mercoledì 10 aprile 2013

ATTI MANCATI 15




E questo è il secondo trattamento.
E' molto diverso dal primo. 
Così come il precedente era una storia sostanzialmente di donne questa lo è di uomini.
Ne L'EREDITA' DI CARLA l'ammiccare referenziale era rivolto a Frank Capra, mentre in PASTA FRESCA c'è più un'idea di Peckinpah, inteso nella sua brutalità malinconica, estrema ma con una sua poetica, cosa che manca, a mio avviso, nella bidimensionalità fumettistica di un Tarantino. 
Ma non è di Cinema che intendo parlare.
Malgrado le differenze sostanziali le due storie hanno tratto comuni, e ad un certo punto sono destinate, sia nell'una che nell'altra, ad incrociarsi. 
Così avevo deciso, e mi piaceva.
Dal momento che farsi produrre un film è difficilissimo io mi ero disposto oniricamente a pensarne due, da girare in sequenza e che, idealmente, avrebbero dovuto uscire in contemporanea.
Ovvio che per un tale delirio l'atto non poteva che essere mancato, però mi ci sono divertito, e rileggendoli adesso, dopo anni, ancora mi ci diverto, immaginando scena per scena come si sarebbe potuta girare e montare.
Posso sentirmi spettatore, cioè assecondare la mia vera natura, perchè è come se leggessi una novità, una storia raccontata da un estraneo.
E non è niente male.








PASTA FRESCA AD ALBUFEIRA
trattamento
(2001)




Il ragazzo in attesa del vagone della metropolitana balzella da un piede all'altro per il freddo.
Ai piedi porta delle Nike bianche divenute ormai grigie.
Tiene le mani affondate nelle tasche del logoro giubbotto di cuoio.
Il collo è insaccato fino al mento in una kefià avvoltolata a mo' di sciarpa.
Un viaggetto in uno scompartimento che via via va vuotandosi lo porta in estrema periferia.
Qui prosegue a piedi, lungo vialoni costellati di magazzini, fabbrichette, capannoni.
Finalmente si ferma di fronte ad uno di questi.
Suona un campanello.
Con un rumore metallico la serratura della porticina inserita nel grande portone di lamiera scatta.
Il ragazzo entra.
Si ritrova in un ambiente vasto, illuminato fiocamente da poche lampade  al neon e dai lucernari che lasciano filtrare la livida luce invernale.
Gli spazi sono gremiti degli oggetti più disparati: vecchi banconi di bar, auto d'epoca in condizioni estreme, vetuste insegne di negozi, file di poltroncine di cinema scomparsi, e casse: casse sovrapposte, di ogni dimensione, imballate in qualche caso fino al soffitto.
Il ragazzo si orienta tra i meandri di roba stipata seguendo il suono ovattato di un disco fino ad arrivare in uno spazio relativamente libero, al centro del quale è stata ricavata una specie di stanza con pareti di pesanti fogli di cellophane, illuminata all'interno. 
Di là proviene la musica.
Un ombra si muove all'interno, proiettata sulle pareti semitrasparenti, ingigantendo e rimpicciolendo in maniera curiosa.
Il ragazzo gira un po' attorno fino a trovare un varco.
Entra.
Dentro l'ambiente si potrebbe quasi dire accogliente, rispetto al resto del magazzino. Una stufa panciuta troneggia al centro, tutt'attorno banconi da lavoro con attrezzi disposti in bell'ordine.
All'estremità di uno dei banconi c'è un uomo massiccio, con un berretto da marinaio appoggiato un po' di traverso su una gran matassa di capelli candidi, che sta armeggiando su un'apparecchiatura che parrebbe una vecchia ricetrasmittente.
Indossa un camice grigio su un vecchio maglione a collo alto. Gli attrezzi, nelle sue mani robuste, sembrano giocattoli.
Il ragazzo segnala la sua presenza.
L'uomo gli rivolge un'occhiata interrogativa da sopra le mezze lenti.
" Sono Antonio. Mi manda don Franco…"
L'uomo annuisce e gli fa cenno d'avvicinarsi.



********************



"E' un bravissimo ragazzo" dice all'uomo del magazzino un tipo dall'aspetto stralunato, con occhiali da vista con lenti spesse come fondi di bottiglia.
"Sta tranquillo Gilberto, sarai contento."
"Se lo dice lei, don Franco".
Gilberto, l'uomo del magazzino, senza berretto e camice ha un altro aspetto.
Don Franco gli illustra brevemente la situazione.
Antonio è stato tossicodipendente per parecchio tempo.
Genitori inesistenti. Due fratelli spacciatori, piccoli boss in crescita. Una sorella a posto.
Ora i fratelli hanno costretto Antonio a cedere loro l'appartamento nelle case popolari, che gli era stato assegnato per graduatoria, e ci hanno installato una delle loro "centrali", nel cuore del quartiere che è la loro casbah.
Antonio vive a casa della sorella nubile, che fa la bidella.
Da quando é riuscito a liberarsi i fratelli lo osteggiano, lo provocano.
Lui si tiene alla larga.
Loro, più vecchi di lui, girano con tre o quattro cellulari a testa, su auto da centomila euro, ma raramente escono dal quartiere.
Un Bronx nostrano dove don Franco sta in parrocchia come a Fort Alamo.
Antonio ha lavorato come corriere e spacciatore per i fratelli per tutto il periodo della sua tossicodipendenza. Era efficiente, pare. Poi ne è venuto fuori. E, cosa incredibile, praticamente da solo. A prezzo di sofferenze indicibili. Chiuso nel bagno della sorella a rotolarsi per terra in crisi d'astinenza. Un caso più unico che raro.
Amalia, la sorella, in quei giorni terribili ne ha parlato con don Franco e allora lui si è dato da fare.
Adesso Antonio è pulito da ormai più di un anno.
" Un terreno sano - sta dicendo a Gilberto - e un fisico d'acciaio. Non ti far ingannare dal fatto che lo vedi così magrino. E' un toro. Con un cuore grande così. Tutti quegli anni di pere, quello che gli è toccato vedere e fare, non gli hanno neanche graffiato l'umanità che c'ha dentro, anzi ! Un miracolo. Altro che Lourdes !"
Gilberto ride.
Così Antonio inizia a lavorare per lui.
Si tratta di un lavoro molto sui generis. Per certi versi si potrebbe dire che Gilberto rappresenti la categoria del rigattiere in una forma evoluta.
Sulle fiancate del suo furgone verde scuro una scritta in caratteri gialli con bordo rosso, che ricorda le insegne dei brocanteurs della Normandia o della Cornovaglia, annuncia acquisti di ogni genere, sgomberi cantine e solai, rilevamenti di arredi di esercizi commerciali ecc. ecc.
Gilberto però è un esperto a tutto campo, con competenze che ingelosirebbero un antiquario, grande abilità nell'arte del restauro, che si tratti di un secretaire Impero come di un Juke-box del '62, e considerevoli intuizioni nel campo del modernariato, dell'arte figurativa, dei "militaria", della bibliofilia.
Ci si potrebbe chiedere come mai se ne stia rintanato nel suo capannone, ma anche facendolo non si otterrebbero risposte e quindi prendiamolo così com'é.
Il lavoro consiste in parte nell'andare a rilevare gli oggetti più svariati nei luoghi più svariati, in parte nel restaurarli, là dove occorra, e in parte nel commercializzarli, su mercatini o direttamente a mercanti.
Gilberto è un uomo laconico, di gesti ponderati, Antonio al contrario è loquace - si mangia anche un po' le parole - e piuttosto irrequieto. I due però, pian piano, finiscono con l'intendersi.
Antonio apprezza particolarmente le giornate dedicate ai "mercatini". Sembra piacergli il rapporto con il pubblico, la contrattazione. Rivela doti inaspettate nel trattare. Cosa che Gilberto fa evidentemente malvolentieri.
Tra loro chiacchierano del più e del meno. Antonio strappa a fatica notizie della vita di Gilberto.
Gilberto non gli chiede niente della sua. Che è piuttosto complicata.
Antonio sta con una ragazza che chiama "la mia tipa".
La tipa si fa ancora, occasionalmente.
Lui la vive male, ma la giustifica. Le vuole bene, la vorrebbe aiutare, ma nello stesso tempo non riesce ad essere severo con lei.
"Solo una perina ogni tanto…" confida a Gilberto. E Gilberto non dice nulla.
Alla fine delle giornate di lavoro lui torna a casa - una casa accogliente anche se semivuota, elegante addirittura, nella sua austerità - si allestisce frugali ma sofisticati manicaretti, ascolta musica, trascorre il tempo leggendo, consultando vecchie carte, restaurando piccoli oggetti preziosi e bislacchi.
Prima di rientrare a casa, ogni giorno, passa in una clinica.
Qui resta a lungo a tenere compagnia ad una donna un po’ più giovane di lui, che evidentemente non lo riconosce così come non riconosce tutto il mondo circostante, o perlomeno non sembra tenerne conto, chiusa, come appare, nel suo, avulso da tutto, distante.
Antonio invece deve fare i conti con la sua, di realtà.
La sorella, annientata dal peso di quella famiglia devastata, affezionata ad Antonio, ma allo stesso tempo eternamente spaventata dal timore che la situazione possa, in qualche modo, riprecipitare da un momento all'altro.
I due fratelli, dei quali uno adesso è stato arrestato, e che accusa l'altro - durante il colloquio in carcere con Amalia ed Antonio, che lei ha trascinato ad una visita - di averlo inguaiato, per fregargli la donna e i soldi.
L'altro che quando incontra Antonio o lo dileggia o lo minaccia, ben installato nella casa che era la sua. 
La tipa che morde il freno, che ogni tanto fa marchette proprio per il fratello di Antonio, ad insaputa di quest'ultimo, per procurarsi la dose, che scaraventa lontano gli orsacchiotti di pelouche che Antonio le regala, comprandoli quando è in giro con Gilberto e dicendo "La mia tipa ci fa la collezione". Che non è vero. O meglio è lui che la fa per lei, in una maldestra e accorata pantomima di storia d'amore di giovani senza problemi.
Comunque, per qualche mese, la situazione tiene.
Un giorno, chiamati per uno sgombero, Antonio si incanta di fronte a dei macchinari per la fabbricazione della pasta fresca: marchingegni piuttosto complessi di cui lui però, incredibilmente, conosce perfettamente il funzionamento.
Gilberto non sarebbe dell'idea di prenderli. Il prezzo richiesto è alto e lui, tra l'altro, non ha idea di come piazzarli. Antonio però, inaspettatamente insiste. Dice che li vuole per sé, che lavorerà gratis fino a ripagarglieli.
Implora sottovoce, per non farsi sentire da quelli che vogliono disfarsene, con un tale affanno che Gilberto, perplesso, alla fine gli concede di chiudere la trattativa.
Antonio la porta in fondo brillantemente, e alla fine, sembra felice.
Sul furgone, e poi in magazzino, spiega.
Ha lavorato da ragazzino per un pastaio.
Conosce il mestiere e gli piace. Ma soprattutto considera quell'occasione d'acquisto un segno.
Perché lui ha un sogno.
Un paio d'anni prima un suo amico - uno che è riuscito a togliersi dal pasticci prima di lui - si è trasferito ad Albufeira, una località turistica del sud del Portogallo.
Ogni tanto di là, dove ha aperto un localino di pizza al taglio, gli scrive.
E da quando gli ha raccontato che in quel posto arrivano turisti da tutto il nord Europa - e non solo di passaggio ma proprio gente che ci si è comprata la casa, e c'è viavai tutto l'anno, persone che non sanno mangiare, che se ci fosse uno che fa tagliatelle fresche o tortellini ai cardi o panzerotti ai carciofi farebbe al loro gioia e la sua fortuna - Antonio non pensa ad altro.
I macchinari sono il primo passo.
Quando Gilberto chiede dove troverà i soldi per il resto: il locale, la sistemazione, i permessi eccetera Antonio, ottimisticamente, dice che si vedrà.
Un giorno vengono contattati da una donna per lo sgombero di un intero appartamento.
Lei vuole disfarsi di tutto e curiosamente non tratta sul prezzo, addirittura vorrebbe regalare. 
Ha un aspetto minuto, con uno strano sorriso benevolo e stupito disegnato sul viso, che la fa rassomigliare ad una ragazzina nonostante l'età.
Gilberto, seguendo inesorabile il suo codice etico, si rifiuta di accettare una soluzione del genere.
Addivengono ad un accordo intermedio: in cambio, una volta svuotato l'appartamento, le ridecoreranno le pareti, intonacandole tutta la casa.
Così finiscono col trascorrere qualche giorno insieme.
La donna, che si chiama Carla, è vedova.
Ha un modo strano ed in un certo senso affascinante di esprimere i propri pensieri, le proprie opinioni. Un'originalità che pur lasciando talvolta perplessi non supera mai i limiti di una quieta eccentricità.
Da subito sembra incuriosita da Gilberto: lo segue con lo sguardo con un atteggiamento di infatuazione infantile.
Gilberto, quando se ne accorge, dissimula, imbarazzato.
A fine giornata Antonio, che se ne è accorto anche lui, un po' lo canzona, ma Gilberto cambia argomento, e sbuffa quando Antonio chiede " Cos'è, piace anche lei a te ?"
Alla conclusione dei lavori, comunque, loro due se ne vanno e Gilberto e Carla si stringono la mano sulla porta di casa senza aggiungere altro.
Alla sera Antonio trova la sorella che piagnucola, spaventata.
Gli dice che è passata la "tipa", che sembrava fuori di se, che le ha portato via dei soldi dopo averla minacciata.
Antonio corre fuori.
La cerca nei territori disperati dove immagina che si sia andata a cacciare e alla fine la trova.
In una casa abbandonata del centro, i cui ingressi sono stati murati ma in cui sono stati ricavati accessi nascosti. Feudo del fratello, dove le ragazze possono farsi e poi pagare la dose con prestazioni sessuali occasionali.
Antonio supera la sorveglianza senza difficoltà - è pur sempre il fratello del boss - e, dopo essersi aggirato per un po' in mezza a tutto quel degrado, trova la sua tipa che sta facendo un pompino a un pensionato.
La trascina via inebetita.
Se la carica a spalle dopo aver discusso con la "sorveglianza".
Con una specie di odissea riesce a riguadagnare il proprio quartiere.
Non sa dove portarla e opta per la casa della madre di lei. Che ha il marito in galera, due figli piccoli e la tipa di Antonio che è passata, senza soluzione di continuità, da ragioneria alle pere.
Eppure quella donna sfiancata e quel ragazzo che non si sa dove trovi tutta quell'energia, si danno d'attorno.
Si organizzano per tirar fuori la ragazza dal "problema" con i metodi empirici e disperati che prescindono dai centri di disintossicazione. I metodi che Antonio ha applicato su di sé a suo tempo.
Avverte Gilberto che per qualche tempo non potrà presentarsi al lavoro e poi lui e la madre di lei si calano nella battaglia all'inferno.
E la perdono.
Dopo appena un paio di giorni la tipa elude la sorveglianza della madre.
Antonio è crollato assopito sul divano.
E' l'alba. La ragazza si accende una sigaretta.
Guarda dalla finestra la lunga teoria di condomini identici, poi spalanca la finestra e salta di sotto.
Un lungo volo di nove piani. Non un grido, solo un tonfo sordo, lontano, e un cinguettio di uccellini che riprende frenetico dopo un attimo di silenzio.



Al funerale Gilberto gli sta accanto ma Antonio sembra non averne bisogno.
Sta reagendo come se non fosse successo nulla, ma quando il fratello fa la sua comparsa con i suoi scagnozzi, perde la testa, gli vola addosso, si scatena una rissa, don Franco cerca di sedarla, poi ci si mette qualcun altro, e finalmente la situazione si riassesta.
Antonio ha rimediato qualche contusione ma il fratello ha avuto la peggio. Se ne va minacciando.
Il giorno dopo Antonio va a trovare l'altro fratello in carcere. Parlano a lungo.
Per il resto la vita riprende come prima.
Gilberto e Antonio tornano a lavorare insieme. Un giorno gli capita di passare sotto casa della signora Carla. 
"Ti ricordi ?" chiede Antonio, e Gilberto annuisce.
Ora la sera, quando si separano, mentre Gilberto segue il suo solito itinerario, invece Antonio inizia a tenere d'occhio i movimenti del fratello e della gente che gravita attorno a lui: disperati alla ricerca della dose, poliziotti conniventi, guardie del corpo, pit-bulls.
Ogni tanto va a trovare l'altro fratello in galera. Antonio prende nota di alcune cose che l'altro gli dice.
Poi, una notte, muovendosi furtivo, guadagna per cantine e cortili il caseggiato dove ha il suo quartier generale l’altro fratello.
Di fronte alla porta d'ingresso del suo vecchio appartamento c'è un tipo coperto di tatuaggi, seduto su una poltrona sfondata, che legge fumetti.
Si ritrova Antonio di fronte all'improvviso e fa appena in tempo a spalancare la bocca per lo stupore prima che Antonio lo metta fuori combattimento con la scarica elettrica di un punzone per bestiame.
Ora Antonio scavalca una delle finestre che danno luce al lungo corridoio su cui si affacciano gli ingressi degli appartamenti, e avanzando con agilità insospettata lungo uno stretto cornicione a quindici metri d'altezza, guadagna un balcone.
All'interno la luce è accesa in cucina, si sente una musica.
Antonio rompe un vetro, infila la mano nel varco e gira la maniglia dall'interno mentre una ragazza con i capelli scarmigliati e addosso solo una t-shirt, che si sta friggendo una bistecca, attacca a strillare.
Antonio fa appena in tempo a nascondersi dietro il frigo che compare il fratello, preceduto da un paio di pit-bulls che subito individuano Antonio.
Gli saltano addosso. E gli fanno le feste, scodinzolando gioiosi.
"Che cazzo ci fai tu…ma che cazzo succede qui ?" nella voce del fratello c'è più stupore che rabbia.
Antonio con un paio di passi gli è di fronte, allunga il braccio e gli scarica la scossa contro il petto.
Il fratello cade a terra. Sembra colpito da un attacco epilettico.
La ragazza ricomincia a strillare, ma con meno convinzione.
Antonio le indica il punzone elettrico e le fa segno di tacere. Lei ammutolisce.
Seguito dai pit-bulls festanti lui si sposta nelle altre stanze.
Il fratello a terra ha la bava alla bocca e gli occhi rivoltati.
La ragazza lo scavalca e segue Antonio, esitante.
Lui si guarda attorno, controlla un foglietto che tiene in tasca - uno di quelli che si è appuntato durante le visite all'altro fratello in prigione - si avvicina ad un mobile, lo sposta, individua una piccola cassaforte occultata dietro, armeggia, ricontrolla il foglietto.
Quando lo sportello finalmente si apre qualcuno lo aggredisce da dietro.
Inizia una colluttazione. Antonio cerca di divincolarsi. Di fronte a sé ha la ragazza che osserva la scena, si direbbe senza emozione.
Finalmente riesce, gettandosi indietro e schiacciando il suo aggressore contro la parete, a liberarsi della stretta.
L'aggressore è una donna.
Antonio non capisce.
La donna torna all'attacco con la violenza di un uomo. E infatti è un uomo, un travestito, il compagno del fratello in galera.
Antonio lo fronteggia ma sta avendo la peggio.
La ragazza sposta verso di lui, con un piede nudo, senza convinzione e senza fretta, il punzone elettrico che lui aveva appoggiato a terra per aprire la cassaforte.
Con un guizzo estremo lui riesce ad afferrarlo e scarica la scossa sul travestito, che si affloscia al suolo.
Senza fiato e tesissimo Antonio raggiunge una camera da letto: anche qui individua un nascondiglio, sempre grazie alle indicazioni del fratello carcerato.
La ragazza lo osserva, ferma sulla porta, con l'aria stordita.
Arriva del fumo, la bistecca brucia sul fornello.
Antonio guarda la ragazza.
"Una borsa" dice. Lei si allontana.
Quando torna tiene un sacchetto di plastica della spesa aperto, con un gesto d'offerta.
Antonio, dopo un istante di perplessità, ci butta dentro mazzette di denaro, orologi, passaporti e altri documenti, pacchetti di polvere bianca. Poi torna in soggiorno e anche qui svuota la cassaforte riempiendo il sacchetto.
"Un altro !" chiede alla ragazza.
Che va e torna con una borsa di carta.
Antonio riempie anche quella, poi viene distratto da un suono.
Il pianto di un bimbo.
Guarda la ragazza ma lei non sembra sentirlo.
Lui si solleva. Va a vedere. C'è un bambino in una culla.
La ragazza è sulla porta, sempre a guardarlo con quell'aria trasognata di impasticcata.
"E' tuo ?" chiede Antonio indicando il bimbo, lei prima sembra non capire, poi annuisce.
"Prendilo" dice lui.
Così si ritrova fuori dell'appartamento con un sacchetto di plastica per mano con dentro un capitale, e in compagnia di due cani e una ragazza con addosso solo una t-shirt che tiene in braccio un pupo vestito quanto lei.
Seduto a terra, appoggiato alla parete, c'è il guardaspalle che ha messo fuori combattimento prima di entrare, che lo aspetta.
Non ha l'aria di essersi ripreso completamente ma è in grado di alzare il braccio, armato di un'automatica con silenziatore, e intimargli di non muoversi.
Antonio non l'ascolta.
Si slancia in avanti e poi scarta, lanciando una delle borse contro l'uomo a terra.
Il flop del proiettile silenziato squarcia il sacchetto, proiettandone il contenuto all'esterno, il secondo va a vuoto, il terzo ricaccia indietro una dei due cani che si sono avventati sullo sparatore, l'altro cane arriva alla gola prima che l'uomo possa esplodere un quarto proiettile.
Antonio trascina via la ragazza che, con il bimbo ad armacollo, sta raccattando, sempre stranita, il denaro sparpagliato a terra.
Si ritrovano in strada.
Attraversano di corsa un viale deserto, poi lui si ferma ed emette un lungo sibilo.
In lontananza arriva il suono di una sirena in avvicinamento.
Il pit-bull sopravvissuto sopraggiunge al galoppo.



Antonio lascia tutto - ragazza con bimbo, cane, eroina, coca, pasticche, documenti e gioielli - in parrocchia a un don Franco stralunato.
" Questi soldi mi servono - dice laconico - questi altri glieli lascio per l'avvocato di Sante." Aggiunge. Don Franco annuisce.
" Dia una mano a mia sorella, se può - mormora - Le farò arrivare altri soldi appena possibile…"
Don Franco lo abbraccia maldestro.
" Ha mica una tuta, qualcosa ?" chiede Antonio al prete, indicando la ragazza.  Don franco si accorge solo ora che è praticamente nuda.


La porta di casa di Amalia si apre di schianto. Nel vano spalancato c'è il fratello con altri due.
Trascinano Amalia giù dal letto e le abbaiano contro "Dov'è ?".
Quando lei  non capisce, e poi finalmente risponde che non sa, non le credono.
Piovono schiaffi, pugni, calci.
Antonio intanto è in attesa di fronte al magazzino di Gilberto.
Spuntano un paio di fari nella notte deserta. Il furgone accosta. Gilberto scende, preoccupato. Antonio parla freneticamente. Spiega a Gilberto tutta la faccenda, lo mette in guardia, si rammarica di creargli dei problemi.
Intanto il fratello e un gruppetto dei suoi arriva con un gran stridere di gomme, su due auto, di fronte alla parrocchia.
Prendono a calci il portone d'ingresso.
" Prete di merda !"
"Fottiamo anche te, sta tranquillo !"
" Adesso andiamo a prendere il tuo stronzetto !"
Con lo stesso stridio di gomme si allontanano. Don Franco, immobile, nel buio della sua stanza, fissa la finestra.
Amalia, in casa sua, col viso tumefatto, piange inginocchiata a terra in cucina.
Una volante della polizia, a fari spenti, parcheggiata a margine d'un giardinetto spelacchiato, ospita due agenti, che assistono all'assalto ala parrocchia senza intervenire.
Gilberto ed Antonio sono intanto entrati in magazzino.
Sentono le auto arrivare.
Gilberto non capisce cosa stia succedendo,
Antonio cerca di trascinarlo verso l'uscita sul retro mentre all'esterno il portone di metallo viene preso a calci, forzato, rimandando un suono assordante all'interno. Gilberto si rifiuta di muoversi. Quello è il suo magazzino.
Antonio è disperato.
Cerca confusamente di far capire a Gilberto la gravità della situazione, poi, proprio quando la paura lo spinge a decidere di fuggire solo, la porta sul retro si spalanca sotto un urto improvviso.
Alcuni uomini entrano bestemmiando.
Quasi contemporaneamente cede anche il portoncino dell'ingresso principale.
Il fratello di Antonio avanza accompagnato dai suoi. Non impugnano armi, ma sicuramente addosso le hanno.
Antonio resta lì, boccheggiante, accanto alla "stanza" di cellophane di Gilberto.
E Gilberto è sparito.
Antonio viene aggredito, crolla sotto una scarica di pugni e calci che non cessano quando lui cerca di ripararsi rotolando, raggomitolato a terra, nella semioscurità.
"Dov'è la roba, faccia di cazzo !" urla il fratello, e l'urlo è annegato da uno sparo.
Il fratello, colpito, è scaraventato indietro di un paio di metri.
Tutti si bloccano per la sorpresa e Gilberto, in quel silenzio, fermo nel chiaroscuro del varco del suo fortilizio di cellophane, ha modo di segnalare, con il clic clac inequivocabile del caricamento di un Defender cal.12 a pompa, l'invito a soprassedere per quelli che corrono già con la mano alle tasche interne dei giubbotti.
La sua voce è sorprendentemente calma.
" I primi due sono caricati a pallettoni di gomma - indica con un gesto il corpo riverso del fratello a terra, dal quale non fuoriesce sangue - gli altri sei a piombo. Vedete un po' voi."
E con queste parole spara il secondo colpo in alto, ricaricando alla velocità del lampo e puntando sul gruppo.
"La gomma è finita" borbotta.
"Fuori !"
Gli aggressori sollevano il fratello e arretrano verso l'uscita.
Gilberto li segue.
Si assicura che si allontanino con le auto, prima di rientrare.
Antonio, malgrado la maschera di sangue e le tumefazioni che già gli stanno deformando il viso, rivolge a Gilberto uno sguardo attonito.
"Porca puttana…e quello da dove salta fuori ?" articola sputacchiando sangue, indicando il fucile. Gilberto risponde con un gesto vago, rivolto alla sua "stanza".
"E gli sparavi davvero se…?"
Antonio, nonostante faccia fatica a parlare e a muoversi, sembra soprattutto stupito. Gilberto lo aiuta a rimettersi in piedi.
"Ci sono solo pallettoni di gomma, qui dentro." Dice, tranquillo. Antonio lo guarda.
"Porca puttana…"



Gilberto, dopo averlo fatto medicare al Pronto Soccorso, porta Antonio in casa sua. Nonostante le pessime condizioni in cui versa, Antonio non può fare a meno di notare la qualità inattesa dell'ambiente.
Gilberto lo convince a sistemarsi da lui, assicurandolo che il fratello non è in grado di rintracciarlo lì.
Antonio non è molto convinto, ma soprattutto è preoccupato per l'amico, temendo che per causa sua possa passare dei guai.
Gilberto lo tranquillizza.
Antonio gli mostra i soldi che ha portato via al fratello, dice che ora può partire per Albufeira. Gilberto gli chiede di aspettare.
Il giorno successivo va a parlare con don Franco, che è piuttosto spaventato anche se finge di no.
Racconta che Amalia è all'ospedale con uno zigomo fratturato, che c'è un sacco di gente sulle tracce di Antonio.
Consiglia Gilberto di rivolgersi ai Carabinieri per garantirsi protezione.
In effetti, davanti alla parrocchia, staziona ora una Gazzella. Gilberto risponde che non può farlo senza compromettere la posizione di Antonio.
Dalla parrocchia va al suo magazzino. Si assicura di non essere seguito.
Una volta all'interno opera un controllo generale, poi si guarda attorno perplesso, come se stesse valutando non solo l'entità del materiale che lo circonda ma anche il significato che ha per lui.
Si rifugia poi nella su "stanza".
Si gingilla con alcuni strumenti, aziona un registratore dal quale fuoriesce una musica a basso volume, resta un poco a fissare un punto lontano, poi solleva la cornetta del telefono.
E', come sempre, laconico.
Dall'altro capo del filo ci deve essere qualcuno che lo conosce bene e sa di cosa sta parlando, perché gli basta dire: "Allora ho deciso…".
Forse il suo interlocutore si meraviglia, perché lui lo rassicura.
"No, no…mi sono solo accorto che sono stanco…sì, ci vorrà qualche giorno…si, puoi mandarlo da domani con qualcuno dei ragazzi, ah, tra l'altro, ho avuto un problema con della gente…no, no, credo piccoli delinquenti, spaccio ,cose così…è per il ragazzo che lavora con me…no, lui è a posto…sì, sono venuti qui…sì, è la cosa migliore…li mandi già da oggi ?…gli faccio fare un giro, sì…grazie, ciao."
Antonio intanto, da casa di Gilberto, smania, non ha notizie. Gilberto non ha un cellulare, non sa come rintracciarlo.
Prova a chiamare Amalia ma non risponde nessuno, poi chiama don Franco che gli parla concitatamente: gli dice della sorella, del passaggio di Gilberto, insiste nel raccomandargli di stare attento, non riesce a mascherare la sua preoccupazione.
Alla fine della telefonata, trasgredendo l'indicazione di Gilberto, Antonio, fasciato, gonfio, coperto di lividi, esce.
Va in ospedale dalla sorella, riesce appena a confortarla, assicurandola che tornerà presto per portarla via, in un posto tranquillo, e già deve scappare, individuato da uno degli scagnozzi del fratello, messo a gravitare nei corridoi dell'ospedale.
Intanto Gilberto, rientrato a casa e non trovando Antonio, non sa che fare.
Ridiscende in strada e si siede nel furgone, parcheggiato accanto al marciapiede.
Antonio intanto corre.
Salta su mezzi pubblici, ne ridiscende, si mescola alla gente per strada, svicola. Finalmente, trafelato, arriva sotto casa di Gilberto.
Una portiera aperta all'improvviso gli picchia contro, gettandolo a terra.
"Visto quant'è facile ?" chiede Gilberto, scendendo dal furgone.
Antonio tenta una confusa giustificazione ma Gilberto lo interrompe, lo fa salire a bordo.
Vanno al magazzino.
Antonio si meraviglia di trovarlo animato da un via vai di persone che Gilberto ha definito "amici".
Gilberto intanto, indicandogli un vecchio divano nella "stanza", gli dice di aspettarlo lì. Non aggiunge altro, ma Antonio si rende conto che gli "amici" lo terranno d'occhio.
Gilberto raggiunge poi la clinica.
Va dalla donna che non sappiamo chi sia.
Prende accordi con la direzione, poi resta a lungo con lei.
Prima di congedarsi le rivolge un gesto d'affetto che non aveva mai avuto negli incontri precedenti: lei lo riceve con totale indifferenza.
Nel magazzino intanto c'è un certo fervore.
Fuori passa una macchina degli uomini del fratello di Antonio, che annusano che non è aria.
Gilberto ritorna mentre è in corso l'inventario del magazzino.
Esclude da quest'ultimo le apparecchiature per la fabbricazione della pasta e le fa caricare sul furgone, poi si apparta con un tipo basso che fino a quel momento ha dato direttive e un altro, dall'aspetto di burocrate, che non si è mai mosso dall'angolo in cui siede su una seggiola pieghevole.
Confabulano a lungo, passano carte, firmano, controfirmano.
Alla fine Gilberto si avvicina ad Antonio e dice "Possiamo andare."
" A casa tua ?" chiede Antonio.
"Prima sì." risponde Gilberto.
"E poi ?" chiede ancora Antonio.
"In Portogallo, direi."
Antonio così scopre, attraverso le lacunose spiegazioni di Gilberto, che lui ha liquidato la sua attività.
Cosa che era già da tempo nelle sue intenzioni. Occorreva un movente forte ed ora si è presentato.


Qualche giorno dopo sono in viaggio.
E' il tardo pomeriggio quando vengono superati da una decapottabile di grossa cilindrata con tre perone a bordo.
Antonio la indica a Gilberto: " Visto che roba ?…beati loro, eh ?…"
Gilberto non risponde ma osserva l'auto che si allontana con aria perplessa.
Poco più avanti, ad una stazione di servizio, si fermano.
La decapottabile é lì. Le parcheggiano accanto.
Ordinano panini e bibite.
I passeggeri dell'auto devono essere nell'ala ristorante, perché il bar è deserto. Gilberto sembra a disagio.
Guarda insistentemente verso il ristorante dal quale sopraggiunge un brusio di voci.
E prima che se ne vadano, dopo il caffè, va ad affacciarvisi.
Antonio lo segue preoccupato.
Tra la gente seduta ai tavoli c'è anche il terzetto della decapottabile.
"Ma non è?…" stupisce Antonio all'improvviso.
E, mentre Gilberto annuisce in risposta, una delle due donne del terzetto alza lo sguardo verso di loro, e subito trasecola, non sa che fare, fissa Gilberto, sorride ad Antonio, allerta i suoi compagni di viaggio.
"La signora Carla !" sbotta Antonio.


Scoprire che hanno la meta comune riesce a far balbettare d'emozione persino Gilberto.
Quando fuori, sulla piazzola, Antonio ammira entusiasticamente la loro auto Carla insiste per cedergli il suo posto. E il viaggio riprende, in carovana.
Nella decapottabile Antonio ha già cominciato a raccontare, confusamente, gli ultimi avvenimenti della sua vita.
Nel furgone Gilberto e Carla siedono l'uno accanto all'altra.
In silenzio.
Sorridenti.
Seguendo la decapottabile si allontanano sul lungo nastro d'asfalto, all'imbrunire.

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