Perdindirindina - per dirla con Rossella O'Hara - sono in preda ad un accesso di bulimia blogghica stamani.
Come ho accennato precedentemente, durante la mia infezione poetica di qualche anno fa, avevo raccolto le mie composizioni sotto due titoli. Di Mappamondo ho già postato quasi tutto (ne mancano 6, mi pare).
di Mappe Catastali (che sono, in totale, appena 5) ancora nulla.
E allora ecco la prima. Si intitola LOMBARDORE.
Lei sta in piedi, in attesa del pullman.
La fermata già quasi tra i campi.
Scarpe scure, accollate,
con tre dita di tacco,
risuolate più volte,
mocassini sconfitti,
da suora.
Delle gambe soltanto i polpacci
a spuntar dalla gonna,
a coprire quei fianchi di donna
estenuata eppur calma,
dal torso robusto,
un tutt’uno
dal petto alle anche.
Il golfino, un cardigan molle,
di colore indeciso,
accampato alla gonna,
sul grigio.
Una mano allo scollo
in un gesto modesto,
disposto
a uno sguardo sul mondo
in pacata apprensione.
L’altra mano,
pure lei levigata dall’uso,
in appoggio sul ventre,
l’avambraccio traverso
e da quello
i manici della borsetta,
una sporta di cose dimesse,
una scorta.
Sono donne invisibili.
Con lo sguardo perenne
a un altrove
che è il terreno dei loro miracoli,
tra un mercato rionale e un discount.
Sono quelle che salvano il mondo
con l’insistere in sfide caparbie
anche a guerra perduta.
Hanno avuto vent’anni.
Tette fiere, gambe brave a ballare.
Denti sani, ovaie vivaci.
Tutto andato in offerta,
quasi mai pareggiata.
Si riservano un piccolo scampo,
una volta ogni tanto.
Si regalano la parrucchiera.
E ne escono in piega seriale,
permanenti di bronzo ottonato,
un elmetto di riccioli brevi,
ordinati,
un po’ radi.
Ogni volta che vedo quei riccioli,
quel residuo impettirsi d’orgoglio,
quel resto di spiccioli,
vorrei essere migliore di Dio
ed offrire una nuova occasione.
La fermata già quasi tra i campi.
Scarpe scure, accollate,
con tre dita di tacco,
risuolate più volte,
mocassini sconfitti,
da suora.
Delle gambe soltanto i polpacci
a spuntar dalla gonna,
a coprire quei fianchi di donna
estenuata eppur calma,
dal torso robusto,
un tutt’uno
dal petto alle anche.
Il golfino, un cardigan molle,
di colore indeciso,
accampato alla gonna,
sul grigio.
Una mano allo scollo
in un gesto modesto,
disposto
a uno sguardo sul mondo
in pacata apprensione.
L’altra mano,
pure lei levigata dall’uso,
in appoggio sul ventre,
l’avambraccio traverso
e da quello
i manici della borsetta,
una sporta di cose dimesse,
una scorta.
Sono donne invisibili.
Con lo sguardo perenne
a un altrove
che è il terreno dei loro miracoli,
tra un mercato rionale e un discount.
Sono quelle che salvano il mondo
con l’insistere in sfide caparbie
anche a guerra perduta.
Hanno avuto vent’anni.
Tette fiere, gambe brave a ballare.
Denti sani, ovaie vivaci.
Tutto andato in offerta,
quasi mai pareggiata.
Si riservano un piccolo scampo,
una volta ogni tanto.
Si regalano la parrucchiera.
E ne escono in piega seriale,
permanenti di bronzo ottonato,
un elmetto di riccioli brevi,
ordinati,
un po’ radi.
Ogni volta che vedo quei riccioli,
quel residuo impettirsi d’orgoglio,
quel resto di spiccioli,
vorrei essere migliore di Dio
ed offrire una nuova occasione.
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