Il 5 settembre 2008, al Museo Nuvolari di Mantova, con Marco D'Aponte abbiamo presentato la nostra graphic novel "Compagno del vento", biografia di Tazio Nuvolari a fumetti.
In seguito a quell'occasione l'AUDI, che era stata tra i patrocinatori della prima edizione - a tiratura limitata e numerata con sottotitoli in inglese (vedi sopra) - ci propose un'avventura allettante: una storia della casa automobilistica a fumetti.
Dopo averci pensato su io ho sviluppato una serie di brevi storie, alcune sceneggiature con personaggi immaginari, altre con automobili come voce narrante, con un percorso che andava dagli albori ai giorni nostri in termini più evocativi che tecnologici.
Io adesso sto scrivendo questo post, ma in realtà si tratta della riscrittura di qualcosa che avevo già raccontato e poi inavvertitamente cancellato.
Non ricordo le parole originali, ho presente che avevo dettagliato le ragioni del mancato accordo per la realizzazione di quel libro imputandolo alla pochezza di un giovane responsabile di quello che forse era il loro ufficio stampa.
E' stato davvero così, ma in questo momento non ho voglia di dargli addosso come avevo fatto nella prima stesura.
E' andata.
Se no che atto mancato sarebbe ?
Marco aveva realizzato le "matite" del primo episodio.
Gli episodi erano sei.
Il penultimo si intitolava semplicemente 920 ed era il mio preferito.
920
Non lo dico con presunzione, ma come dato di fatto.
Ero bellissima, e molto elegante.
(dati tecnici)
Potente e affidabile.
Facevo bella mostra di me, in compagnia di altre fascinose quattro ruote, nel garage della villa di un banchiere ebreo, a Berlino.
Uscivo ogni tanto, mi guidava un autista.
Poi un giorno - era l'ottobre del 1936 - il figlio maggiore di quel banchiere si è messo alla guida ed abbiamo iniziato un lunghissimo viaggio, anche piuttosto accidentato, devo dire, ma io sono stata sempre impeccabile.
Certo mi seccava parecchio ritrovarmi all'alba coperta di brina, o che nessuno si preoccupasse di darmi una bella lavata con la pompa, a togliere un po' di fango. Ma mi abituai, senza mai lamentarmi.
E arrivammo a Barcellona.
Qui il figlio del banchiere si arruolò volontario nel battaglione Thalmann, delle Brigate Internazionali.
Erano tutti tedeschi o polacchi, in quel battaglione, e in maggioranza ebrei. Lui si sentiva un po' a casa. Io meno.
Ero stata lasciata nel garage dell'hotel Falcòn, all'inizio delle Ramblas, vicino piazza Catalunya, a disposizione del POUM, che aveva lì il suo quartier generale.
Le mie compagne erano tutte piuttosto malconce e, francamente, davvero senza classe, tranne una vecchia Bentley asmatica e ammaccata che mi disse, con un certo sussiego, di aver trasportato un tal George Orwell - uno scrittore - che era venuto anche lui ad arruolarsi nelle Brigate Internazionali.
Poi, un giorno, vennero a prendermi in tre.
Mi avevano prestata a questo americano - un altro scrittore - un certo Hemingway, e a due fotografi: André Friedmann, di Budapest, meglio conosciuto come Robert Capa, e Gerta Pohorylle, cresciuta a Lipsia e Stoccarda, nota come Gerda Taro.
Lo scrittore era un po' smargiasso e piuttosto arrogante. Era già famoso e lo sarebbe diventato ancora di più grazie anche a quello che avrebbe scritto ricordando quello che stavamo vivendo, nel libro "Per chi suona la campana". Quando toccava lui guidare erano dolori. Mi strapazzava come un trattore.
Capa era più delicato, ma distratto. Anche lui celebre, per aver scattato la foto del "Miliziano che cade". Gerda invece, oh Gerda, era tutt'altra cosa. Pur così minuta mi conduceva con una sicurezza da vero pilota. E' stata la donna più allegra e coraggiosa che ho incontrato. L'ho vista sfidare piogge di proiettili rispondendo al fuoco con gli scatti della sua Leica.
Siamo arrivati a Madrid il 19 marzo 1937.
Il giorno prima le Brigate avevano respinto l'attacco delle camicie nere mandate da Mussolini a sostegno della Falange del generale Franco.
Ne era nata addirittura una controffensiva.
I fascisti italiani, meglio equipaggiati ed armati, si erano ritirati in una fuga disordinata, lasciando centinaia di caduti e di prigionieri, incalzati dagli italiani della Garibaldi, dagli americani del battaglione Abramo LIncoln, dai ragazzi della Tahlmann.
Ero così fiera di essere tedesca, quel giorno. A Guadalajara.
Beh, poi é finita come é finita. Gerda é morta travolta da un carro armato durante l'offensiva di Brunete, il 25 luglio del 1937, a ventisei anni, Capa é saltato su una mina viet-minh, in Indocina, sulla strada per Thaibinh, il 25 maggio 1954, un attimo dopo aver scattato la sua ultima foto, Hemingway si é appoggiato la canna di uno dei suoi fucili da caccia alla fronte e ha premuto il grilletto, a Ketchum, in Idaho, il 21 luglio 1961.
E io, beh, io avevo appena trasportato un certo Willy Brandt, che poi si é fatto un nome anche lui. Me ne stavo tranquilla a riprendere fiato al riparo di una massicciata sul fronte di Segovia e un proiettile di mortaio mi ha centrata in pieno.
Non sono finita da uno sfasciacarrozze, sono caduta in combattimento, direi.
Per una giusta causa.
Io.
Un'AUDI 920.
Ero bellissima, e molto elegante.
(dati tecnici)
Potente e affidabile.
Facevo bella mostra di me, in compagnia di altre fascinose quattro ruote, nel garage della villa di un banchiere ebreo, a Berlino.
Uscivo ogni tanto, mi guidava un autista.
Poi un giorno - era l'ottobre del 1936 - il figlio maggiore di quel banchiere si è messo alla guida ed abbiamo iniziato un lunghissimo viaggio, anche piuttosto accidentato, devo dire, ma io sono stata sempre impeccabile.
Certo mi seccava parecchio ritrovarmi all'alba coperta di brina, o che nessuno si preoccupasse di darmi una bella lavata con la pompa, a togliere un po' di fango. Ma mi abituai, senza mai lamentarmi.
E arrivammo a Barcellona.
Qui il figlio del banchiere si arruolò volontario nel battaglione Thalmann, delle Brigate Internazionali.
Erano tutti tedeschi o polacchi, in quel battaglione, e in maggioranza ebrei. Lui si sentiva un po' a casa. Io meno.
Ero stata lasciata nel garage dell'hotel Falcòn, all'inizio delle Ramblas, vicino piazza Catalunya, a disposizione del POUM, che aveva lì il suo quartier generale.
Le mie compagne erano tutte piuttosto malconce e, francamente, davvero senza classe, tranne una vecchia Bentley asmatica e ammaccata che mi disse, con un certo sussiego, di aver trasportato un tal George Orwell - uno scrittore - che era venuto anche lui ad arruolarsi nelle Brigate Internazionali.
Poi, un giorno, vennero a prendermi in tre.
Mi avevano prestata a questo americano - un altro scrittore - un certo Hemingway, e a due fotografi: André Friedmann, di Budapest, meglio conosciuto come Robert Capa, e Gerta Pohorylle, cresciuta a Lipsia e Stoccarda, nota come Gerda Taro.
Lo scrittore era un po' smargiasso e piuttosto arrogante. Era già famoso e lo sarebbe diventato ancora di più grazie anche a quello che avrebbe scritto ricordando quello che stavamo vivendo, nel libro "Per chi suona la campana". Quando toccava lui guidare erano dolori. Mi strapazzava come un trattore.
Capa era più delicato, ma distratto. Anche lui celebre, per aver scattato la foto del "Miliziano che cade". Gerda invece, oh Gerda, era tutt'altra cosa. Pur così minuta mi conduceva con una sicurezza da vero pilota. E' stata la donna più allegra e coraggiosa che ho incontrato. L'ho vista sfidare piogge di proiettili rispondendo al fuoco con gli scatti della sua Leica.
Siamo arrivati a Madrid il 19 marzo 1937.
Il giorno prima le Brigate avevano respinto l'attacco delle camicie nere mandate da Mussolini a sostegno della Falange del generale Franco.
Ne era nata addirittura una controffensiva.
I fascisti italiani, meglio equipaggiati ed armati, si erano ritirati in una fuga disordinata, lasciando centinaia di caduti e di prigionieri, incalzati dagli italiani della Garibaldi, dagli americani del battaglione Abramo LIncoln, dai ragazzi della Tahlmann.
Ero così fiera di essere tedesca, quel giorno. A Guadalajara.
Beh, poi é finita come é finita. Gerda é morta travolta da un carro armato durante l'offensiva di Brunete, il 25 luglio del 1937, a ventisei anni, Capa é saltato su una mina viet-minh, in Indocina, sulla strada per Thaibinh, il 25 maggio 1954, un attimo dopo aver scattato la sua ultima foto, Hemingway si é appoggiato la canna di uno dei suoi fucili da caccia alla fronte e ha premuto il grilletto, a Ketchum, in Idaho, il 21 luglio 1961.
E io, beh, io avevo appena trasportato un certo Willy Brandt, che poi si é fatto un nome anche lui. Me ne stavo tranquilla a riprendere fiato al riparo di una massicciata sul fronte di Segovia e un proiettile di mortaio mi ha centrata in pieno.
Non sono finita da uno sfasciacarrozze, sono caduta in combattimento, direi.
Per una giusta causa.
Io.
Un'AUDI 920.
E' rimasta nel cassetto in varia e numerosa compagnia.
Ma riandando a quel periodo l'avvenimento che mette in ombra tutti gli altri - o meglio gli avvenimenti - sono da far risalire al 6 luglio 2009.
Quel giorno, al mattino, sono stato in municipio a firmare per l'accettazione del titolo di assessore alla Cultura che mi era stato offerto in maniera assolutamente inattesa il 3, nel pomeriggio è arrivata la telefonata da Transeuropa che annunciava la loro intenzione di pubblicare "Finchè l'erba crescerà e i fiumi scorreranno" di Laura e, la sera, ho presentato "Compagno del vento" nella nuova edizione, finalmente "nostro", distribuito nelle librerie, acquistato nelle biblioteche, recensito, uguale a prima e, nello stesso tempo più bello.
Quella notte ho dormito come un ghiretto.
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