UNDICI
Il giorno dopo Dino Fabbri accompagnò Carlotta a casa del dottor Theroux.
Avevano deciso che avrebbero continuato così, per evitare a Jef tutto quell'andirivieni.
Il dottore accolse Dino con magnanima benevolenza. Insistette perché si fermasse a colazione e lo invitò ad approfittare della piscina, poi lui e Carlotta sparirono nello studio e Dino si andò a sistemare su un lettino a ruote, godendosi la quiete del panorama.
La piscina si affacciava alla valle da un piano terrazzato, esposto a occidente, molto soleggiato e tranquillo. Da quella posizione della villa non si vedeva che un fianco stretto. Una grande finestra al primo piano, dalle tende tirate, era quella dello studio di Theroux.
Dietro l'edificio si estendeva, un poco scosceso, un bosco d'abeti.
In quel bosco il dottore andava a fare una lunga passeggiata all’alba e alla fine di ogni giornata di lavoro.
Carlotta gli aveva detto che, di là, lo avevano sentito spesso singhiozzare. Quando Dino gliene aveva chiesto con stupore la ragione lei aveva risposto che si scaricava del dolore assorbito dai suoi pazienti.
Lui si era domandato se anche sua moglie avrebbe finito col cercarsi un angolino appartato dove andare a piangere alla fine delle sue giornate.
Il sole dardeggiava impavido. Theroux gli aveva indicato una costruzione in legno, a ridosso di un terrapieno accanto alla piscina, dove avrebbe potuto trovare costumi e accappatoi.
Dino Fabbri ci si chiuse dentro e si spogliò.
Su una panchetta erano stirati ed impilati costumi ed asciugamani. Lui trovò un paio di boxer della sua taglia e li indossò.
Il sole filtrava attraverso le connessure d'assi tagliando la penombra con veli di pulviscolo iridescente. Il calore faceva esalare dalla verniciatura del legno un odore balneare, di cabina, che a Dino Fabbri evocò l'infanzia.
Uscì e tornò ad adagiarsi sul lettino, sentendosi vagamente a disagio, nonostante il benessere della situazione.
Venne Jef a portargli un caffé.
Dino lo sorseggiò guardandosi attorno, poi lentamente cedette a un sopore che somigliava al sonno. Si scuoteva ogni tanto con dei piccoli soprassalti, cullato da tutto quel cinguettìo e frusciar di fronde attorno.
Prima di rischiare di addormentarsi definitivamente si impegnò a vincere la pigrizia e si alzò.
Con un paio di passi raggiunse il bordo della piscina, si arrampicò sul trampolino e si tuffò.
L'acqua era molto fredda. Dino nuotò in senso longitudinale con vigorose bracciate, avanti e indietro un paio di volte, prima di arrendersi boccheggiante, aggrappato al bordo.
Un'ombra si frappose tra lui e il sole.
La faccia di Jef gli si rivolgeva con uno sguardo allarmato. Le sue mani gesticolavano, la voce sibilava.
- Piano ! Devi fare piano ! Niente tuffi ! Non tutti quegli schizzi!
Dino Fabbri lo guardava senza capire. Abbozzò un sorriso conciliante.
- Disturbi la seduta !
Insistette Jef.
- Il dottore ha dovuto interrompere !
Dino Fabbri annuì.
- Non sapevo. Mi dispiace. Non ti preoccupare, non succederà più.
Jef rientrò in casa e Dino nuotò ancora un po’, avanti e indietro a rana, muovendosi come un incursore, increspando appena il pelo dell'acqua. Poi uscì e si rivestì.
Da occidente si era affacciata sulle cime delle montagne una nuvolaglia minacciosa. Il sole spadroneggiava ancora sulla valle ma un muro plumbeo incombeva a metà del cielo.
Dino Fabbri controllò l'orologio. Mancavano ancora un paio d'ore al termine della seduta di Carlotta e lui non aveva voglia di trascorrerle in cauta attesa sul bordo della piscina, o tantomeno a sfogliare libri in francese nel soggiorno di casa.
Nel muro di contenimento in pietra che faceva da contrafforte al terrapieno in cui si incastonava la piscina si apriva un varco: una scaletta in mattoni che si inerpicava fino all'ingresso del bosco.
Dino Fabbri decise di andare a dare un'occhiata al rifugio dei piagnistei del dottor Theroux.
L'abetaia era piuttosto estesa. Un sentierino morbido d'aghi di pino s'inoltrava sotto le fronde, salendo leggermente a mezza costa, traversato qua e là dai rilievi nodosi di robuste radici affioranti. La luce del sole filtrava con sempre maggiore difficoltà. L'aroma di resina era intenso.
Dino Fabbri proseguì fino ad una piccola radura che ospitava una panca rudimentale.
Pensò che doveva essere lì che Theroux andava a rifugiarsi a fine giornata.
Per quanto si sforzasse non riusciva ad immaginarselo in lacrime, ripiegato sulle afflizioni dei suoi pazienti. A pensarci bene Dino Fabbri si rese conto di considerarlo piuttosto un millantatore, uno spirito truffaldino, edonista e pigro, di avere di lui insomma la stessa opinione nutrita dalla cugina Ginette. E si ritrovò a pensare che sua moglie Carlotta affidava a lui la parte più fragile di sé, concedendogli una fiducia smisurata.
Non aveva mai avuto una visione così impietosa e nello stesso tempo lucida della situazione.
Improvvisamente il cielo sulla radura si oscurò.
Un sipario grigio e sfavillante si era chiuso sullo spazio pacifico di nuvolette assolate. Nell'aria si respirava all'improvviso un'odore umido di temporale. Guizzarono un paio di lampi e subito crepitarono i tuoni, con un suono di tronchi schiantati.
Dino Fabbri si affrettò sul sentiero del ritorno.
Quando arrivò alla scaletta che scendeva alla piscina la pioggia cadeva ormai a rovesci. Riuscì ad infradiciarsi completamente nel breve tratto fino all'ingresso di casa.
Theroux a pranzo non si fece vedere.
Jef e Marcella s'affaccendarono svogliatamente e la conversazione con Carlotta e Dino si limitò a considerazioni rassegnate sul cambiamento del tempo, che secondo l'ex legionario annunciava un autunno anticipato.
Carlotta sembrava impregnata d'una spossatezza serena, che si trasformò gradualmente in un modesto buonumore.
Lasciarono la villa inseguiti dal ribadito appuntamento per la sera lanciato da Jef, che aveva annunciato meraviglie in tavola.
Sull'ingresso incrociarono Saveriano in arrivo. Ci fu un breve e distaccato scambio di saluti.
Sul piazzaletto di fonte alla villa il temporale aveva lasciato larghe pozzanghere. Il cielo si era però un poco illimpidito, assumendo un colore perlato.
Dino Fabbri chiese a Carlotta se conoscesse il bosco del dottore e lei rispose di no.
Lui andò alla macchina ed estrasse la valigetta dell'attrezzatura fotografica.
- C'é una luce strana.
Disse, dando un'occhiata al cielo.
- E' vero - confermò Carlotta, avvicinandosi all'auto.
- Ti va di fare due passi ? - chiese lui.
- Qui ?
- Nel bosco.
- Ma sarà tutto fradicio !
- Non vuoi vedere il posto segreto di Leopòld ?
Chiese ammiccando Dino.
- Non fare lo stupido.
- Ci sono stato stamattina.
- A fare che ?
- Una passeggiata. E'un bel posto.
Carlotta pareva indecisa. Sicuramente qualcosa dentro di lei alimentava la curiosità, ma nello stesso tempo l'idea di profanare uno spazio così intimo di Theroux e inzupparsi d'acqua i piedi calzati di mocassini leggeri la tratteneva.
- Cos'é ? Proibito ?
Chiese provocatoriamente Dino.
- Ma cosa dici !
- Beh, é proibito fare il bagno in piscina, niente di più facile che sia anche proibito passeggiare nel bosco.
Carlotta alzò le spalle con un gesto d'insofferenza, ma non accennava a salire in auto.
- La luce comunque sta già cambiando. Se non ci sbrighiamo addio foto.
- Che foto ?
- C'é una radura. Non so, credo che adesso ci sia una bella luce là.
- Vabbe’, dai, andiamo. Quanto ci vuole ?
- Non più di cinque minuti.
Si avviarono verso il bosco.
Dino Fabbri precedeva la moglie segnalandole i rilievi delle radici che costituivano inciampi sul sentiero.
Per un tratto il percorso fu in penombra, come fosse stata già sera, poi finalmente sbucarono alla radura ed era come Dino aveva previsto. La luce era fiabesca. Un ponte d'arcobaleno congiungeva le cime degli abeti del versante sud-est al fronte opposto, che si perdeva dietro una costa di collina lontana.
Carlotta si avvicinò alla panchina e la osservò con cautela.
Dino sapeva che cercava di immaginare Theroux, seduto lì a piangere.
Estrasse un paio di macchine cominciò a scattare.
L'odore di tronchi e muschio bagnati era penetrante. Il canto degli uccelli assumeva a tratti una veemenza inattesa.
Ricomparve a sorpresa un raggio di sole, obliquo a colpire il centro della radura.
Dino Fabbri scattava.
Con un tele su una macchina cercava dettagli, con un 24mm. sull'altra tentava di abbracciare tutto quello spazio e le sue venature cangianti.
Ad un certo punto Carlotta entrò nel suo campo visivo.
A lei non piaceva essere fotografata, ma in quel momento non si rendeva conto di essere inquadrata.
Nel cerchio dello stigmometro al centro del 180 mm. il suo viso, alonato dalla sfocatura della mancanza di profondità di capo, appariva malinconico.
A Dino Fabbri parve bellissimo.
Scattò un paio di volte prima che lei alzasse lo sguardo e con una smorfia di dispetto gli voltasse la schiena.
- Dai ! Adesso andiamo che ho tutti i piedi bagnati.
Disse.
Il giorno dopo Dino Fabbri accompagnò Carlotta a casa del dottor Theroux.
Avevano deciso che avrebbero continuato così, per evitare a Jef tutto quell'andirivieni.
Il dottore accolse Dino con magnanima benevolenza. Insistette perché si fermasse a colazione e lo invitò ad approfittare della piscina, poi lui e Carlotta sparirono nello studio e Dino si andò a sistemare su un lettino a ruote, godendosi la quiete del panorama.
La piscina si affacciava alla valle da un piano terrazzato, esposto a occidente, molto soleggiato e tranquillo. Da quella posizione della villa non si vedeva che un fianco stretto. Una grande finestra al primo piano, dalle tende tirate, era quella dello studio di Theroux.
Dietro l'edificio si estendeva, un poco scosceso, un bosco d'abeti.
In quel bosco il dottore andava a fare una lunga passeggiata all’alba e alla fine di ogni giornata di lavoro.
Carlotta gli aveva detto che, di là, lo avevano sentito spesso singhiozzare. Quando Dino gliene aveva chiesto con stupore la ragione lei aveva risposto che si scaricava del dolore assorbito dai suoi pazienti.
Lui si era domandato se anche sua moglie avrebbe finito col cercarsi un angolino appartato dove andare a piangere alla fine delle sue giornate.
Il sole dardeggiava impavido. Theroux gli aveva indicato una costruzione in legno, a ridosso di un terrapieno accanto alla piscina, dove avrebbe potuto trovare costumi e accappatoi.
Dino Fabbri ci si chiuse dentro e si spogliò.
Su una panchetta erano stirati ed impilati costumi ed asciugamani. Lui trovò un paio di boxer della sua taglia e li indossò.
Il sole filtrava attraverso le connessure d'assi tagliando la penombra con veli di pulviscolo iridescente. Il calore faceva esalare dalla verniciatura del legno un odore balneare, di cabina, che a Dino Fabbri evocò l'infanzia.
Uscì e tornò ad adagiarsi sul lettino, sentendosi vagamente a disagio, nonostante il benessere della situazione.
Venne Jef a portargli un caffé.
Dino lo sorseggiò guardandosi attorno, poi lentamente cedette a un sopore che somigliava al sonno. Si scuoteva ogni tanto con dei piccoli soprassalti, cullato da tutto quel cinguettìo e frusciar di fronde attorno.
Prima di rischiare di addormentarsi definitivamente si impegnò a vincere la pigrizia e si alzò.
Con un paio di passi raggiunse il bordo della piscina, si arrampicò sul trampolino e si tuffò.
L'acqua era molto fredda. Dino nuotò in senso longitudinale con vigorose bracciate, avanti e indietro un paio di volte, prima di arrendersi boccheggiante, aggrappato al bordo.
Un'ombra si frappose tra lui e il sole.
La faccia di Jef gli si rivolgeva con uno sguardo allarmato. Le sue mani gesticolavano, la voce sibilava.
- Piano ! Devi fare piano ! Niente tuffi ! Non tutti quegli schizzi!
Dino Fabbri lo guardava senza capire. Abbozzò un sorriso conciliante.
- Disturbi la seduta !
Insistette Jef.
- Il dottore ha dovuto interrompere !
Dino Fabbri annuì.
- Non sapevo. Mi dispiace. Non ti preoccupare, non succederà più.
Jef rientrò in casa e Dino nuotò ancora un po’, avanti e indietro a rana, muovendosi come un incursore, increspando appena il pelo dell'acqua. Poi uscì e si rivestì.
Da occidente si era affacciata sulle cime delle montagne una nuvolaglia minacciosa. Il sole spadroneggiava ancora sulla valle ma un muro plumbeo incombeva a metà del cielo.
Dino Fabbri controllò l'orologio. Mancavano ancora un paio d'ore al termine della seduta di Carlotta e lui non aveva voglia di trascorrerle in cauta attesa sul bordo della piscina, o tantomeno a sfogliare libri in francese nel soggiorno di casa.
Nel muro di contenimento in pietra che faceva da contrafforte al terrapieno in cui si incastonava la piscina si apriva un varco: una scaletta in mattoni che si inerpicava fino all'ingresso del bosco.
Dino Fabbri decise di andare a dare un'occhiata al rifugio dei piagnistei del dottor Theroux.
L'abetaia era piuttosto estesa. Un sentierino morbido d'aghi di pino s'inoltrava sotto le fronde, salendo leggermente a mezza costa, traversato qua e là dai rilievi nodosi di robuste radici affioranti. La luce del sole filtrava con sempre maggiore difficoltà. L'aroma di resina era intenso.
Dino Fabbri proseguì fino ad una piccola radura che ospitava una panca rudimentale.
Pensò che doveva essere lì che Theroux andava a rifugiarsi a fine giornata.
Per quanto si sforzasse non riusciva ad immaginarselo in lacrime, ripiegato sulle afflizioni dei suoi pazienti. A pensarci bene Dino Fabbri si rese conto di considerarlo piuttosto un millantatore, uno spirito truffaldino, edonista e pigro, di avere di lui insomma la stessa opinione nutrita dalla cugina Ginette. E si ritrovò a pensare che sua moglie Carlotta affidava a lui la parte più fragile di sé, concedendogli una fiducia smisurata.
Non aveva mai avuto una visione così impietosa e nello stesso tempo lucida della situazione.
Improvvisamente il cielo sulla radura si oscurò.
Un sipario grigio e sfavillante si era chiuso sullo spazio pacifico di nuvolette assolate. Nell'aria si respirava all'improvviso un'odore umido di temporale. Guizzarono un paio di lampi e subito crepitarono i tuoni, con un suono di tronchi schiantati.
Dino Fabbri si affrettò sul sentiero del ritorno.
Quando arrivò alla scaletta che scendeva alla piscina la pioggia cadeva ormai a rovesci. Riuscì ad infradiciarsi completamente nel breve tratto fino all'ingresso di casa.
Theroux a pranzo non si fece vedere.
Jef e Marcella s'affaccendarono svogliatamente e la conversazione con Carlotta e Dino si limitò a considerazioni rassegnate sul cambiamento del tempo, che secondo l'ex legionario annunciava un autunno anticipato.
Carlotta sembrava impregnata d'una spossatezza serena, che si trasformò gradualmente in un modesto buonumore.
Lasciarono la villa inseguiti dal ribadito appuntamento per la sera lanciato da Jef, che aveva annunciato meraviglie in tavola.
Sull'ingresso incrociarono Saveriano in arrivo. Ci fu un breve e distaccato scambio di saluti.
Sul piazzaletto di fonte alla villa il temporale aveva lasciato larghe pozzanghere. Il cielo si era però un poco illimpidito, assumendo un colore perlato.
Dino Fabbri chiese a Carlotta se conoscesse il bosco del dottore e lei rispose di no.
Lui andò alla macchina ed estrasse la valigetta dell'attrezzatura fotografica.
- C'é una luce strana.
Disse, dando un'occhiata al cielo.
- E' vero - confermò Carlotta, avvicinandosi all'auto.
- Ti va di fare due passi ? - chiese lui.
- Qui ?
- Nel bosco.
- Ma sarà tutto fradicio !
- Non vuoi vedere il posto segreto di Leopòld ?
Chiese ammiccando Dino.
- Non fare lo stupido.
- Ci sono stato stamattina.
- A fare che ?
- Una passeggiata. E'un bel posto.
Carlotta pareva indecisa. Sicuramente qualcosa dentro di lei alimentava la curiosità, ma nello stesso tempo l'idea di profanare uno spazio così intimo di Theroux e inzupparsi d'acqua i piedi calzati di mocassini leggeri la tratteneva.
- Cos'é ? Proibito ?
Chiese provocatoriamente Dino.
- Ma cosa dici !
- Beh, é proibito fare il bagno in piscina, niente di più facile che sia anche proibito passeggiare nel bosco.
Carlotta alzò le spalle con un gesto d'insofferenza, ma non accennava a salire in auto.
- La luce comunque sta già cambiando. Se non ci sbrighiamo addio foto.
- Che foto ?
- C'é una radura. Non so, credo che adesso ci sia una bella luce là.
- Vabbe’, dai, andiamo. Quanto ci vuole ?
- Non più di cinque minuti.
Si avviarono verso il bosco.
Dino Fabbri precedeva la moglie segnalandole i rilievi delle radici che costituivano inciampi sul sentiero.
Per un tratto il percorso fu in penombra, come fosse stata già sera, poi finalmente sbucarono alla radura ed era come Dino aveva previsto. La luce era fiabesca. Un ponte d'arcobaleno congiungeva le cime degli abeti del versante sud-est al fronte opposto, che si perdeva dietro una costa di collina lontana.
Carlotta si avvicinò alla panchina e la osservò con cautela.
Dino sapeva che cercava di immaginare Theroux, seduto lì a piangere.
Estrasse un paio di macchine cominciò a scattare.
L'odore di tronchi e muschio bagnati era penetrante. Il canto degli uccelli assumeva a tratti una veemenza inattesa.
Ricomparve a sorpresa un raggio di sole, obliquo a colpire il centro della radura.
Dino Fabbri scattava.
Con un tele su una macchina cercava dettagli, con un 24mm. sull'altra tentava di abbracciare tutto quello spazio e le sue venature cangianti.
Ad un certo punto Carlotta entrò nel suo campo visivo.
A lei non piaceva essere fotografata, ma in quel momento non si rendeva conto di essere inquadrata.
Nel cerchio dello stigmometro al centro del 180 mm. il suo viso, alonato dalla sfocatura della mancanza di profondità di capo, appariva malinconico.
A Dino Fabbri parve bellissimo.
Scattò un paio di volte prima che lei alzasse lo sguardo e con una smorfia di dispetto gli voltasse la schiena.
- Dai ! Adesso andiamo che ho tutti i piedi bagnati.
Disse.
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