...ovvero la felicità.
E' la poesia di Gozzano che più mi commuove, che rileggo con una certa frequenza, a volte ad alta voce, naturalmente in solitudine, declamando sommessamente.
Crepuscolarmente, come si conviene.
Crepuscolarmente, come si conviene.
Tra i 33 giri in vinile che sono sopravvissuti al trascorrere degli anni, all'alienazione progressiva a favore dei CD, all'eliminazione del giradischi come supporto, c'è anche questo disco, strano, che tanti anni fa ho ascoltato decine e decine di volte.
Il timbro in basso a destra dice che è stato acquistato da Buozzi, in piazza Castello, a Torino. Dov'era ? proprio non ricordo...
Ad ogni modo, la figura di Gozzano ha sempre aleggiato in casa mia, vuoi perchè era un poeta torinese, ma soprattutto perchè di origine canavesana, come tutta la mia famiglia.
Ed è stato proprio in Canavese, ad Agliè, dove c'è la storica residenza "il Meleto", teatro di molta sua ispirazione, che la mia inalienabile amicizia nei confronti di Guido si consolida.
Correva l'anno 1968, il Meleto era in pieno disfacimento. Malgrado che nel 1939, a più di vent'anni di distanza dalla morte del poeta, una signora appassionata avesse comprato la proprietà e ne avesse ricavato un piccolo sacrario, nel 1968, appunto, il luogo era tornato ad essere negletto.
il giardino in disarmo all'epoca della visita...
Il 23 giugno del '68 dunque, mia madre, su sollecitazione di un suo conoscente piuttosto eccentrico, tal Fortunato Oggeri detto Nato, gran cultore di poesia, aveva imbarcato me e lui in auto e avevamo percorso i pochi chilometri che separano Rueglio da Agliè.
Destinazione "Il Meleto", la casa di campagna di Gozzano.
Io, come molti, tendevo a ritenere che il Meleto fosse la Villa Amarena della "Signorina Felicita" e quindi ero piuttosto emozionato.
Mi ci sarebbero volute letture approfondite, un esame universitario e la costante frequentazione amicale dei versi di Guido per accettare l'idea che Villa Amarena fosse più immaginaria che reale.
Il disarmo che ci attendeva non mi aveva nè stupito nè deluso.
C'era il clima che si addiceva, crepuscolare pur nello sfavillio estivo, c'era tutto Gozzano persino nelle due stanzette preservate per i rari visitatori, dove cimeli impolverati rievocavano " le buone cose di pessimo gusto", in dimessa e rassegnata solitudine.
Avevamo anche tentato un avvicinamento allo Chalet, un luogo magico, una casettina minuscola su un'isoletta al centro di uno stagno, distante dalla casa principale.
Era impossibile non immaginare Gozzano, i suoi amici, le sue "signorine" in amabili conversari sotto le fronde di quegli
alberi fronzuti che, cortesemente, temperavano ma non interferivano con il filtrare dei raggi solari.
Tornati sui nostri passi, nel cortile di fronte al "Meleto", Nato aveva espletato la funzione cui verosimilmante aveva agognato fino a quel momento.
Con un cerimoniale degno di un'investitura cavalleresca aveva snudato un cofanetto libresco - un'opera omnia gozzaniana edita da Garzanti - e me ne aveva fatto dono. Là, su quella specie di aia.
Immediatamente dopo il magico rituale era stato interrotto da un ocone gigantesco e furibondo che, spuntato da chissà dove, si era avventato proprio su Nato, individuandolo, chissà perchè, come bersaglio privilegiato della sua aggressività.
Ci eravamo ritirati piuttosto precipitosamente mentre il contadino cercava di chetare l'irascibile palmipede.
Nato, sul sedile accanto a mia madre, aveva trascorso il breve viaggio di ritorno detergendosi dal viso il sudore per lo scampato pericolo con un fazzolettone con monogramma.
Mia madre ed io non avevamo fatto altro che ridere per tutto il tempo, e ancora adesso che sono trascorsi quarantasei anni da quella fatidica giornata e che il povero Nato è passato a miglior vita da un pezzo, se accenno a mia madre del Meleto, di Nato e dell'oca si ride ancora.
...e un'altra, meno "ufficiale" ma più ricca di indiscrezioni e di una vasta messe iconografica.
Naturalmente bisogna annoverare il 33 giri dal quale siamo partiti, anche se mi pare che sia coevo, se non addirittura precedente alla gita al Meleto.
Poi, anni dopo, mi ero regalato un'edizione de "I colloqui" del 1917, dei fratelli Treves, scovata in una libreria antiquaria di via Lagrange.
Al "Meleto" non ci sono più tornato.
Anni dopo i giornali annunciavano che la giovane figlia di un industriale facoltoso, Gilda Conrieri, si era fatta "regalare" dal padre l'avita magione per restituirla al suo originale splendore.
Allora avevo una visione massimalista della questione, e a tutt'oggi, malgrado riconosca nel gesto della ragazza un dichiarato e autentico amore per il poeta, non riesco a liberarmi dell'idea che il "Meleto" dovesse sfiorire precocemente come il suo proprietario, e che proprio in quel disarmo fosse possibile sentir palpitare il fantasma di Guido.
Così non ci sono più tornato.
Mi hanno detto che il restauro è stato rigorosamente filologico, che gli arredi sono d'epoca, che tutto sembra come allora, che si puo' visitare etc. etc.
Pero' a me fa un po' di tristezza l'idea tassodermica di cristallizzare artificiosamente un'idea di luogo con espedienti sia pur ammirevoli, piuttosto che accettare il degrado fisico ma garante per un "luogo dell'anima".
Tanto vale attenersi allora alla rassegnata consapevolezza dell'inevitabilità del decadere che ne "Le due strade" ha il suo straziante e dolcissimo capolavoro.
Il timbro in basso a destra dice che è stato acquistato da Buozzi, in piazza Castello, a Torino. Dov'era ? proprio non ricordo...
Ad ogni modo, la figura di Gozzano ha sempre aleggiato in casa mia, vuoi perchè era un poeta torinese, ma soprattutto perchè di origine canavesana, come tutta la mia famiglia.
Ed è stato proprio in Canavese, ad Agliè, dove c'è la storica residenza "il Meleto", teatro di molta sua ispirazione, che la mia inalienabile amicizia nei confronti di Guido si consolida.
Correva l'anno 1968, il Meleto era in pieno disfacimento. Malgrado che nel 1939, a più di vent'anni di distanza dalla morte del poeta, una signora appassionata avesse comprato la proprietà e ne avesse ricavato un piccolo sacrario, nel 1968, appunto, il luogo era tornato ad essere negletto.
il giardino in disarmo all'epoca della visita...
Il 23 giugno del '68 dunque, mia madre, su sollecitazione di un suo conoscente piuttosto eccentrico, tal Fortunato Oggeri detto Nato, gran cultore di poesia, aveva imbarcato me e lui in auto e avevamo percorso i pochi chilometri che separano Rueglio da Agliè.
Destinazione "Il Meleto", la casa di campagna di Gozzano.
In questa foto fine anni cinquanta Nato è in
primo piano con occhiali da sole e basco.
In alto a destra mia madre ride e io mangio qualcosa.
Le fotografie di queste gite sulle montagne di casa
mi ricordano l'allegria entusiasta che contagiava
tutti i partecipanti.
Pit nel 1968, in posa pensosamente crepuscolare
Mi ci sarebbero volute letture approfondite, un esame universitario e la costante frequentazione amicale dei versi di Guido per accettare l'idea che Villa Amarena fosse più immaginaria che reale.
Il Meleto ai tempi di Giudo
Il disarmo che ci attendeva non mi aveva nè stupito nè deluso.
C'era il clima che si addiceva, crepuscolare pur nello sfavillio estivo, c'era tutto Gozzano persino nelle due stanzette preservate per i rari visitatori, dove cimeli impolverati rievocavano " le buone cose di pessimo gusto", in dimessa e rassegnata solitudine.
Avevamo anche tentato un avvicinamento allo Chalet, un luogo magico, una casettina minuscola su un'isoletta al centro di uno stagno, distante dalla casa principale.
Era impossibile non immaginare Gozzano, i suoi amici, le sue "signorine" in amabili conversari sotto le fronde di quegli
alberi fronzuti che, cortesemente, temperavano ma non interferivano con il filtrare dei raggi solari.
Guido e la madre Diodata sull'isoletta dello Chalet
Guido in posa da poeta ad una finestra dello Chalet
Tornati sui nostri passi, nel cortile di fronte al "Meleto", Nato aveva espletato la funzione cui verosimilmante aveva agognato fino a quel momento.
Con un cerimoniale degno di un'investitura cavalleresca aveva snudato un cofanetto libresco - un'opera omnia gozzaniana edita da Garzanti - e me ne aveva fatto dono. Là, su quella specie di aia.
La dedica, vagamente criptica, era per il Pieruccio
che per lui ero sempre e sarei sempre stato.
Immediatamente dopo il magico rituale era stato interrotto da un ocone gigantesco e furibondo che, spuntato da chissà dove, si era avventato proprio su Nato, individuandolo, chissà perchè, come bersaglio privilegiato della sua aggressività.
Ci eravamo ritirati piuttosto precipitosamente mentre il contadino cercava di chetare l'irascibile palmipede.
Nato, sul sedile accanto a mia madre, aveva trascorso il breve viaggio di ritorno detergendosi dal viso il sudore per lo scampato pericolo con un fazzolettone con monogramma.
Mia madre ed io non avevamo fatto altro che ridere per tutto il tempo, e ancora adesso che sono trascorsi quarantasei anni da quella fatidica giornata e che il povero Nato è passato a miglior vita da un pezzo, se accenno a mia madre del Meleto, di Nato e dell'oca si ride ancora.
Nato, a Rueglio, in compagnia di mio padre, nell'estate del '68.
Con gli anni mi sono accompagnato a Gozzano senza mai attenuare la frequentazione.
Il dono di Nato si era rivelato prezioso per scoprire non solo l'opera poetica ma anche le prose.
Avevo poi divorato una biografia ufficiale...
Il dono di Nato si era rivelato prezioso per scoprire non solo l'opera poetica ma anche le prose.
Avevo poi divorato una biografia ufficiale...
...e un'altra, meno "ufficiale" ma più ricca di indiscrezioni e di una vasta messe iconografica.
Naturalmente bisogna annoverare il 33 giri dal quale siamo partiti, anche se mi pare che sia coevo, se non addirittura precedente alla gita al Meleto.
Poi, anni dopo, mi ero regalato un'edizione de "I colloqui" del 1917, dei fratelli Treves, scovata in una libreria antiquaria di via Lagrange.
Il primo proprietario e' stato un tenente che mi auguro
sia sopravvissuto all'ecatombe della Grande Guerra
Al "Meleto" non ci sono più tornato.
Anni dopo i giornali annunciavano che la giovane figlia di un industriale facoltoso, Gilda Conrieri, si era fatta "regalare" dal padre l'avita magione per restituirla al suo originale splendore.
Allora avevo una visione massimalista della questione, e a tutt'oggi, malgrado riconosca nel gesto della ragazza un dichiarato e autentico amore per il poeta, non riesco a liberarmi dell'idea che il "Meleto" dovesse sfiorire precocemente come il suo proprietario, e che proprio in quel disarmo fosse possibile sentir palpitare il fantasma di Guido.
Così non ci sono più tornato.
Mi hanno detto che il restauro è stato rigorosamente filologico, che gli arredi sono d'epoca, che tutto sembra come allora, che si puo' visitare etc. etc.
Pero' a me fa un po' di tristezza l'idea tassodermica di cristallizzare artificiosamente un'idea di luogo con espedienti sia pur ammirevoli, piuttosto che accettare il degrado fisico ma garante per un "luogo dell'anima".
Tanto vale attenersi allora alla rassegnata consapevolezza dell'inevitabilità del decadere che ne "Le due strade" ha il suo straziante e dolcissimo capolavoro.
Non vorrei scrivere una fesseria ma credo
che il testo manuale a fronte sia proprio
di Guido, in una stampa anastatica
che cesella ogni tanto le pagine della lussuosa edizione
ricevuta in dono da Nato in quel lontano 1968.
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