Cuba,
delfino in uscita dal Golfo,
che della Florida il pene luetico e inerte irride,
e inarca il dorso e sorride al Caribe.
Que viva.
Mar Nero,
ciabatta abbandonata
da un coboldo.
Sulla morbida suola turca
Trebisonda.
Badare a non perderla.
Il Mar Nero è nutrito
da sbocchi mefitici,
agonizza intubato
da Dnepr, Dnestr, Don e Danubio
e dal poco
che dal contagocce di Marmara
s’arrabatta in contromarea.
Niente vita al di sotto di un tuffo profondo,
solo assenza, di vita, sott’acqua,
un mistero nel buio
di zolfo.
La vita era tutta sui bordi,
Mongoli e Sarmati
e Tatari di Crimea,
greci del Ponto
e altri ancora a cercare
eldoradi e trionfi
indagando la Colchide.
E Cosacchi al galoppo sulle sponde.
Non mancava nessuno all’appello
di quel mare che sapeva di steppa,
nei tempi acerbi della Storia,
e per secoli ancora,
Balaklava ed Odessa,
il martirio e il languore,
fino al marzo del ’20
con l’armata sconfitta di Denikin,
imbarcata alla fuga
su legni britannici.
Yalta, infine.
Tre nemici,
che si fingono amici per la foto ricordo,
si spartiscono il mondo
lì, in Ukraina,
spiaggiati sul mare d’Azov,
il legaccio annodato
della ciabatta
del coboldo.
ciabatta abbandonata
da un coboldo.
Sulla morbida suola turca
Trebisonda.
Badare a non perderla.
Il Mar Nero è nutrito
da sbocchi mefitici,
agonizza intubato
da Dnepr, Dnestr, Don e Danubio
e dal poco
che dal contagocce di Marmara
s’arrabatta in contromarea.
Niente vita al di sotto di un tuffo profondo,
solo assenza, di vita, sott’acqua,
un mistero nel buio
di zolfo.
La vita era tutta sui bordi,
Mongoli e Sarmati
e Tatari di Crimea,
greci del Ponto
e altri ancora a cercare
eldoradi e trionfi
indagando la Colchide.
E Cosacchi al galoppo sulle sponde.
Non mancava nessuno all’appello
di quel mare che sapeva di steppa,
nei tempi acerbi della Storia,
e per secoli ancora,
Balaklava ed Odessa,
il martirio e il languore,
fino al marzo del ’20
con l’armata sconfitta di Denikin,
imbarcata alla fuga
su legni britannici.
Yalta, infine.
Tre nemici,
che si fingono amici per la foto ricordo,
si spartiscono il mondo
lì, in Ukraina,
spiaggiati sul mare d’Azov,
il legaccio annodato
della ciabatta
del coboldo.
La Mongolia
è una culla di sabbia.
Cavalieri accaniti
la percorrono,
senza che una meta
sia la vera ragione
dell’andare,
al galoppo,
senza tracce
se non la scia di polvere
che ricade piano,
per tornare deserto.
La Mongolia è senza destino.
Il deserto del Gobi l’avrà,
alla fine.
La sua gente mandorleggia
occhiate illegibili
a qualcosa
che sembra futuro,
ma non è.
Culla vuota
nel centro dell’Asia
gremita
di troppa folla.
è una culla di sabbia.
Cavalieri accaniti
la percorrono,
senza che una meta
sia la vera ragione
dell’andare,
al galoppo,
senza tracce
se non la scia di polvere
che ricade piano,
per tornare deserto.
La Mongolia è senza destino.
Il deserto del Gobi l’avrà,
alla fine.
La sua gente mandorleggia
occhiate illegibili
a qualcosa
che sembra futuro,
ma non è.
Culla vuota
nel centro dell’Asia
gremita
di troppa folla.
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