La seconda occasione perduta, per quanto riguarda il lungometraggio di finzione, parte da molto più lontano del "Febbraio".
Nell'estate 1980 il mio amico Speedy mi aveva stanato da quel di Biaulì dove mi ero rifugiato a leccarmi le ferite della fallimentare esperienza londinese e mi aveva trascinato per un paio di giorni a Varigotti.
Là avevo conosciuto una signora ebrea molto simpatica, una nonna con le curiosità e la mentalità di una ragazza.
La signora si chiamava Ronci - ho saputo da Speedy che è mancata da ormai molto tempo - e per un paio d'anni ho avuto alcune occasioni di incontrarla, anche perchè Speedy era molto amico non solo suo ma pure del marito, Livio.
Avevano una bellissima casa a Varigotti, affacciata sulla spiaggia, un domicilio elegantemente bohemièn sui Navigli, a Milano, e una grande casa di campagna a Valleandona, nell'astigiano.
Nell'estate 1980 il mio amico Speedy mi aveva stanato da quel di Biaulì dove mi ero rifugiato a leccarmi le ferite della fallimentare esperienza londinese e mi aveva trascinato per un paio di giorni a Varigotti.
Là avevo conosciuto una signora ebrea molto simpatica, una nonna con le curiosità e la mentalità di una ragazza.
La signora si chiamava Ronci - ho saputo da Speedy che è mancata da ormai molto tempo - e per un paio d'anni ho avuto alcune occasioni di incontrarla, anche perchè Speedy era molto amico non solo suo ma pure del marito, Livio.
Avevano una bellissima casa a Varigotti, affacciata sulla spiaggia, un domicilio elegantemente bohemièn sui Navigli, a Milano, e una grande casa di campagna a Valleandona, nell'astigiano.
Speedy nell'80
Valleandona, capodanno '81/'82
Ronci e Pit ( con ridicolo taglio alla paggetto)
Non ricordo a che proposito, durante una delle nostre chiacchierate, Ronci mi aveva segnalato che la sua amica Monica Vitti lamentava una certa pochezza dei copioni che le venivano offerti da qualche tempo.
Commedie, quando lei aspirava a tornare a ruoli femminili drammatici e complessi.
Speedy mi aveva convinto che valesse la pena provarci e io avevo scritto un trattamento.
Non mi ero neppure chiesto se l'amicizia di Ronci con la Vitti era tale da permetterle di sottoporle una proposta in quel senso, avevo sviluppato una storia intitolandola "Morning Star Point" e gliel'avevo portata.
Lei non era entrata nel merito della trama, ma si era limitata a comunicare, letteralmente, che "Monica aveva paura dell'aereo", come a dire che il fatto che la storia fosse ambientata in Nebraska escludeva automaticamente la possibilità anche solo di proporle il soggetto.
Io uscivo allora da un'infilata di sconfitte tali per cui, probabilmente, se la cosa fosse andata per il verso giusto mi sarebbe parso innaturale. Inoltre, forse, ero corso un po' troppo in avanti, non so.
Fortunatamente, dopo un ricostituente soggiorno parigino, nel frattempo le cose erano tornate a girare per il verso giusto, ero tornato a Roma, avevo iniziato a lavorare con Avati ( nel racconto "Un mestiere" c'è questa parte) e così "Morning Star Point" aveva preso la via del cassetto.
Ero stato un'ultima volta a casa di Ronci, a Varigotti, per il capodanno '82/'83 con la mia fiamma d'allora, Valeria V.
C'era Speedy, c'era Livio ma Ronci no.
Poi più nulla.
Fortunatamente, dopo un ricostituente soggiorno parigino, nel frattempo le cose erano tornate a girare per il verso giusto, ero tornato a Roma, avevo iniziato a lavorare con Avati ( nel racconto "Un mestiere" c'è questa parte) e così "Morning Star Point" aveva preso la via del cassetto.
Ero stato un'ultima volta a casa di Ronci, a Varigotti, per il capodanno '82/'83 con la mia fiamma d'allora, Valeria V.
C'era Speedy, c'era Livio ma Ronci no.
Poi più nulla.
Pit e Valeria - capodanno '82/'83
Forse, un giorno, da qualche parte tra i miei papiri salterà fuori la ragione per cui, nel 1988, ho ripreso in mano "Morning Star Point" correggendone delle parti, mentre è comprensibile invece la ragione per cui, nel 1996, l'ho di nuovo riesumato e rielaborato ulteriormente, cambiandogli anche il titolo e facendolo diventare "Chatham Creek".
La ragione del '96 è che l'anno precedente avevo vinto il premio al Solinas e ci volevo riprovare, perchè chiunque ci sia passato sa che quelle occasioni stimolano appetiti incontrollabili.
Così, visto che c'era anche una categoria per soggetti e trattamenti, l'avevo spedito.
Non ero neppure entrato in finale.
Poi, nell'estate del 1997, Laura era a Venezia per un film e una sera la location manager per la quale lavorava, Rosanna R., le aveva proposto di andare ad una cena dove c'erano Claude Lelouch e la Martinez con un loro produttore, che era un'amico d'infanzia di Rosanna.
La nostra convivenza, quella mia e di Laura, era iniziata da poco.
Lei, da Venezia, era venuta a vivere a Torino e avevamo iniziato a condividere molte cose, compresa la rubrica telefonica, nel senso che lei aveva riportato su quella che tenevo di fianco all'apparecchio molti dei suoi numeri.
Così, quella sera a cena, quando Rosanna le ha presentato il suo amico d'infanzia - Inigo - si è ricordata di quel nome curioso, intravisto sulla mia rubrica, e gli ha chiesto se mi conoscesse.
Inigo aveva reagito con entusiasmo e altrettanto aveva fatto sua moglie Marie Christine.
Ero stato al loro matrimonio nell'82, a Roma.
I testimoni di nozze erano Nanni Moretti e Riccardo Cocciante.
Io e Inigo avevamo lavorato insieme in un film di Gianni Amelio (vedi sempre "Un mestiere").
Insomma, l'8 settembre del 1997 ci hanno fissato un appuntamento nel sontuoso appartamento che occupavano sul Canal Grande e abbiamo fatto questa affettuosa rimpatriata.
Inigo e Marie Christine erano titolari di un paio di case di produzione, una a Roma e una a Parigi e va da sè che, alla fine, l'argomento è caduto su quello che stavo facendo.
Ho raccontato del Solinas e mi hanno chiesto di spedire loro la sceneggiatura.
Dopo pochissimi giorni avevo ricevuto una risposta articolatissima, che rivelava che l'avevano letta ambedue con attenzione, ma che mi comunicava che, curandosi loro di produzioni internazionali, l'argomento non aveva sufficiente appeal per eventuali partners non italiani.
Chiedevano se non avessi altro da far leggere, ed è stato allora che ho spedito, senza molta convinzione, il trattamento di "Chatham Creek".
La reazione era stata tanto tempestiva quanto inaspettata.
Quella storia era quello che stavano cercando. Non mi sembrava vero.
Questa è la ragione per cui, nel 1999, diciannove anni dopo la prima stesura, "Morning Star Point" è diventata una scenggiatura, cui avevo cambiato il titolo in "Chatham Creek".
A quel punto è iniziato un altalenare che sono contento d'aver vissuto, malgrado non abbia sortito l'effetto sperato.
Ricevevo messaggi e telefonate che parlavano di interessamenti da parte di Danny, e io ero costretto a chiedere chi fosse Danny, e quando ricevevo in risposta che si trattava di Danny Glover non facevo in tempo a riprendermi dall'incredulità che si riparlava di Danny, e dal momento che se ne parlava argomentando in modo che mi stupiva ulteriormente, chiedevo "Ma, Danny Glover ?" e la risposta era un divertito "Ma no ! Danny Aiello !"
Insomma, da Torino era difficile mantenere l'equilibrio.
Anche perchè gli eventuali partners americani facevano le pulci su ogni scena, su ogni dettaglio caratteriale dei personaggi, e bisognava continuamente rassicurarli e spiegare.
Allora le comunicazioni rapide viaggiavano soprattutto via fax, e io ricevevo sempre missive piuttosto sconcertanti, anche se stimolanti.
Un giorno, da parte di Bettina Fischer che era una specie di loro agente americano, avevo ricevuto da Los Angeles una lettera tradizionale con acclusa una fotocopia.
Così ero entrato nella "gilda" degli scrittori americani, ero diventato membro di un'associazione che contava tra i suoi affiliati molti dei miei idoli di sempre. E per di più nella sede di Los Angeles, quella degli scrittori hollywoodiani.
Poi lei e Inigo erano partiti per il Kazakistan dove avevano in corso una produzione.
Cosa sia successo laggiù l'ho capito solo per sommi capi.
Sono stati taglieggiati dalla mafia locale, il regista si è rivelato un incompetente, i predoni li hanno derubati delle attrezzature e, al ritorno, si sono ritrovati la sorpresa della scomparsa di una loro socia che se l'era filata con la cassa, o qualcosa del genere.
Chiaro che "Chatham Creek" non era il primo dei loro pensieri.
Mi sono ritirato con discrezione, disorientato da quel disastro, augurandomi che ce la facessero a risollevarsi. Nel frattempo mi si erano presentate un paio di occasioni rincuoranti e così ho messo da parte "Chatham Creek" e lì è rimasto.
Per certi versi ho la sensazione che sia stato un bene, per questo film come per "Un febbraio di 30 giorni".
Intendo dire che ambedue, sulla carta, hanno destato entusiasmo e partecipazione, ambedue mi hanno regalato, nella loro formulazione ipotetica, occasioni di incontri e riscontri che non avrei mai immaginato, di ambedue non posso dire con certezza che, una volta realizzati, non avrebbero subito il destino della maggior parte dei films che vengono girati, vale a dire una brevissima stagione di indifferenza prima di precipitare in un limbo definitivo d'oblio.
Molti dei miei compagni di avventura cui il fato ha offerto l'occasione di un film lo hanno realizzato a prezzo di fatiche inenarrabili, sforzi titanici, indistruttibile fiducia nel proprio talento anche di fronte alle più inoppugnabili delle verifiche contrarie.
Io voglio viaggiare leggero. Forse, a suo tempo, ho scelto un mestiere con leggerezza, non so. Eppure in qualche modo ha funzionato, meravigliando me più di chiunque altro.
Di quei due lavori non realizzati mi resta il film dei racconti di Suso nel bow window di via Paisiello e dei fax da Los Angeles.
Non mi sono mai sentito così regista come in quel film.
Fantasticare è sempre meglio che ottenere, perchè somiglia sempre di più al tuo sogno.
A quel punto è iniziato un altalenare che sono contento d'aver vissuto, malgrado non abbia sortito l'effetto sperato.
Ricevevo messaggi e telefonate che parlavano di interessamenti da parte di Danny, e io ero costretto a chiedere chi fosse Danny, e quando ricevevo in risposta che si trattava di Danny Glover non facevo in tempo a riprendermi dall'incredulità che si riparlava di Danny, e dal momento che se ne parlava argomentando in modo che mi stupiva ulteriormente, chiedevo "Ma, Danny Glover ?" e la risposta era un divertito "Ma no ! Danny Aiello !"
Insomma, da Torino era difficile mantenere l'equilibrio.
Anche perchè gli eventuali partners americani facevano le pulci su ogni scena, su ogni dettaglio caratteriale dei personaggi, e bisognava continuamente rassicurarli e spiegare.
Allora le comunicazioni rapide viaggiavano soprattutto via fax, e io ricevevo sempre missive piuttosto sconcertanti, anche se stimolanti.
Un giorno, da parte di Bettina Fischer che era una specie di loro agente americano, avevo ricevuto da Los Angeles una lettera tradizionale con acclusa una fotocopia.
Così ero entrato nella "gilda" degli scrittori americani, ero diventato membro di un'associazione che contava tra i suoi affiliati molti dei miei idoli di sempre. E per di più nella sede di Los Angeles, quella degli scrittori hollywoodiani.
I messaggi continuavano ad essere stimolanti, anche quando contenevano elementi che facevano mordere il freno.
I "Bacci" di Marie Christine tradivano la sua abitudine ad esprimersi in francese.
Poi lei e Inigo erano partiti per il Kazakistan dove avevano in corso una produzione.
Cosa sia successo laggiù l'ho capito solo per sommi capi.
Sono stati taglieggiati dalla mafia locale, il regista si è rivelato un incompetente, i predoni li hanno derubati delle attrezzature e, al ritorno, si sono ritrovati la sorpresa della scomparsa di una loro socia che se l'era filata con la cassa, o qualcosa del genere.
Chiaro che "Chatham Creek" non era il primo dei loro pensieri.
Mi sono ritirato con discrezione, disorientato da quel disastro, augurandomi che ce la facessero a risollevarsi. Nel frattempo mi si erano presentate un paio di occasioni rincuoranti e così ho messo da parte "Chatham Creek" e lì è rimasto.
Per certi versi ho la sensazione che sia stato un bene, per questo film come per "Un febbraio di 30 giorni".
Intendo dire che ambedue, sulla carta, hanno destato entusiasmo e partecipazione, ambedue mi hanno regalato, nella loro formulazione ipotetica, occasioni di incontri e riscontri che non avrei mai immaginato, di ambedue non posso dire con certezza che, una volta realizzati, non avrebbero subito il destino della maggior parte dei films che vengono girati, vale a dire una brevissima stagione di indifferenza prima di precipitare in un limbo definitivo d'oblio.
Molti dei miei compagni di avventura cui il fato ha offerto l'occasione di un film lo hanno realizzato a prezzo di fatiche inenarrabili, sforzi titanici, indistruttibile fiducia nel proprio talento anche di fronte alle più inoppugnabili delle verifiche contrarie.
Io voglio viaggiare leggero. Forse, a suo tempo, ho scelto un mestiere con leggerezza, non so. Eppure in qualche modo ha funzionato, meravigliando me più di chiunque altro.
Di quei due lavori non realizzati mi resta il film dei racconti di Suso nel bow window di via Paisiello e dei fax da Los Angeles.
Non mi sono mai sentito così regista come in quel film.
Fantasticare è sempre meglio che ottenere, perchè somiglia sempre di più al tuo sogno.
Pit nel '99 in Nebraska, ma per un altro film...
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