lunedì 12 maggio 2014

AUTOMOBILI




Ho trattato a più riprese l'argomento mezzi di locomozione per ciò che concerne le due ruote (Vecchia moto, vecchia storia - Virago 535 - Velosolex - Motocicli) ma ho tralasciato la questione automobilistica, ad eccezione del post "Di tutto un po'" del 3 settembre 2013, in cui accenno alla mia Willys MB di fine anni '70.





Mentre cercavo in rete immagini dei modelli di moto che mi erano appartenuti mi sono inevitabilmente imbattuto anche in reperti automobilistici, e così eccoci qui.
Ne ho raccolti una manciata, di auto rispetto alle quali ho dei ricordi piuttosto precisi.
Cominciamo dalla Fiat 600.
Ne abbiamo avute alcune in famiglia, dal primo modello con la caratteristica apertura delle portiere controvento...









 con mia madre, nel giugno del 1955
davanti al castello del Valentino.
Qui il modello ha ancora le frecce di direzione
in appoggio sui parafanghi



a quello successivo, con apertura più ragionevole.









Non ricordo nulla del mio viaggiare a bordo di quell'auto, mentre al contrario ho memoria piuttosto precisa di un'altra, quasi coeva, condotta da mia madre con avventurosa disinvoltura.








Probabilmente è accaduto più di una volta, in ogni caso ricordo un viaggio - e per le strade di allora lo si poteva ben definire tale - Torino/Sauze d'Oulx, in inverno, con neve e ghiaccio.
Mia madre aveva abbattuto il sedile posteriore e ricavato uno spazio eccellente per i suoi passeggeri di quel giorno: suo figlio e i figli di coppie di amici, Paolo e Mariella Buratti, Raffy e Gianni Lingua.
Su quella macchinetta a trazione posteriore, con tenuta di strada precaria si era partiti in eccitata allegria. 
Ancora adesso mi chiedo come fosse possibile che adulti consapevoli affidassero l'incolumità della propria prole ad un pilota notoriamente temerario. Quelli erano i tempi...
A Susa si faceva una sosta per la benzina e rifocillamento con toast e bevande nel bar della stazione di servizio mentre, all'esterno, un omarino addetto montava le macchinose catene antineve di allora.
Superate le rampe di Salbertrand si era quasi al sicuro, restavano i tornanti da Ulzio a Sauze e poi si era a destinazione.
Per noi bambini, là dietro, era una pacchia. C'era un'intimità giocosa, protetta, ilare di cui mi è rimasta una traccia indelebile. 
All'inizio dell'8 mm. del post "A sciare" dell'1 gennaio 2012 e in quello del post dell'8 ottobre sempre 2012, ci sono i bambini di quell'epica trasferta.
Per ciò che concerne la 500 giardiniera concluse prematuramente la sua carriera in uno scontro che mia madre ebbe con un tram.
Al contrario di lei mio padre era un guidatore prudente e affidabile. I viaggi di ritorno serali dai fine settimana in montagna o a Rueglio oppure quelli da Noli, alla fine delle vacanze, mi trovavano beatamente assopito sul sedile posteriore, cullato dal cicaleccio delle conversazione tra i miei genitori e dalla guida armoniosa, senza strappi, di mio padre.
L'auto che ricordo di più è una Fiat 1500 bianca con pneumatici in tinta, che compare nel post dell'8 ottobre 2012, con me al volante che fingo di guidare.








Per tutto il periodo della sua attività professionale mio padre aveva l'opportunità di cambiare auto ogni sei mesi. Una prassi consolidata che poi si riverberò anche sul sottoscritto.






A bordo di una 124 ricordo che sono passato a prendere Danila Siravegna, mia morosa di allora per poi andare al cinema, a vedere l'appena uscito "Easy Rider". 
Per noi, allora, una folgorazione. 
Era il 14 marzo 1970.






Danila





Alla guida di un'altra 124, il 12 giugno 1969, tornavo da una festa a Giaveno, a casa di Mitzi Grosso.
Ero sbronzo, con l'auto carica di amici - eravamo in cinque - e non sono riuscito a chiudere una curva, ho centrato uno spartitraffico e l'auto si è ribaltata su un fianco proseguendo la propria corsa tra le faville della lamiera che strideva sull'asfalto per poi assestarsi capottando. L'attrito del tetto sul terreno ha rallentato l'abbrivio e infine la 124 si è arenata contro la saracinesca di un'officina.
Ne siamo usciti tutti miracolosamente incolumi.
Diretta conseguenza di quella mia bravata fu che ricevetti in dotazione per lungo tempo nient'altro che 500 e 126 con le quali mi riusciva comunque di incorrere in incidenti, ma di entità trascurabile.









Di questo modello, con le barre sui parafanghi, ne ho avute più d'una, tutte rigorosamente blu.
Sull'uso estemporaneo di quelle barre da parte del mio vecchio amico Gianni Forlani faccio cenno nel racconto "Noi quattro", nel post del 30 dicembre 2010.











Davanti  a Platti, nel 1970, con Paolo Ferrando.
 Tra noi si intravede la parte posteriore di una mia 500.




Per quanto riguarda gli incidenti di un certo rilievo mi sono affidato ad altri, come per questo del 18 settembre 1969, a bordo della Fulvia coupè di Franco Celo, con Dario Botta e Claudio Montez, sempre al ritorno da una festa galeotta in collina.









Questa volta al Pronto Soccorso hanno dovuto anche ricucirmi e mi è rimasta una cicatrice sulla sommità del capo lunga una dozzina di centimetri percepibile al tatto ancora adesso.
Per darmi i punti avevano dovuto radermi intorno alla lacerazione e i capelli sono poi ricresciuti con un'incontrollabile tendenza a star dritti, come si può vedere da questa foto, scattata all'Igloo, all'inizio del 1970.




 


Pochi giorni dopo quell'incidente avevo accompagnato mia madre in centro.
Lei guidava una 850 coupè azzurro cielo.











Aveva parcheggiato in piazza S.Carlo, sotto il monumento (era un'epoca, fortunatamente ormai remota, in cui era possibile) e io, scendendo, avevo urtato con la testa contro il margine del tettuccio. Non una gran botta ma sufficiente a riaprire un frammento di ferita con conseguente copiosissimo sanguinamento. Non ricordo quale fosse il nostro programma pomeridiano ma ricordo la volata un poco in affanno al Pronto Soccorso, dove la questione si era rivelata non drammatica.
Come ho accennato in precedenza le mie auto sono state, dopo il primo incidente, per anni una sequenza di 500 e poi di 126, e se mentre per la prima, come ho gia detto, la scelta del colore era rigorosamente il blu, per la 126 mi affidavo alle tinte pastello, nei limiti delle possibilità di allora.



 




 Quella giallo senape, sotto casa di
Valeria Grattarola, a Sestrière, nel '72.




Valeria a Sestrière




Un'auto che sarò riuscito a guidare sì e no un paio di volte prima che mia madre la distruggesse prematuramente precipitando in una scarpata, in Svizzera, è stata una 128.








Col tempo ho cominciato a trascorrere periodi sempre più lunghi lontano da casa e quindi dalle auto di famiglia.
Ricordo di aver usato una 131...













...ma soprattutto un'auto che mi piaceva molto e la cui scelta da parte di mio padre, uomo discreto e solerte praticante dell'understatement, mi aveva un poco stupito. Una Lancia Beta HPE.








A bordo di quell'auto e in compagnia di Antì ci eravamo precipitati a Cannes per portare la copia di un filmino in super 8 ad un Festival Internazionale del Cinema Amatoriale che si teneva proprio là. 









Era l'ultimo giorno valido per i termini di consegna e così ci eravamo sparati un'andata e ritorno ventre a terra con un piccolo cedimento notturno al ritorno, che però era stato confortato dalla possibilità, abbattuti i sedili posteriori, di ricavare uno spazio piuttosto agevole per una dormitina l'uno accanto all'altra in una stazione di servizio.




Antì




Precedentemente i miei me l'avevano lasciata usare per un viaggio fino a Napoli in compagnia di Giorgio Oggero e Daniela Ferraro, nell'estate del '76. 
La nostra destinazione erano le Eolie, per cui lasciammo l'auto in un garage per quasi un mese. A Napoli. 
Ancora adesso mi chiedo perchè ci andammo in macchina e soprattutto mi meraviglia la generosa leggerezza dei miei, anche se va detto che fu un'estate memorabile ( vedi post del 25 novembre 2010).





 



E poi c'è una terza volta che ricordo a bordo della HPE, che per inciso credo sia stata uno strumento esibizionistico piuttosto anomalo per uno come me che non ha mai avuto interesse o passione per le automobili, la terza volta, dicevo, riguarda una discesa a Parma in occasione di una festa a casa di Alessandra Fornari.
Il padre di Renato Bertrandi aveva un'HPE come quella di mio padre, ambedue color testa di moro. 
In quei giorni erano a Torino, ospiti nell'"alloggio" una morosa svedese di Renato con un'amica, così, invece di andare con una sola auto, con la scusa che forse io mi sarei fermato a Parma per qualche giorno, eravamo partiti in carovana per una rentrèe coi fiocchi. 
Auto sportive identiche, ragazze svedesi e noi tutti in tiro. Tra l'altro amiche e amici di Parma non conoscevano Renato e tanto meno, ovviamente, le ragazze svedesi.
E' stata una bella festa.





 In giardino a casa Fornari. 1978.
Vanna Comaschi, Renato Bertrandi e io di spigolo.

 


 Gli occhiali erano con lenti neutre e ritenevo
mi conferissero un aspetto da intellettuale.






Dal 1980 per due o tre anni ho vissuto senza auto.
Paradossalmente sono stati tempi di mobilità convulsa, viaggi continui che affrontavo regolarmente in treno senza sentire la necessità di un mezzo personale, anzi, nel traffico romano sarei impazzito e in via degli Zingari o in piazza di S.Maria in Trastevere, i luoghi dove abitavo, non avrei mai trovato un parcheggio, altrettanto valeva per Milano e solo quando è venuta la volta di Ipotesi Cinema, a Bassano, mi sono reso conto che un'auto mi occorreva.
Vivevo in Biaulì o a casa dei miei, a Rueglio. Ogni volta che partivo o tornavo, mia madre o mio padre dovevano accompagnarmi o venirmi a prendere alla stazione di Ivrea.
Avevo appena varcato la soglia del trent'anni, facevo un lavoro che mi piaceva ma che negava sicurezza e continuità.
Mio padre nel frattempo era rientrato nei ranghi della discrezione sabauda ed era passato alla Lancia Beta berlina.










Era con quella che venivo depositato o raccolto in arrivi e partenze.
Grazie alle facilitazioni che lui, che nel frattempo era andato in pensione, continuava ad avere riguardo le auto, mi ero comprato una Uno a rate, tornando alla mia originale attitudine a considerare l'automobile un mezzo rispetto al quale nutrivo una assoluta indifferenza. 
Acquistarla nuova era l'unica condizione categorica che mi ponevo. Un'auto nuova, se proprio non sei sfortunato, per qualche anno non ti darà fastidi.
Quel primo ritorno alla macchina, quella Uno, era di un orrendo color carta da zucchero, ma io avevo preso quella che era immediatamente disponibile, indifferente alle questioni estetiche.
I viaggi da e per Bassano erano diventati meno macchinosi.







Era forse il 1984 quando mi accadde di partecipare alla più stramba produzione cinematografica che mi sia capitata. 
Un film a Santa Margherita Ligure realizzato da una signora piuttosto eccentrica e priva di qualsiasi nozione registica ma molto ricca, che non so per quali vie era entrata in contatto con la casa di produzione di Luca Bitterlin, a Bologna, perchè si occupasse dell'aspetto esecutivo della questione.
Luca mi aveva chiesto di fare da balia alla signora in qualità di aiuto regista. Della troupe facevano parte anche Barbara Sella e Anna Berti. 
Con loro due eravamo partiti da Bassano, con coperte federe lenzuola e asciugamani "prese a prestito" da Ipotesi Cinema - la signora ci avrebbe messo a disposizione un appartamento ma senza i suddetti optionals -  stipati con armi e bagagli nella mia A112, l'auto che aveva sostituito la Uno e della quale conservo un gradevole ricordo.









 Barbara e Anna, che se n'è andata già da molto tempo.




Sono poi trascorsi gli anni e poche sono le auto che nel frattempo mi hanno fatto viaggiare riservandosi la possibilità di venir rimembrate per una qualche ragione.













La Y10 è quella che Laura ricorda con più simpatia perchè, suppongo, era l'auto che avevo quando ci siamo conosciuti, e sulla quale abbiamo affrontato molte trasferte suggestive per festivals e occasioni analoghe.
Lei mi ha detto che le era piaciuto da subito il fatto che non appena nell'abitacolo io azionassi il mangianastri con tutte quelle canzoni dei '60 e '70. 
Una di quelle è poi diventata la nostra. "Que serà serà" cantata da Doris Day.
C'è poi stata un'Alfa 33 sport wagon con la quale, dopo un lungo periplo attraverso la campagna di Umbria e Toscana e una tappa a Città della Pieve a trovare le suorine di clausura conosciute durante la lavorazione de "L'altra metà del cielo", eravamo approdati, io e Laura, a Follonica e il giorno dopo, in traghetto, all'Elba per una nostra vacanzina beata in un hotel isolato a picco sul mare. 
E, ancora, ci aveva condotti ad una storica vacanza di Natale a Gallio, sull'altopiano di Asiago, con Paolo Cottignola, Paola Bocci, Mario Castagna e alcuni reduci della troupe che, in Marocco, avevano girato il film di Olmi sulla Genesi (vedi l'inizio del post del 30 dicembre 2010 "Noi quattro").







Nel 2003 abbiamo lasciato Torino per Schio e io ho ripreso l'abitudine di non utilizzare l'auto se non per quelle tre o quattro volte all'anno per andare a Rueglio. 
Ogni tanto devo chiamare il meccanico perchè si è scaricata la batteria, per il resto, le rare volte che occorre, uso la Panda di Laura.
E' probabile che prossimamente mi tocchi cambiarla la mia macchinetta, a favore di un'altra utilitaria dotata di caratteristiche più attuali, ma resisto perchè la Y non ha moltissimi chilometri e l'indiscutibile vantaggio, per me che alla guida sono pigro e distratto, di un cambio automatico.
Si vedrà.








A volte però fantastico di comprarmi una Morgan, la prima auto di seconda mano della mia vita dopo la Wyllis, e su quella, antifunzionale e bellissima, intraprendere alcuni dei viaggi del cuore che mi riprometto prima della vecchiaia.



4 commenti:

  1. ..questa a mio giudizio e' splendida http://www.cuboauto.it/gallery-print.php?foto=GAL-1681558-18849207 Peccato che da una certa data in poi le abbiano motorizzate con il motore delle Ford escort 1600 cc. Mi ricordo ancora quella verde scura sempre parcheggiata davanti al Casanova di Mario Martucci...

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    1. Pensa un po' che Mario è stato mio compagno di scuola. Avevamo preparato la maturità insieme, con Fulvio Tasso, affittando una casetta a Pourrieres, sulla strada per Sestriere...e Mario era già un po' sciocchetto allora. Pero' bella macchina, sì. Come va l'occhio ? Io nel frattempo ho trascorso un maledetto periodo di nuovo ospedaliero, con due interventi chirurgici e un soggiorno in rianimazione. Mi hanno dimesso da pochi giorni. Questa la ragione del lungo silenzio. Un caro saluto. Pit

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  2. Ciao Pit...infatti mi stavo quasi preoccupando della tua assenza..ma ora se sei a casa vuol dire che va meglio, vedrai che tt passera'. Io piano piano mi sto riprendendo, ho cominciato nuovamente a lavorare, ma tt mi costa molta fatica. Comunque dovro' attendere tre anni affinche' tutto si stabilizzi. Comunque sono di nuovo in pista..le belle donne mi piacciono ancora e questa e' la cosa piu' importante. Si Mario era proprio uno sciocco, mi ricordo ancora le cavolate che faceva ad Alassio con una mia amica inglese, ma son gia' passati 35 anni!

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    1. Cazzo ! tre anni ? Beh, hai preso una bella botta anche tu.
      I danni dell'invecchiare. Ma ci rimettiamo in sella. Del resto che alternativa ci sarebbe ? Non è finita finchè non è finita.
      Hasta luego.
      Pit

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