Bene.
Adesso che i contenitori sono quasi tutti in dirittura d'arrivo, e che al "mal del mattone" dell'amministrazione il sia pur sciagurato patto di stabilità ha posto un fermo, sarebbe bello che la mattanza di bilancio che parrebbe trovare particolarmente saporiti i filetti di Cultura, concedesse i margini per poterci fare qualcosa in quei cazzi di contenitori. Se no vada per una sala bingo, un centro commerciale o - meglio ancora - l'affidamento a un centro sociale, che saprebbe sicuramente farne buon uso.
Siamo alla fine dell'anno e tra un anno e mezzo scadrà il mandato.
Il sindaco, che è una brava persona, molto competente in tutti i rami della pubblica amministrazione - di questo non ho dubbi, se no non terrei la postazione con tanta depressa abnegazione - ha chiesto a noi assessori di preparare un prospetto che renda conto delle attività e dei risultati ottenuti fino ad ora, ed è proprio nella stesura di questo bilancio che ho capito dove sta la mia mancanza di convinzione.
I numeri sono dalla nostra parte.
Mai in precedenza si era avuta in questa città una densità di eventi, di occasioni culturali, di qualità dell'offerta, una coerenza sistematica e una visibilità che travalicasse i confini del borgo e ci rendesse competitivi su un piano territoriale molto più ampio.
Ma io odio i numeri. Almeno in questa accezione.
Informano solo rispetto ad una parte della questione, simulano esauriente completezza, ma non sono che fumisterie statistiche, semplificazioni impugnabili dai politicanti.
Altrimenti non si spiegherebbe perchè un'idea così elevata di relazione sociale, economica e politica che convenzionalmente - e ormai arbitrariamente - definiamo democrazia, si sia trasformata in un dispotico leviatano, fondato sulla tirannide dei numeri, appunto.
Il paese va alla deriva non tanto perchè è abitato da un popolo disposto a tollerare molto di più e di peggio di qualsiasi altro popolo al mondo, ma piuttosto per il fatto che i numeri che stabiliscono l'eleggibilità dei farabutti che guidano il paese da sempre sono aritmeticamente garantiti da armenti di inconsapevoli, convinti che una scheda elettorale possa davvero costituire una garanzia di trasparenza, un'imbucatura risolutiva. Numeri.
Fin dall'inizio ci ho sempre tenuto a sottolineare il fatto di essere un "tecnico", e questo da molto prima che arrivassero Monti e i suoi - io sono in ballo dal giugno del 2009 - e di non aver partecipato mai ad una competizione elettorale, di non essermi mai candidato da nessuna parte, di essere stato chiamato a ricoprire un incarico per le mie competenze e non per una ladronesca spartizione da spoil system (i soliti numeri...)
Insomma la sto facendo lunga per arrivare a dire che il mio piano quinquennale per la Cultura non si è neppure avvicinato all'idea che mi ero fatto di trasformazione.
Semplicemente perchè le aspettative corrispondono ancora, più o meno, a quelle che sono state per decenni, le consorterie sono barricate dietro i loro piccoli privilegi conquistati garantendo modesti bacini elettorali, e la Cultura, quella, poveretta, rimane per la maggior parte dei cittadini del luogo dove ho scelto a suo tempo di vivere con entusiasmo e affetto, una specie di trastullo dopolavoristico.
Ma se guardo cosa ha fatto Ornaghi, ministro dei Beni Culturali del testè deceduto governo Monti, insomma uno che a suo tempo ha guidato anche l'Università Cattolica del Sacro Cuore, beh, uno che non ha fatto assolutamente un cazzo per tutto il suo soggiorno ministeriale, allora mi dico "tieni duro, c'è di peggio".
Peccato, però...
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