Dalla solita scatola è affiorata anche questa chiave di regolazione.
Dei pattini si è persa traccia ma lei è rimasta.
Serviva per allungarli o accorciarli e, forse, aveva anche qualche altra funzione che non ricordo.
I pattini di allora erano piuttosto rudimentali e nei loro confronti ho sempre avuto un atteggiamento guardingo, lontano dal considerarli fonte di divertimento bensì di sforzo degno di miglior causa.
I pattini di allora erano piuttosto rudimentali e nei loro confronti ho sempre avuto un atteggiamento guardingo, lontano dal considerarli fonte di divertimento bensì di sforzo degno di miglior causa.
Altra chiave altrettanto, se non più, evocativa è quella che apriva la porta degli ascensori prima della loro sostituzione con quelli con porte automatiche.
In una fase vagamente compulsiva del mio istinto archivistico, intorno ai vent'anni, ho anche etichettato alcuni reperti, e oggi quelle etichette mi sollecitano la stessa simpatia degli oggetti che descrivono.
Su quegli ascensori scendevo dal settimo piano, a volte con pattini a rotelle altre volte no, per essere acompagnato ai giardini.
I miei avevano cambiato casa e la destinazione non era più quella dei Giardini Reali ma del Valentino.
Qui, in un parco giochi che oggi farebbe rabbrividire per quanto poco faceva conto dell'incolumità dei suoi fruitori, devo aver trascorso intense ore di emulazione esplorativa.
Ci si arrampicava e ci si altalenava con farfallino d'ordinanza, come nel mio caso, o addirittura in giacca, cravatta e fazzoletto nel taschino come nel caso del mio amico Giando, per nulla impediti, nello scatenarci, da quell'abbigliamento protocollare.
Sul retro di alcune di queste fotografie una nota riporta che siamo nel maggio del 1954, quindi avevo tre anni e mezzo.
Queste atmosfere di infanzia postbellica che mi hanno sempre sedotto nelle immagini di Doisneau o di Ronìs, inaspettatamente rivelano la mia personale contemporaneità con quei bambini che mi parevano appartenere ad un'epoca remota e che, invece, sono miei coetanei.
Su quegli ascensori scendevo dal settimo piano, a volte con pattini a rotelle altre volte no, per essere acompagnato ai giardini.
I miei avevano cambiato casa e la destinazione non era più quella dei Giardini Reali ma del Valentino.
Qui, in un parco giochi che oggi farebbe rabbrividire per quanto poco faceva conto dell'incolumità dei suoi fruitori, devo aver trascorso intense ore di emulazione esplorativa.
Ci si arrampicava e ci si altalenava con farfallino d'ordinanza, come nel mio caso, o addirittura in giacca, cravatta e fazzoletto nel taschino come nel caso del mio amico Giando, per nulla impediti, nello scatenarci, da quell'abbigliamento protocollare.
Sul retro di alcune di queste fotografie una nota riporta che siamo nel maggio del 1954, quindi avevo tre anni e mezzo.
Queste atmosfere di infanzia postbellica che mi hanno sempre sedotto nelle immagini di Doisneau o di Ronìs, inaspettatamente rivelano la mia personale contemporaneità con quei bambini che mi parevano appartenere ad un'epoca remota e che, invece, sono miei coetanei.
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