al Politecnico, ma quando gli ho detto perchè ero lì e ho trovato il coraggio di confessargli che aspiravo ad averlo come il mio Virgilio in quel viaggio nella sofferenza non ha esitato. "Dov'è la telecamera ?" ha chiesto.
Dopo le riprese mi sono lanciato nel montaggio. Avevamo dei termini di consegna piuttosto stretti. I Camilliani avevano fissato una presentazione per l'8 dicembre.
Avevo girato un'introduzione un po' accademica con monsignor Gianfranco Ravasi, ma lui è proprio così, e poi centellinato  Turoldo nel corso della narrazione. Un gigante.
L'8 dicembre io e Laura siamo arrivati alla Pio X, a Milano, da Ipotesi Cinema, a Bassano, in leggero ritardo.
Nell'anfiteatro camilliano c'era un parterre de roi adeguati all'epoca, politici socialisti, figure di spicco dell'imprenditoria, dei media.
I Camilliani si prendono cura dei miserabili con i soldi che fanno prendendosi cura dei grandi privilegiati.
Alla Pio X ci stanno i privilegiati.
Folla elegante, clima di mondanità. Veniamo individuati e trascinati nella prima fila. Parte la proiezione.
Il successo è stato considerevole. Il lavoro aveva una componente alla quale quel pubblico non era abituato, un obbligo temporaneo alla riflessione sul dolore che le parole di Turoldo rendevano perentorio.
Alla fine della proiezione, in attesa del banchetto, Turoldo mi ha detto che se lavoravo così potevo fare il suo Francesco. E non lo ha detto solo a me, ma ha indirizzato ai papaveri della Nova T un definitivo "Lui deve girare Francesco" con un lascito di autorità veterotestamentaria.




 Turoldo e Pit il giorno della proiezione



E' morto pochissimo tempo dopo.
Nel 1992 ho girato sì "Cercando Francesco" ma la chiave turoldiana era stata accantonata.
Il dubbio perenne, gli interrogativi lancinanti, la stessa virulenza testuale del poeta non potevano non allarmare i frati, che però si sentivano forse in debito morale per quell'ultimo imperativo pronunciato il giorno della proiezione alla Pio X del film che - grazie al suggerimento di Francesco Antonioli - avevo intitolato "Canti d'infermità", da una raccolta poetica di Sbarbaro, e che molto prosaicamente i Camilliani avevano chiesto di sostituire con "Missione Salute" dal titolo della testata di un loro periodico.
Ma questa è un'altra storia.
Quella che riguarda Turoldo ha una sua coda quando Sergio Zavoli, venuto a conoscenza che esisteva una testimonianza filmata del servita, l'ultima poco prima della morte, ha preso contatto con Nova T e chiesto di averla.
L'aspetto grottesco della questione è che alla Nova T, convinti che instaurare un buon rapporto con Zavoli potesse rappresentare futuri vantaggi,  hanno stabilito di cedergliela per una pipa di tabacco.
Zavoli incassa e manda immediatamente in onda, tagliando pochissimo, e solo quello che avrebbe potuto far adombrare le gerarchie ecclesiastiche. 
Non segnala la fonte, non cita l'autore, insomma non applica quelle elementari regole di correttezza che in questi casi sarebbero di rigore. 
Molti grandi vecchi sono così e io, a quel tempo, ero preso da altri progetti e non avevo dato peso.
Così sono passati gli anni.
Poco tempo fa Laura mi ha chiesto di montarle l'intervista a padre Turoldo perche l'aveva trovata in FB attribuita a Zavoli ed era intenzionata a fare chiarezza, io ho recuperato il master del filmato e ne ho estratto le parole di Turoldo.
E così eccola qui.






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